Festa di Roma, battaglia sul fiume Tevere

Roma celebra il Capodanno con una Festa dedicata al Pianeta Terra: oltre mille artisti pronti a rappresentare i più diversi ecosistemi e a denunciare l'emergenza climatica. Tra i protagonisti Andreco, artista e ingegnere ambientale. Che traduce in opere i risultati dei più rigorosi studi scientifici 

Una delle bandiere cge sfilerà il 1 gennaio alla Parata Tiberina degli Inizi

Formule, algoritmi, numeri, calcoli, picchi d’onda. E foglie, alberi, fiumi, fiori che si schiudono. Intrecciati sui muri di New Delhi e di Porto, di Venezia e di Parigi, dal deserto del Sahara a remote comunità amazzoniche.
Firmato: Andreco. Nome d’arte di Andrea Conte, artista nato a Roma, che raddoppia le cose che fa: è ingegnere ambientale e dipinge murales, ha un dottorato sulla gestione sostenibile delle risorse e lancia performance ambientaliste altamente simboliche, vanta collaborazioni con l’Università di Bologna, la Columbia University, il Cnr e affianca movimenti di protesta internazionali in vere e proprie campagne di advocacy, supporto attivo per la causa: «Sensibilizzare, attraverso l’arte, al passaggio da una visione antropocentrica a una ecocentrica», chiarisce subito.

Olafur Eliasson, l’artista danese-islandese che con “The Weather Project” sta esplorando i cambiamenti climatici in opere d’arte di grandissimo impatto visivo ed emotivo, lo ha detto chiaramente: «L’arte è tra i veicoli più potenti per sensibilizzare all’urgenza ambientale. Ha un ruolo cruciale: mentre la politica è ossessionata dall’immediato e da un consenso effimero, l’artista deve avere uno sguardo più lungo». E i ghiacciai si sciolgono nella realtà e nei suoi lavori, “Ice Watch” o “In Real Life” (fino al 6 gennaio alla Tate Modern di Londra); l’acqua si fa bene sempre più prezioso, e cascate artificiali, in “Waterfall” lo ricordano investendo i visitatori; “Little Sun”, scintillante torcia è pensata per i posti del mondo ancora al buio. Mentre pareti di licheni richiamano gli aromi e le sensazioni tattili dei paesaggi naturali, corridoi di nebbia multicolore immergono in un disorientamento assoluto. «La conoscenza scientifica oggi c’è, ma è disincarnata: per questo è una scienza senza memoria», sostiene Eliasson: «Quello che l’arte può fare è mettere in gioco i nostri corpi. Produrre una narrazione fisica che diventi esperienza, e memoria, in ognuno di noi».

Il rigore della scienza, e l’arte come ossessione comunicativa, si saldano in Andreco che, traendo ispirazione dai suoi studi, sintetizza in installazioni, video, sculture e progetti d’arte pubblica i rischi del surriscaldamento, l’innalzamento delle maree, l’inquinamento che soffoca e uccide.

Prossima tappa del suo Climate Art Project (climatearteproject.com) la Capitale, in occasione della Festa di Roma 2020, la manifestazione che dalla sera del 31 dicembre alla sera del primo gennaio invaderà le strade del centro della città, quest’anno con la Terra e la nostra relazione con la natura, come filo conduttore: un viaggio tra ecosistemi, il mondo del mare e quello dei ghiacci, dei deserti e delle giungle, performance acrobatiche, e la presenza di un migliaio di artisti tra danzatori, scultori, musicisti (lafestadiroma.it.).
L'artista Andreco

Proposto dalla Fondazione Romaeuropa, Andreco lancerà la Parata Tiberina degli Inizi, una sfilata dedicata all’elemento naturale dell’acqua, e in particolare al fiume Tevere, alle sue condizioni passate e future. Una marcia composta da 25 partecipanti, selezionati attraverso una call pubblica, un coro (in collaborazione con il Teatro dell’Opera), il suono di otto archi (in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia). Arte partecipata e performance urbana, con la quale attirare l’attenzione sull’inquinamento del Tevere.

«L’acqua è il primo vettore di sostenibilità per le città», spiega Andreco che nei mesi scorsi ha partecipato a un’operazione artistico-scientifica per la rigenerazione delle aree verdi della Riserva naturale dell’Aniene. «Sono affascinato dall’acqua. Elemento che dà il senso del disastro globale», dice l’artista, che a lungo ha lavorato anche in India, sul fiume Gange e su un suo affluente, il fiume Yamuna, uno dei più inquinati al mondo a causa dei prodotti chimici e dei rifiuti sistematicamente riversati nelle sue acque. Venerato dagli induisti, è stato protagonista di una performance con un potente murales (realizzato con air ink, inchiostro ricavato dallo smog) e il coinvolgimento di molti abitanti e associazioni locali.
«Nel caso del Tevere la sfida è stata quella di mescolare i dati scientifici di cui disponiamo alla mitologia del fiume e al significato che il fiume ha e ha avuto nella storia di Roma. L’obiettivo di oggi è di chiedere con forza il riconoscimento a Parco fluviale per preservarlo», aggiunge. Un gruppo di persone, a conclusione della parata con bandiere in mano, parteciperà un provocatorio rito di purificazione. In pieno stile Andreco: figure spesso col volto coperto che simulano incursioni, che sbucano all’improvviso come in un flash mob, che tracciano confini o li presidiano. A ricordare che il tempo è poco, e che ragionare per frontiere chiuse non ha senso. Vedi la Parata per il Paesaggio, a Santa Maria di Leuca, nel 2014.

