Politica
29 settembre, 2025Metà degli elettori non va a votare, l'altra metà conferma il presidente uscente Acquaroli (FdI). Per conquistare gli astenuti non basta il campo largo guidato da l'ex sindaco di Pesaro Ricci (Pd). Meloni sorride e torna a parlare di premierato
L’onda, l’onda anomala, alla fine, non c’è. Vince la continuità, vince il grigiore, vince chi sta nelle posizioni, non si agita troppo, lascia fare. Se c’è il segno di un’epoca, nel risultato delle Marche che vede la conferma netta dell’uscente di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli e la sconfitta del dem Matteo Ricci, ebbene il segno è questo: la maggioranza degli italiani al momento non ha voglia di cambiare, e chi ne ha voglia evidentemente non trova ora motivi sufficienti per andare a votare, visto che alle urne si è recato appena il 50,1 per cento degli aventi diritto, una percentuale che da sola significa navigare verso la conferma dell’esistente.
Non è bastato, a suscitare entusiasmi, il campo largo che stavolta (a differenza del 2020) ha rimesso insieme tutti i partiti del centrosinistra, dal Pd ad Avs, da Iv a M5S nessuno escluso, e non è bastato che a guidarlo fosse l’ex sindaco di Pesaro, eletto al parlamento europeo un anno fa e sostenuto, nelle correnti interne del Pd, dai romani Goffredo Bettini e Claudio Mancini. «I marchigiani hanno scelto la continuità», è stata una delle prime dichiarazioni del candidato sconfitto, il primo a sapere di non essere a sua volta percepito come sinonimo di discontinuità, in una regione dove il centrosinistra ha governato fino a cinque anni fa. Nessuno dei partiti del resto spicca per risultati: non il Pd di Elly Schlein, con un risultato in linea con la media nazionale ma sotto di oltre 2 punti rispetto a cinque anni fa (quando prese oltre 156 mila voti, il 25 per cento), non i Cinque stelle di Giuseppe Conte che – anch’essi in linea con la media in tutte le votazioni degli ultimi tre anni –perdono circa il 40 per cento in termini di voti assoluti rispetto al 2020 (ma attenzione, il trend è di lunga gittata: la stessa cosa, se non peggio, era accaduta cinque anni fa, quando erano passati da 100 mila voti a 44 mila).
Al contrario Giorgia Meloni sorride dall’alto del suo FdI nettamente primo partito. Si affretta subito a parlare, coi suoi toni e coi suoi argomenti, a quell’area grigia che alle urne non c’è andata e che quindi forse è convincibile. Anche così: «Col premierato tanti elettori torneranno al voto», dice la premier. La parola premierato non la pronunciava da mesi: rispolverare quella promessa adesso non significa cambiare schema, significa più che altro prenotare un posto per le prossime elezioni politiche, spostare il boccino più in là. Del resto il risultato del voto marchigiano nel centrodestra conferma il trend nazionale: sostanziale equivalenza tra Forza Italia e Lega, i due alleati minori che valgono ciascuno ormai circa un quarto di Fratelli d’Italia. Nulla che possa spaventare la premier, anzi: la garanzia di una navigazione tranquilla, almeno all’interno della maggioranza.
Cosa cambia allora, dopo il voto delle Marche? Nel centrosinistra prevedibilmente si rinvigorirà per qualche tempo il tema del «chi guida», nel centrodestra probabilmente invece troverà quiete quel gioco dell’oca infernale che si chiama «trova il candidato alle prossime regionali di Puglia, Campania, Veneto». Vince la continuità, inutile agitarsi.
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