Viene da una famiglia poverissima, che abitava in una roulotte. Arrivata al successo, ha deciso di stare dalla parte dei più deboli. E nel prossimo film sarà una madre single e disoccupata che combatte contro i pregiudizi di classe

Gli attori amano raccontare che la sfida più intrigante del mestiere sia interpretare personaggi "di confine": quelli in perenne bilico tra tenacia e sottile follia, tra crimine e passione d'amore. Hilary Swank, 36 anni compiuti, due Oscar come migliore attrice protagonista alle spalle (con "Boys Don't Cry" nel 1999, e "Million Dollar Baby" nel 2005), di queste linee di confine ha fatto la sua cifra espressiva, e di vita.

Un talento che da oltre un decennio sta cambiando i canoni del cinema americano al femminile: il fascino di Hilary non è quello di una star costruita a Hollywood (come ad esempio la bellissima Charlize Theron), né di una stella di ottime frequentazioni universitarie, altissimo quoziente d'intelligenza e impegno politico (come la bravissima Natalie Portman). La Swank è invece una donna nata nei bassifondi, anzi ai margini della società, non bellissima, dal viso irregolare, dal corpo che non è l'esempio classico dell'armonia, ma è riuscita lo stesso a imporsi nel mondo dell'industria cinematografica con determinazione, bravura, professionalità, e una certa dose di ambiguità sessuale che trasmette. Anzi, ha creato un nuovo modello di attrice.

Intanto ha avuto un incidente di percorso: il film "The Resident" di Antti Jokinen non è andato bene, non per colpa sua. Ma presto la vedremo in Italia in un'altra opera, che invece è un successo: "Conviction" di Tony Goldwyn. Qui Swank interpreta di nuovo un ruolo estremo. Di quelli che le fanno rivivere la propria vita e che le danno la chance di sintetizzare le sue doti migliori, le stesse che Clint Eastwood aveva intuito ed esaltato nel suo capolavoro "Million Dollar Baby": presenza forte, mimica per le sfumature sentimentali sottili, fiuto spontaneo per i drammi umani. In "Conviction" c'è tutto questo, ma anche qualcosa di più: la forza della realtà. Betty Anne Waters, la protagonista del film è una donna che esiste davvero, che ha combattuto la sua personale battaglia contro la giustizia americana, ad Ayer nel Massachusetts, dove vive. Un po' come è esistito davvero il transessuale Brandon Teena che la Swank portò sullo schermo nell'altro capolavoro "Boys Don't Cry": "Il ruolo più importante di tutta la mia carriera", ricorda con "l'Espresso".

"Conviction" narra la vicenda della devozione profonda (e di confine) di una sorella per il fratello. La storia è questa: Betty Anne Waters è una mamma single e disoccupata. Una marginale. Nel 1983 suo fratello viene condannato all'ergastolo; le prove sono incerte, anzi false. Contro Kenny (incarnato da Sam Rockwell) prevale il pregiudizio di classe. Dimostrare l'innocenza del fratello diventa la sola ragione di vita di Betty Anne. Ecco perché si iscrive all'università (un'impresa economica ingentissima in America), si specializza in Giurisprudenza, e con l'aiuto della migliore amica Abra Rice (la più volte nominata all'Oscar Minnie Driver), scandaglia una montagna di prove montate ad arte dal poliziotto di periferia Nancy Taylor (Melissa Leo). E dopo 17 anni di lotta e grazie alla fiducia nelle proprie ragioni e nella urgenza di riscattare la dignità del fratello e di tutti coloro che vengono trattati da esseri umani di serie B, tocca con mano il trionfo.

E qui torniamo all'attrice. Anche per Swank il successo non è solo professionale, ma prima di tutto umano. Negli anni Novanta l'industria cinematografica ha fatto credere sul serio nel sogno di un'America diversa: "Boys Don't Cry" fu allora il risveglio da quel sogno. "Non c'era commedia", ricorda Hilary, "che non provasse a raccontarci come l'America stesse diventando un posto tollerante con i gay, solidale con i poveri e con i diversi. Infatti il presidente Clinton lo era. L'America no". Per quel ruolo Swank ricevette un compenso di appena 3 mila dollari. Ma fu l'inizio di un'inarrestabile ascesa.

