Politica
13 settembre, 2025Preoccupazione per i sondaggi riservati commissionati dal partito della premier
Per settimane, a Palazzo Chigi si è respirata una fiducia quasi incrollabile. La riforma della giustizia targata Nordio, con il suo impianto dirompente — separazione delle carriere e l’ormai celebre sorteggio anti-correnti per i Csm — veniva raccontata nei vertici di maggioranza come un treno già in corsa, destinato ad arrivare dritto al traguardo con l’approvazione popolare. Ma ora, nel quartier generale di Fratelli d’Italia, il clima è cambiato.
Secondo fonti parlamentari di primo piano, i sondaggi riservati commissionati dal partito della premier indicano un esito molto meno scontato per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Il fronte del Sì e quello del No — riferiscono due diversi istituti demoscopici — sono inchiodati sul 50%, in una perfetta parità che ha mandato in tilt le certezze di chi, solo pochi mesi fa, dava per certa una larga vittoria della maggioranza. Tra costoro il Ministro della giustizia Nordio.
Il campanello d’allarme è suonato da tempo, ma è rimasto chiuso nei cassetti dei collaboratori più stretti di Giorgia Meloni e Alfredo Mantovano. «Siamo in pieno fifty-fifty», ammette una fonte interna con profonda conoscenza del dossier. Nessun cappotto, nessun plebiscito, e soprattutto nessuna mobilitazione popolare spontanea in vista del voto. Anzi: l’indagine sull’ex magistrato Giusi Bartolozzi, figura chiave del ministero, potrebbe contribuire ad alimentare dubbi e sospetti proprio nel campo degli indecisi.
Ma a preoccupare il governo non è solo la debolezza del fronte del Sì. Il problema, semmai, sarà la bassa partecipazione anche se per il referendum confermativo non è previsto il quorum. Lo sanno bene gli strateghi del centrodestra, che già da settimane studiano strategie per “politicizzare il voto” evitando però di trasformarlo in un referendum pro o contro Meloni.
In caso di sconfitta le conseguenze sarebbero tutt’altro che simboliche. Un insuccesso sulla riforma Nordio — considerata il cuore della visione garantista della destra al governo — rischierebbe di segnare una frattura interna nella maggioranza, alimentando le critiche sotterranee della Lega (mai troppo entusiasta della linea Nordio) e rafforzando il fronte giudiziario e mediatico che da mesi punta a ridimensionare l’egemonia meloniana.
Per Meloni, insomma, il referendum è diventato un banco di prova più rischioso del previsto. E affrontare le prossime politiche con una sconfitta referendaria sulle spalle significherebbe partire azzoppati, con una leadership indebolita e una maggioranza esposta a tensioni sempre più difficili da ricomporre.
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