Danni alla barriera intestinale e squilibrio dei batteri buoni: micro e nanoplastiche interferiscono con la salute, secondo una ricerca pubblicata su Nature Communications

Microplastiche e intestino: la scienza conferma i pericoli

Le microplastiche e, ancor di più, le nanoplastiche – minuscoli frammenti di plastica fino al milionesimo di millimetro – possono compromettere la salute dell’intestino. A confermarlo è uno studio condotto su modelli animali dalla National Chiayi University di Taiwan, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. La ricerca rivela come queste particelle siano in grado di alterare la barriera intestinale e disturbare profondamente l’equilibrio del microbiota, cioè l’insieme dei miliardi di batteri “buoni” che vivono nel nostro intestino e contribuiscono al suo buon funzionamento. 

Esperimenti sul polistirene nei topi 

Lo studio ha analizzato l’impatto del polistirene, un tipo di plastica ampiamente diffuso in ambito industriale e alimentare, sull’intestino di topi di laboratorio. I risultati mostrano che l’accumulo di nanoplastiche altera la permeabilità intestinale – una delle difese chiave dell’organismo – modificando il comportamento delle cellule che rivestono l’intestino e che sono responsabili della produzione del muco protettivo. Inoltre, le particelle interferiscono con il funzionamento di piccoli frammenti di Rna e delle proteine a essi associate, contribuendo a rompere l’equilibrio molecolare. 

Microbiota sotto attacco 

Un altro elemento critico emerso dagli esperimenti è la capacità di alcune popolazioni batteriche intestinali di inglobare direttamente le particelle plastiche. Questo processo altera la composizione del microbiota, favorendo alcune specie rispetto ad altre e causando una perdita della diversità microbica, considerata oggi uno dei principali indicatori di salute intestinale. 

L’esposizione attraverso il cibo 

“Le attività umane ci hanno esposto sempre più a frammenti di plastica attraverso la catena alimentare, sollevando preoccupazioni sul loro impatto sul microbiota”, spiegano gli autori. “È stato dimostrato che le microplastiche e le nanoplastiche possono indurre danno al fegato, alle cellule del sangue e disturbi testicolari nei mammiferi, alterando l’equilibrio del microbiota intestinale”. I ricercatori taiwanesi si sono concentrati su un obiettivo specifico: chiarire i meccanismi molecolari attraverso i quali le nanoplastiche danneggiano l’intestino. Hanno osservato che l’interferenza con l’Rna e con alcune proteine regolatrici ha effetti a cascata su molte funzioni vitali, tra cui l’adesione delle cellule tra loro, la secrezione di sostanze protettive e l’interazione tra l’ospite e i suoi batteri simbionti. “Questi risultati rivelano un meccanismo mediante il quale le nanoplastiche compromettono l’integrità intestinale e alterano indirettamente la composizione del microbiota intestinale, portando potenzialmente a conseguenze negative sulla salute”, dice lo studio. Sebbene la ricerca sia stata condotta su modelli animali e occorrano ulteriori studi per confermare gli stessi effetti sull’uomo, i risultati aprono un nuovo fronte di riflessione sul ruolo delle microplastiche nella nostra dieta quotidiana. I frammenti possono penetrare nella catena alimentare attraverso il consumo di pesce, frutti di mare, acqua in bottiglia e persino alimenti trasformati confezionati in materiali plastici. 

Tracce anche in sangue, polmoni e placenta 

Negli ultimi anni, le microplastiche sono diventate una presenza diffusa negli ecosistemi marini e terrestri, ma anche in ambienti considerati finora protetti, come il corpo umano. Tracce sono state trovate nel sangue, nei polmoni, nella placenta e, come sempre più studi dimostrano, nell’intestino. Questa ricerca contribuisce a delineare un quadro più chiaro di come e quanto queste particelle interagiscano con i nostri sistemi biologici. 

Come ridurre l’esposizione alle microplastiche? 

Il tema è oggi al centro di numerosi progetti di ricerca a livello globale. La necessità di sviluppare strategie di prevenzione e monitoraggio diventa sempre più urgente, sia sul fronte delle abitudini alimentari, sia per quanto riguarda le politiche ambientali. Ridurre l’uso di imballaggi in plastica, migliorare i sistemi di smaltimento e promuovere comportamenti consapevoli a livello individuale e collettivo sono le misure più immediate e concrete per ridurre l’esposizione quotidiana. 

Anche il cervello può essere colpito 

La relazione negativa tra microplastiche e salute era già stata sollevata in passato, con particolare riferimento allo sviluppo delle demenze. Uno studio pubblicato lo scorso febbraio su Nature Medicine dall’Università del New Mexico acceso i riflettori sul rischio derivante dall’accumulo di microplastiche proprio a livello cerebrale: analizzando 52 cervelli di persone decedute era stato rilevato un contenuto medio di 4.800 micro frammenti di plastica, così piccoli da essere riusciti a passare la barriera ematoencefalica, che volumetricamente arrivavano a riempire un cucchiaio.

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