Politica
20 settembre, 2025Se l’ex generale alzerà i toni, come molti temono, il rischio è quello di spaccare ancora di più un partito già diviso tra “governisti” e “guerriglieri”
La variabile si aggira sul prato sacro del Carroccio. Ha i gradi da generale, l’eloquio spigoloso da campagna elettorale permanente, un curriculum che divide l’opinione pubblica e una capacità di polarizzare che ormai preoccupa anche dentro la Lega. Roberto Vannacci, ex militare, eurodeputato fresco di elezione con valanga di preferenze, e ora vicepresidente del partito, è la scheggia impazzita che rischia di far saltare l’equilibrio fragile costruito da Matteo Salvini. E soprattutto di complicare – e non poco – la vita a Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia che a Bruxelles prova, ogni giorno, a rassicurare e negoziare. Con i toni e le formule che Vannacci detesta.
La linea ufficiale è quella dell’unità. “Avanti insieme”, è il mantra ripetuto da Salvini in vista della kermesse di Pontida di domenica, blindatissima anche nei toni e nelle scalette. Nessuna improvvisazione, nessun fuori programma. Ma i timori che l’ex generale decida di rompere il copione, lanciando qualche frecciata pesante contro Ursula von der Leyen e la Commissione europea, sono concreti. Un attacco troppo frontale, magari condito da parole d’ordine vicine a quelle di Marco Rizzo (“Via Ursula!”), potrebbe costringere Salvini a un imbarazzante esercizio di equilibrismo.
Perché se il vicepremier vuole intercettare i consensi più radicali e anti-sistema, in vista delle future sfide elettorali, sa bene che non può permettersi di bruciare i ponti con il cuore moderato del governo. Il cuore che batte forte a via XX Settembre, negli uffici di Giorgetti, dove presto si comincerà a lavorare notte e giorno a una Legge di Bilancio che dovrà convincere la Commissione europea. La preoccupazione è condivisa anche da Palazzo Chigi, dove il profilo di Vannacci non è mai stato considerato una risorsa per la stabilità della coalizione. Anzi.
I contatti tra Salvini e Giorgetti, mai interrotti ma spesso freddi, in queste ore si sono fatti più serrati. Il titolare del Mef – storico leghista, ma sempre più lontano dalla deriva sovranista – ha fatto sapere di attendersi “responsabilità” da tutti. Un avvertimento implicito a Vannacci, ma anche a chi lo incoraggia, consapevole che la sua presenza in lista alle europee ha portato voti e visibilità. Ma quanto può durare questo doppio registro, fatto di rassicurazioni a Bruxelles da una parte e di stilettate populiste dall’altra?
Pontida sarà un test. Non solo per la tenuta interna del partito, ma per la direzione politica che Salvini intende dare alla Lega da qui alle prossime sfide elettorali. Se l’ex generale alzerà i toni, come molti temono, il rischio è quello di spaccare ancora di più un partito già diviso tra “governisti” e “guerriglieri”. Se invece verrà disciplinato, resterà comunque il nodo della sua crescente popolarità nella base, che vede in lui l’uomo del “parlare chiaro”, anche a costo di disturbare i piani alti.
Alla fine, la domanda resta sospesa nell’aria umida di settembre, tra le bandiere verdi di Pontida: a chi fa davvero paura Vannacci? A sinistra, dove viene dipinto come l’incarnazione del populismo militare? A Bruxelles, dove si teme un’ulteriore destabilizzazione politica? O piuttosto dentro la Lega stessa, dove la sua voce potrebbe diventare troppo ingombrante anche per chi oggi lo applaude?
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