Salute
16 dicembre, 2025Ufficialmente ne mancano 65 mila, ma per i sindacati la carenza è almeno doppia. Sono 6,5 ogni mille abitanti. La categoria è in sofferenza in tutta Europa dove però la media è di 8,4
È una crisi trascurata ma con un grande impatto sulla vita di tutti: siamo a corto di personale sanitario, soprattutto infermieristico. In Italia, così come in Europa. Secondo un rapporto dell’Ocse, già nel 2022 ai Paesi europei mancavano 1,2 milioni di lavoratori tra medici, infermieri e ostetrici. Con l’invecchiamento della popolazione, l’aumento di malati cronici e l’indebolimento complessivo dello stato sociale, di questa crisi ce ne accorgiamo appena entriamo negli ospedali e quando ci sono persone da assistere a casa. E in questi casi i primi professionisti che incontriamo di solito sono gli infermieri.
Sono la categoria più numerosa, tuttavia «in tutti i Paesi europei i sindacati segnalano carenze di personale infermieristico, nei paesi Baltici tanto quanto in Italia o in Spagna», spiega a L’Espresso Jan Willem Goudriaan, segretario generale dell’European public service union (Epsu), che riunisce i sindacati europei del settore pubblico. Secondo Goudriaan le istituzioni europee non danno la priorità a questa crisi per tre motivi: «Primo, è molto facile dire che la sanità è di competenza nazionale; secondo, se volessero fare della sanità una priorità dovrebbero rivedere le politiche di austerità; e terzo, al momento l’Ue ha assunto la posizione, ideologica se vogliamo, per cui spingere sulla competitività è la cosa più importante, il resto conta meno».
La carenza di infermieri riguarda persino i Paesi nei quali i numeri assoluti sono più alti: bisogna guardare alla loro distribuzione, per esempio nelle aree rurali o difficilmente accessibili. Per quanto riguarda l’Italia, invece, l’Ocse ha stimato la presenza di 6,5 infermieri ogni mille abitanti, contro una media europea di 8,4. La cifra esatta di quanti di questi professionisti servirebbero alla sanità italiana varia a seconda di come è calcolata; secondo la Corte dei Conti ne mancano almeno 65 mila, altri contano dalle 130 mila alle 175 mila unità mancanti.
Di sicuro non è una carenza improvvisa; tra le cause ci sono il blocco delle assunzioni di personale sanitario deciso in Italia negli anni della crisi economica europea, le dimissioni, i pensionamenti anticipati e ovviamente un problema di stipendi insufficienti, soprattutto per una categoria professionale con un forte stress fisico e mentale, ore e ore di straordinari e difficoltà nel mettere insieme vita privata e lavoro.
Solo il 27 ottobre scorso quasi tutti i sindacati hanno firmato il contratto nazionale 2022-2024. Sono previsti in media 172 euro lordi in più in busta paga: «Dal punto di vista stipendiale questo contratto non ci aiuta a ridurre il gap con gli altri Paesi europei, che rimane circa del 20 per cento», segnala Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato Nursind. Ma questa firma è un passo necessario per avviare la trattativa sul contratto per gli anni 2025-2027. Anche un altro sindacato, il Nursing Up, si aspetta di tornare presto al tavolo dei negoziati. Il presidente, Antonio De Palma, ricorda il perché non ci possiamo permettere di restare senza infermieri: «Se non ci sono infermieri il cittadino si rivolge ai cosiddetti praticoni, con gravi conseguenze per la salute».
Tuttavia, in Italia come all’estero, la figura dell’infermiere è spesso sottovalutata; secondo Bottega è colpa di un approccio del sistema troppo incentrato sul medico, mentre bisognerebbe dare agli infermieri più autonomia. Non è un problema solo italiano: «Spesso l’infermiere, purtroppo, viene ancora visto come colui che porta da mangiare, che lava il paziente, che gli cambia il letto ma di fatto non è così: è una professione completamente indipendente, non è un assistente al medico», evidenzia anche Manuel Ballotta, policy advisor della European federation of nurses associations (Efn), la federazione delle associazioni professionali europee.
Mentre altrove gli infermieri specializzati godono di maggiore autonomia, in Italia – dove pure esistono corsi di laurea magistrali in Scienze infermieristiche destinati a specializzazioni cliniche e non solo per chi vuole insegnare o svolgere lavori amministrativi – il campo d’azione è più limitato. Secondo Beatrice Mazzoleni, segretaria di Fnopi, la federazione degli ordini professionali degli infermieri italiani, ci vorranno circa tre anni e degli aggiustamenti perché anche da noi queste figure specializzate siano riconosciute. «Quello che stiamo provando a cambiare come federazione – spiega Mazzoleni – è un modello nel quale finora un infermiere che entrava nell’ambito clinico non aveva nessuna possibilità di carriera». La segretaria di Fnopi si sofferma anche su un nodo cruciale che riguarda la formazione. Per la laurea triennale in Scienze infermieristiche attualmente i posti a disposizione sono circa 20mila. Non basterebbe aumentare il numero dei posti messi a bando dalle università? «No – risponde seccamente – perché è una scienza applicativa: posso avere 200 studenti in un’aula per raccontargli le conoscenze ma quando ne ho 20 in un reparto non posso seguirli adeguatamente e metto a rischio i pazienti».
Nonostante le aspettative di stipendi bassi e di un pesante carico fisico ed emotivo, ci sono ancora giovani che vogliono fare questo mestiere. Bottega, che oltre a rappresentare Nursind lavora in ospedale, racconta che per lui è ancora un privilegio poter aiutare chi si trova in difficoltà e, a volte, essere quella persona che offre conforto negli ultimi istanti di vita.
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