Gli zigomi marcati, sopracciglia forti e scure, il taglio dei capelli corto: nell'aspetto di Swank c'è qualcosa di mascolino. Ma poi è sempre la sua femminilità magnifica a bucare lo schermo. Prima di quel film e di quell'Oscar, Hilary si muoveva nei piani bassi dell'industria, in produzioni commerciali senza pretese. Ma partire da quell'opera che nasce una Swank icona delle donne d'America in lotta. Recita nel thriller di Sam Raimi ("The Gift") a fianco di un Keanu Reeves che la picchia, o insieme ad Al Pacino e Robin Williams diretta da Christopher Nolan ("Insomnia"). Segue il secondo Oscar per la sua Maggie Fitzgerald che arriva alle qualificazioni per i mondiali di box femminile.

Del suo ultimo film Hilary vuole spiegare meglio l'intreccio tra i ruoli che cambiano la vita e il suo processo di identificazione con quelle donne: "Le persone che hanno iniziato da zero, dal gradino più basso della società come Betty Anne e io, dovranno sempre lottare per conquistare quello che hanno, è scritto nel nostro codice genetico. Sto dalla parte dell'umanità a cui nulla è stato regalato". Anche oggi, da diva riconosciuta e acclamata, la pensa così? "Certo. È proprio da qui, dal punto in cui mi trovo, all'apice della mia fama e della mia carriera, che tutto mi appare più chiaro". Poi tace per un mezzo minuto e confessa: "Non ho mai avuto la sensazione di avere un modello di riferimento da seguire per dimostrare di essere una bella ragazza".

L'impresa di Betty Anne Waters, quella vera, ha dell'incredibile: qualcosa che oltrepassa il normale affetto familiare. O l'abusata estensione delle categorie di umiltà e altruismo. E anche qui la fiction si mescola con la realtà: "Mio fratello è otto anni più grande di me", dice Swank, "la mia finestra sull'infanzia è stato il campo delle mobile house, vicino a Washington. Da bambina, non conoscevo un altro universo". O forse sì, ma nel peggiore dei modi. I genitori degli altri bambini, incontrati in una scuola pubblica, quando arrivava la piccola Hilary, la mandavano via. In America, ancora più che in Europa, la povertà è un marchio. "Ai loro occhi eravamo i poveracci, i delinquenti, spazzatura umana, come da voi i profughi dall'Africa". Laurearsi in giurisprudenza negli States costa una fortuna. Come ha fatto la madre single e senza lavoro come Betty Anne? "Sicuramente non ha ricevuto borse di studio. Credo, anzi, che si sia ricoperta di debiti che si porta ancora dietro".

Cerca, Swank, ruoli che la disturbino, che le diano la possibilità di rappresentare la metamorfosi. Esteriore (da donna a uomo, o da uomo a donna), ma anche interiore: nel modo di sentire, di capire, di sperare. "Il mio lavoro assomiglia a uno studio avanzato di psicologia. Sono consapevole che quest'approccio ha a che fare con la mia infanzia, che mi ha fatto quello che rimarrò: un'outsider", risponde.

Quale impatto vuole che abbia "Conviction" sul pubblico? "Spero che getti un po' di luce sul sistema. Un errore giudiziario, in un Paese con la pena di morte, diventa una tragedia, ma anche l'ergastolo lo è. C'è un progetto cui partecipo che si chiama Innocence Project. Finora ha salvato la vita a 259 persone ingiustamente accusate. Ce ne sono ancora di innocenti nelle nostre galere, ma non hanno i mezzi per far riaprire i loro casi". Betty Anne ha dedicato la sua vita a questa causa: "Lei direbbe che ha fatto quello che avrebbe fatto chiunque se si fosse trovato al suo posto. Il punto è che quella donna ci crede davvero". Per molti è solo una squilibrata. "Certo. E per questo porterò Betty Anne e il fratello Kenny per sempre nel cuore".

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