Quando finalmente lo trovano, unico sopravvissuto di quattro fratelli in guerra, il soldato semplice James Francis Ryan si rifiuta di tornare a casa. Il suo posto è assieme ai compagni, fino alla fine. Sarà questo il vero messaggio di "Salvate il soldato Ryan" (1998) il film di Steven Spielberg che ha vinto cinque Oscar? Certo, il film ha sconvolto gli spettatori con quelle prime, interminabili sequenze dello sbarco a Omaha Beach, la cronaca del D-Day: una carneficina mai vista sullo schermo, così terrificante perché fedele alla realtà e perciò ancor più commovente: questa è la guerra. Inutile ingentilirla con qualche storia d'amore, rinunciando al sangue, agli uomini fatti a pezzi, orrendamente sfigurati. La guerra è un bagno di sangue. Dalla guerra nasce solo guerra. E se poi c'è la pace, il prezzo, comunque, è stato troppo alto. Più che esaltazione della guerra, questo è un messaggio pacifista. Allora non si capisce perché il grande regista sia stato considerato da qualcuno un guerrafondaio.
Certo, "Salvate il soldato Ryan" è un film di e sulla guerra, sulle sue leggi e sui suoi protagonisti: gli uomini. Uomini come il capitano John Miller (un grande Tom Hanks), che dopo aver diretto lo sbarco si mette alla ricerca di Ryan. E come lo stesso Ryan - interpretato da Matt Damon, bravissimo, con quella sua faccia pulita di bravo ragazzo - capace di dare la propria vita in nome di un ideale. Ma non tutti sono capitani coraggiosi: ci sono i codardi, i disonesti, come nella vita. Un film di guerra alla fine è un film sulla condizione umana. Spielberg è un maestro del genere. Se pure ha saputo farci sognare con "E.T.", oppure regredire con "Jurassic Park", il regista americano è all'uomo che è interessato. E ce lo racconta sempre con immagini splendide e con storie che lasciano il segno. "Salvate il soldato Ryan" ha meritato cinque Oscar: miglior regia a Spielberg, fotografia, montaggio, suono ed effetti speciali sonori.