Graziano Rossi, comunicatore di 37 anni, è nato con la distrofia muscolare di Becker. Una malattia neurodegenerativa attualmente incurabile: «Colpisce i muscoli delle gambe. Soffro di crampi e debolezza». Una malattia invisibile all’occhio. «L’abilismo mi accompagna da sempre».
Che studente era?
«Bullizzato. Senza una cultura al rispetto è molto difficile per un adolescente aprirsi all’altro, percepito come diverso. I compagni mi sfidavano a compiere azioni per me difficilissime. Banalmente anche giocare a calcio. Terminato questo periodo mi sono trasferito da Foggia a Roma per studiare».
Quali difficoltà ha incontrato nella Capitale?
«Con l’età adulta si affrontano i pregiudizi con una forza diversa, o meglio, io ci riesco, mentre c’è chi è abbandonato a sé stesso. Oggi ho una compagna, due figli. I problemi emergono, ad esempio, prendendo l’autobus. Sembra un gesto banale, non è così: la distrofia mi costringe a una sposatezza perenne. La mia è una malattia invisibile. A guardarmi non si direbbe. Ma il corpo si blocca. Provo a sedermi su un bus e partono le accuse: falso invalido, insulti. Una domenica con mia moglie siamo andati ai Musei Capitolini, un’attesa difficile da sopportare. Ho seguito le procedure per accorciare i tempi. Mi sento sempre in difetto quando lo faccio. Alle casse una persona ha iniziato a inveirmi contro, spintonarmi. È la quotidianità».
Ha mai denunciato?
«No, per timore di avere rotture di scatole lascio correre. In passato sul lavoro ci ho pensato».
Cioè?
«Sono categoria protetta, ho la 104. È molto difficile se non sei visibilmente connotato come disabile far capire che hai dei limiti. Da disabile sono consapevole di avere dei diritti, eppure mi trovo costretto in oltre 15 anni di lavoro a dover spiegare perché nel caso della mia patologia sono stanco e ho dolori muscolari, soffro di minore concentrazione. C’è poca empatia e conoscenza».
In un tweet diventato virale ha scritto: «Ho un sogno: non leggere più insulti discriminatori che noi #disabili, dalla 104 a demente e mongoloide (mi fa schifo solo scriverlo)». L’abilismo verbale è un problema che ha incrociato spesso?
«Sempre. Sui social ogni giorno. Preferirei non averla proprio la 104, invece c’è chi la augura. È umiliante».
Pensa che la legge Zan possa essere utile considerando la sua traiettoria di vita?
«La legge 104/92 non basta. Promuove, tra le sue finalità, la piena integrazione, ma poi c’è la realtà, gli aspetti psicologici, fondamentali quanto la cura fisica. L’approvazione del ddl Zan è importante per la cultura: è necessario che le persone capiscano quanti problemi provochi una qualsiasi disabilità. La legge tutela tutte le fasce vulnerabili. È un primo passo. Porterà i cittadini a muoversi verso una vera inclusione».