Politica
6 agosto, 2025Nel decreto Infrastrutture, in soccorso della società, il ministero cancella la notifica europea per prorogare la concessione delle reti autostradali che nessuno ha firmato
«All’articolo 2, comma 2-decies.1, del decreto legge10 settembre 2021, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2021, n. 156, l’ultimo periodo è soppresso». Lo dice un emendamento all’ennesimo decreto legge del governo di Giorgia Meloni, dedicato alle Infrastrutture. Un rebus.
Ma le leggi, in Italia, si scrivono così perché i comuni mortali si divertano a risolverli. Eppure hanno fatto anche una legge, e l’hanno fatta ben 16 anni fa, che impone letteralmente la «chiarezza dei testi normativi». Prescrive che ogni volta che un articolo di legge rinvia ad altre norme precedenti deve indicare «in forma integrale o sintetica» il testo o comunque la materia richiamata, e che il riferimento sia «di chiara comprensione». Per gli amanti della precisione è l’articolo 3 della legge 69 del 18 giugno 2009, nel quale pure si specifica che il compito di garantire chiarezza e comprensibilità delle norme spetta al governo. Il bello è che il rompicapo è frutto dello stesso governo. Per giunta il ministero è quello di Matteo Salvini, segretario del partito cui appartiene l’autore della legge che dal 2009 imporrebbe la chiarezza delle leggi. Ossia Roberto Calderoli, allora ministro della Semplificazione del governo di Silvio Berlusconidel quale faceva parte anche Giorgia Meloni, oggi ministro per le Autonomie del governo della medesima Giorgia Meloni. E il cerchio si chiude.Ma decifrando l’arcano viene il sospetto che l’opacità non sia del tutto casuale.
L’emendamento spuntato in extremis nelle ore immediatamente precedenti l’approvazione del decreto Infrastrutture in Parlamento, dove possiamo scommettere che gli onorevoli al corrente del suo significato si potessero contare sulle dita di una mano, è un clamoroso salvataggio dell’Anas nel più completo spregio per le norme europee.
Un classico azzardo passibile di procedura d’infrazione comunitaria, poche settimane dopo quella che lo stesso ministero di Salvini sta rischiando per la nomina di Gianpiero Strisciuglio alla guida di Trenitalia, società tra l’altro controllata come l’Anas dalle Ferrovie dello Stato. Per comprendere che cosa ha indotto il ministero delle Infrastrutture a spingersi fino a tal punto bisogna fare un salto indietro di 13 governi e 23 anni. E occhio, perché nel delirio di date e passaggi c’è il rischio di perdersi. L’8 luglio 2002 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi firma un decreto legge che trasforma l’Anas in società per azioni. L’ente delle strade è in quel momento concessionaria pubblica di tutte le autostrade statali, comprese quelle non a pedaggio. Con i costi a carico dello Stato. Per capirci, roba come il Grande raccordo anulare di Roma o la Salerno-Reggio Calabria.
Ci vuole però una convenzione unica e una concessione da predisporre a cura del ministero delle Infrastrutture entro il termine di sessanta giorni che scadono l’8 settembre 2002. Il decreto dice pure che la concessione trentennale potrà avere una durata massima estesa a 50 anni. Ma come capita in un Paese nel quale il malfunzionamento degli apparati politico-burocratici assume spesso toni da commedia dell’arte, di giorni non ne passano sessanta, bensì 1.570. E si arriva al 27 dicembre 2006, giorno della prima finanziaria del secondo governo Prodi. Finalmente qualcuno si ricorda di quella convenzione che doveva essere estesa a 50 anni mai firmata da nessuno. Nell’unico articolo della legge di bilancio più lunga e complessa della seconda Repubblica sbocciano così due commi, il 1018 e il 1019, che dicono quanto segue. Entro sei mesi va scritta una convenzione unica fra il ministero delle Infrastrutture, allora affidato ad Antonio Di Pietro, e l’Anas. Con l’occasione la durata della concessione Anas verrà portata da 30 a 50 anni. Anche questa promessa, però, non viene mantenuta. E passano altri 18 anni. Durante i quali i bilanci dell’Anas, che è una società pubblica, ma obbedisce anch’essa al codice civile, continuano a contabilizzare il valore della concessione statale come se fosse di cinquant’anni, cioè scadesse nel 2052. Anche se la durata della concessione non è mai stata allungata.
Dunque, tutti i bilanci si basano su un dato fondamentale chiaramente drogato. La Corte dei conti nelle sue relazioni annuali non smette di ricordarlo, dal 2018. Facendo presente che «sul punto, molto delicato per gli equilibri finanziari attuali e futuri della società», non si trovano «solidi riferimenti fattuali e giuridici». Un disastro, insomma, dovuto a una incredibile e colpevole sciatteria, di cui nessuno sarà mai chiamato a rispondere.Quando è chiaro che la bomba sta per detonare, il ministero dove nel frattempo è arrivato Salvini fa infilare nella finanziaria 2025, al comma 521, una norma che ricalca di fatto quella scritta 18 anni prima, prevedendo ancora una volta la firma di una convenzione unica con allungamento al 2052 della concessione Anas.
Per coerenza con la materia si sceglie di aggiungere due periodi a un decreto fatto nel 2021 dal governo di Mario Draghi riguardante la creazione di una nuova società pubblica, Autostrade per l’Italia. Ma con una precisazione non marginale. Perché nel frattempo, correva l’anno 2014, è stata approvata anche con il voto dell’Italia una direttiva che subordina le concessioni pubbliche al vaglio della Commissione europea.
Così nella nuova versione della proroga al 2052 della concessione Anas è d’obbligo sottolineare che questa «è subordinata alla notificazione preventiva alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 108 del Trattato». Tutto risolto, allora? Macché. Il magistrato della Corte dei conti delegato al controllo dell’Anas scrive qualche settimana fa ai vertici della società e al ministero ricordando che la notifica alla Commissione europea è obbligatoria non soltanto per il Trattato europeo, la direttiva del 2014 e la norma messa nella finanziaria del 2025. Ma anche per il nuovo codice degli appalti targato Salvini.
Purtroppo però non risulta che la notifica sia stata fatta. Il motivo? Forse l’idea, malsana, che l’anomalia di una concessione allungata con 18 anni di ritardo possa passare sotto silenzio a Bruxelles soltanto perché non gli si manda una lettera? Boh. Comunque è un serio problema, perché la cosa può far saltare la toppa che si cerca di mettere ai bilanci dell’Anas, che ora impattano anche sui conti delle Ferrovie.La soluzione? Semplicissima, per il ministero delle Infrastrutture. Basta sbianchettare il comma della finanziaria che ricordava le competenze dell’Europa con un emendamento incomprensibile a un decreto seppellito da mille altre disposizioni. Esattamente l’ultimo periodo, dove c’era scritto che la proroga della concessione Anas «è subordinata alla notificazione preventiva alla Commissione europea…». Che quindi non è mai esistito. Nell’illusione, magari, di riuscire a sbianchettare pure i Trattati, le direttive europee, e perfino il codice degli appalti. La domanda è chi ha pensato a una simile follia. Viene da pensare che in certi casi nelle stanze ai piani alti dei ministeri sarebbe d’aiuto lo psichiatra. Uno bravo.
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