«Volevo attirare l’attenzione sul tema della Climate Migration, i movimenti di persone legate ai cambiamenti climatici. Quel tratto di costa che scende fino a Otranto è il territorio più a est dell’Italia. La scogliera è il punto di passaggio naturale del paesaggio che da terrestre diventa marino. Contro i confini imposti dalle soluzioni politiche», nota.
Arte e scienza, con un occhio ancora rivolto all’acqua, lo hanno visto protagonista delle tappe artistiche precedenti: a Parigi (Climate 01, murale e scultura, nel 2015), a Bologna (Climate 02, murale e poster nel 2016), a Bari (Climate 03, murale per riflettere sulla desertificazione), e soprattutto a Venezia, con Climate 04, Sea level rise. Il murale, che riporta le quote del livello del mare previste sino al 2200 incluse le variabili che influenzano il fenomeno, suona oggi come il profetico allarme sulla sopravvivenza della città lagunare, dopo gli episodi di acqua alta che si erano già registrati tra il 2000 ed il 2013. «È stato il primo murale autorizzato sul Canal Grande», sottolinea Andreco (il progetto è visibile nei pressi della stazione ferroviaria).
Ma guai a etichettarlo come street art: «Ho preso ispirazione dal Rapporto redatto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPPC)», precisa: «Io chiamo il mio metodo di lavoro “Nature as Art”: un tributo alla natura, prima di tutto, che consiste nel trasferire elementi naturali in un ambiente artificiale. Così facendo muta il punto di vista e la percezione. Lo faccio mischiando discipline, media e linguaggi diversi, radici scientifiche e attivismo ambientalista, passione politica e tradizione artistica. Tutto comincia in modo sinergico, non c’è lo scienziato a monte che si allea con l’artista dopo. Sono contenuti complessi che si trasferiscono in operazioni pubbliche». Con quali riferimenti nel mondo dell’arte? «Sicuramente il mio lavoro è stato influenzato dalla Land Art di Richard Long e dai movimenti degli anni Sessanta e Settanta di Arte e Natura e di Arte politica. Ma con una differenza, come ha sottolineato la storica e critica d’arte Angela Vettese: quei movimenti connettevano alla natura in un modo romantico. Il mio lavoro artistico è dettato dall’emergenza di fronte alla quale ci pongono dati e studi scientifici sui cambiamenti climatici». L’arte sposa sempre più spesso le urgenze della contemporaneità, a partire da quella ambientale. Gli artisti Lucy e Jorge Orta lo fanno tramutando luoghi ai limiti della sopravvivenza in utopie ai confini del mondo. L’argentino Tomàs Saraceno colloca l’uomo nei suoi delicati ecosistemi, bolle sospese bisognose di cura e attenzione per sopravvivere. «Ma nessuno è così nerd come me», scherza l’ingegnere, di recente selezionato dal Grand Tour d’Italie, il programma del Ministero dei Beni culturali per promuovere l’arte italiana all’estero, che lo ha incluso tra quegli artisti degli ultimi quindici anni capaci proprio di cogliere il cambio di paradigma da un modello economico e produttivo non più sostenibile.

Andreco cita Mark Fisher quando parla, e Jacques Rancière; strizza l’occhio al movimento di protesta Extinction Rebellion; investiga i rapporti tra spazi urbani e natura (come ha fatto a New York, quantificando i vantaggi dei fitorimedi in una determianta area), per tradurli in arte. Che è a sua volta arma, forma di opposizione, dispositivo in grado di mettere in moto una consapevolezza collettiva. «L’arte resta una forma di espressione inutile, nel senso di non funzionale. Però è politica quando è in grado di lanciare ponti tra diverse discipline e far immaginare da altri punti di vista scenari possibili. Il mio lavoro punta a stimolare la coscienza critica contro chi nega i cambiamenti climatici o vuole approfittarne», dice.

È il “greenwashing” l’ultima ossessione dell’artista romano: la strategia di comunicazione utilizzata da molte imprese per dare di sé un’immagine positiva sotto il profilo ambientale, e distrarre nel frattempo dagli effetti negativi che la loro stessa produzione arreca.
«La mia arte aiuta a produrre gli anticorpi per distinguerla. E respingerla con forza». 

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