Politica
23 settembre, 2025Il ddl punta a dare vita a una “forza armata cyber” sotto l’egida del ministero della Difesa, sottraendo di fatto all’Agenzia per la cybersicurezza oggi in capo alla Presidenza del Consiglio. Un’iniziativa che non è piaciuta affatto a Palazzo Chigi. Non solo per la sostanza, ma per il metodo: "Nessuno ne ha parlato con Meloni"
Di tensioni sotterranee tra Guido Crosetto e Alfredo Mantovano se ne parlava da tempo, nei corridoi ovattati di Palazzo Chigi e nelle sale più riservate del Viminale. Ma con la proposta di legge firmata da Antonino Minardo, presidente della Commissione Difesa alla Camera, il gelo è diventato visibile. Anzi: misurabile. Il disegno di legge punta a dare vita a una “forza armata cyber” sotto l’egida del ministero della Difesa, sottraendo di fatto all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale – oggi in capo alla Presidenza del Consiglio e guidata dal prefetto Bruno Frattasi – il cuore delle sue competenze. Una proposta che ha fatto alzare più di un sopracciglio, ma soprattutto ha innescato reazioni ai piani alti dello Stato.
Se in apparenza si tratta di un’operazione tecnica, sul piano politico il significato è chiarissimo. Lo sa bene anche chi abita i divani del Transatlantico: “Quel testo è ispirato dal ministero della Difesa, che da tempo guarda con interesse al tema cyber”, sussurra una fonte di maggioranza.
Un’iniziativa che però non è piaciuta affatto a Palazzo Chigi. Non solo per la sostanza – che rischia di alterare equilibri istituzionali delicati – ma per il metodo: “Nessuno ne ha parlato prima con Giorgia”, riferiscono fonti vicine alla premier. E nella stagione in cui la presidente del Consiglio rivendica il controllo assoluto della macchina di governo, le fughe in avanti non vengono tollerate.
C’è di più. A quanto trapela, sarebbe stato proprio il Quirinale – attraverso interlocuzioni informali ma ferme – a manifestare una forte perplessità. Il messaggio, arrivato da figure vicine al presidente Sergio Mattarella, è stato chiaro: un accentramento così spinto delle competenze cyber in ambito militare rischierebbe di creare uno squilibrio tra poteri civili e apparati della Difesa, proprio in un momento storico in cui la cybersicurezza è questione di interesse trasversale e nazionale, non militare. Un segnale, quello del Colle, che ha avuto un peso decisivo nel far comprendere alla premier l’opportunità di bloccare l’iter.
Anche tra gli alleati di governo, il disegno di legge non ha raccolto entusiasmi. Forza Italia – storicamente attenta all’equilibrio tra poteri dello Stato – ha preso le distanze: “Non è un tema centrale nel nostro programma”, ha fatto sapere un esponente di peso del partito azzurro, che chiede riservatezza ma lascia intendere che, qualora la proposta arrivasse in Aula, il gruppo potrebbe sfilarsi.
Il braccio di ferro tra Crosetto e Mantovano si gioca così su un terreno minato. Da un lato, il ministro della Difesa è convinto che l’Italia abbia bisogno di una struttura cyber integrata alle forze armate, per rispondere alle minacce ibride del futuro. Dall’altro, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – che ha la delega ai Servizi e mantiene rapporti solidi con le strutture d’intelligence – ritiene che la cybersicurezza debba restare sotto il coordinamento diretto di Palazzo Chigi. E non è un caso se la premier, secondo chi le è vicino, “ha piena fiducia in Mantovano, conosce tutto e sa cosa sta succedendo, anche se fa finta di non vedere”.
La sua linea è nota: osservare, lasciar sfogare le spinte interne, ma intervenire quando serve per mantenere la barra dritta. E in questo caso, l’intervento c’è stato. Il messaggio recapitato al ministro Crosetto è inequivocabile: “Questa riforma non si fa. Almeno, non ora”.
Anche perché si avvicinano scadenze elettorali importanti, a partire dalle regionali d’autunno, e l’ultima cosa che Meloni vuole in questa fase è un’esplosione di frizioni nella maggioranza. Tanto più se si tratta di dossier altamente tecnici ma politicamente divisivi, su cui gli alleati rischiano di spaccarsi.
La questione cyber, dunque, resta nelle mani di Palazzo Chigi. E mentre Crosetto incassa – con diplomazia – lo stop, Mantovano rafforza il suo perimetro di influenza. Ma la tensione resta. E c’è chi scommette che questo non sia stato l’ultimo round.
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