Siamo all’undicesimo giorno - il 30 settembre - di navigazione. La rotta ci porta ormai a circa 150 miglia nautiche dalle coste di Gaza: davanti a noi restano poco meno di due giorni di viaggio. A circa 50 miglia da qui inizia quella che viene definita “zona rossa”, l’area da cui potrebbero cominciare le intercettazioni, secondo quanto accaduto nelle esperienze precedenti e nelle flottiglie che ci hanno preceduto. È anche lì che la fregata militare che ci accompagna si fermerà, lasciandoci soli.

Intanto, arrivano notizie del cosiddetto piano di Trump per Gaza. Noi vogliamo la pace, ma una pace giusta: e questo piano non sembra tener conto di ciò che è avvenuto in questi anni, delle responsabilità del governo Netanyahu, né delle conseguenze che queste responsabilità hanno avuto sul popolo palestinese. Un popolo occupato, sottoposto a un genocidio, privato di tutto, colpito da violenze inaudite. Tutto questo non può essere cancellato o ignorato. Invece, ancora una volta, la voce dei palestinesi è stata esclusa da quei tavoli dove invece Netanyahu — criminale di guerra ricercato dalla Corte Penale Internazionale — ha avuto libero accesso.

L’affidabilità di Trump e Netanyahu non ci lascia grandi speranze. Non è un caso che Netanyahu, appena uscito dal meeting, abbia subito dichiarato che non riconoscerà lo Stato di Palestina, che pure sembrava essere uno dei punti previsti dal piano.

La nostra posizione è chiara: vogliamo una pace, ma una pace che sia giusta, che metta davvero al centro il popolo palestinese e i suoi bisogni.

Nel frattempo, la missione della flottiglia prosegue. Entriamo nelle ore più delicate: per questo serve un’attenzione altissima, da parte di chi è a bordo e di chi ci sostiene da terra. La nave Alpino della Marina Militare italiana ci ha appena lasciati. La navigazione continua, e con essa la nostra determinazione.