Quanto sia importante la diplomazia ambientale lo dimostrano due notizie che si sono intrecciate pochi giorni fa. Prima la Spagna annulla un ordine di fatto dal ministero per la Difesa, perché comprare armi da Israele avrebbe fatto cadere il governo. Pochi giorni dopo, però, alcuni Canadair spagnoli si uniscono alla flottiglia inviata da altri Paesi europei per aiutare a spegnere gli incendi che stavano divorando le colline vicine a Gerusalemme. Di fronte a un rogo che minacciava allo stesso modo israeliani e palestinesi, non inviare aiuti sarebbe stato non solo disumano ma anche strategicamente miope. Quella degli incendi è un’emergenza che dopo anni di riscaldamento globale e di continui record di temperature è diventata sempre più minacciosa per tutti i Paesi del mondo. Oggi è Israele ad aver bisogno di aiuto, ma domani potrebbe essere la Spagna.
Chi promuove la diplomazia ambientale però si propone di non lavorare solo nelle emergenze, ma di costruire una rete di rapporti e buone pratiche che permetta di prevenire i disastri. Questa branca della collaborazione tra Nazioni, che sta diventando sempre più importante, vede l’Italia in prima linea. Molti dei progetti di cooperazione evidenziati da Climate Diplomacy, piattaforma che tiene le fila del settore, fanno capo all’Italia, e in particolare all’Arma dei Carabinieri. Ne abbiamo parlato con il tenente colonnello Claudio Sanzò, dell’Ufficio cooperazione internazionale del Comando Generale.
Cos’è la “diplomazia ambientale”?
«Si definisce così quella parte della diplomazia internazionale che si occupa di promuovere il dialogo e negoziare accordi tra Stati su tematiche ambientali, sfide globali che non si fermano ai confini nazionali. Inquinamento atmosferico, cambiamenti climatici, deforestazione e perdita di biodiversità sono fenomeni transnazionali e, per questo motivo, nessun Paese può risolverli da solo. Servono politiche comuni, come quelle decise negli accordi internazionali: per esempio la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), adottata nel 1992, o l’Accordo di Parigi del 2015 che l’Ue e tutti i suoi Stati membri hanno firmato e ratificato, per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici».
Come si costruisce una collaborazione tra i Paesi più ricchi, e che in passato hanno inquinato di più, e quelli in via di sviluppo?
«Alcuni Paesi hanno storicamente contribuito di più all’inquinamento, mentre altri ne subiscono le conseguenze peggiori. Accordi come il Protocollo di Kyoto hanno introdotto il principio di “responsabilità comune ma differenziata”, riconoscendo che i Paesi industrializzati hanno maggiori responsabilità nel controllo delle emissioni in quanto maggiori responsabili storici. Gli accordi internazionali favoriscono inoltre il trasferimento di tecnologie pulite, la formazione di esperti e il supporto tecnico e finanziario ai Paesi meno sviluppati. Ma c’è un altro aspetto importante: la scarsità di risorse naturali, come acqua e terre coltivabili, può causare tensioni tra Stati. La diplomazia ambientale aiuta a prevenire o risolvere pacificamente questi conflitti».
Perché proprio i carabinieri sono stati coinvolti nei progetti ambientali?
«L’Arma dei Carabinieri ha un ruolo duplice, di Polizia e di Forza Armata, ed è responsabile di un’ampia gamma di compiti in tutto il Paese, dalla più grande città al borgo più lontano. In particolare il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari (Cufa) combatte reati che sono la nuova frontiera della criminalità organizzata transnazionale. Con quasi seimila agenti specializzati rappresenta la polizia ambientale italiana, che tutela le risorse naturali, la biodiversità e gli ecosistemi. Il Comando ha compiti investigativi sui reati ambientali, è coinvolto in reti di collaborazione internazionale come Empact ed EnviCrimeNet e ha una specifica esperienza investigativa nel contrasto al traffico illecito di rifiuti. Del resto già nel 1986, l’anno in cui nacque il Ministero dell’Ambiente, venne istituito il Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri (Noe)».
E gran parte del forestali qualche anno fa sono entrati a far parte dei carabineri…
«Sì, il Cufa, istituito nel 2016, ha assorbito le funzioni del Corpo Forestale dello Stato: opera sotto la direzione del Ministero dell’Agricoltura, per quanto riguarda la sicurezza alimentare e la protezione forestale, e sotto il Ministero dell’Ambiente per le attività correlate alla tutela ambientale. L’Italia è stata pioniera in Europa nell’istituire una forza specializzata nell’applicazione della normativa ambientale. Grazie a questa struttura, i Carabinieri sono in grado di gestire e coordinare progetti ambientali su scala nazionale e internazionale».
Ci può fare qualche esempio di collaborazioni internazionali?
«Lavoriamo con la Fao per proteggere l’ambiente, le foreste e la biodiversità, e con le Nazioni Unite per sviluppare programmi di formazione sulla protezione ambientale. Inoltre, i 28 reparti del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità gestiscono oltre 130mila ettari di riserve naturali, che hanno la maggiore concentrazione di specie diverse di flora e fauna in Europa».
Cos’è il “Sabaudia Project”?
«È un’iniziativa promossa dall’Arma per trasformare il Centro di formazione di Sabaudia in un centro di eccellenza per la protezione ambientale, che collaborerà strettamente con le Agenzie delle Nazioni Unite impegnate su queste tematiche. L’idea fondante del progetto è quella di stabilire una partnership istituzionale con le agenzie dell’Onu per promuovere piani operativi annuali e bandi per la selezione di partecipanti, principalmente provenienti da Paesi in via di sviluppo. Questa iniziativa si inserisce nell’ambito della collaborazione tra l’Italia e le Nazioni Unite per la gestione dell’impatto ambientale delle missioni di peacekeeping, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e la sostenibilità nella gestione ambientale. Il Sabaudia Project ha già avviato diverse attività formative: negli ultimi anni, sono stati organizzati corsi per la Guardia Civil spagnola, la Gendarmeria Nazionale francese, per rappresentanti dell’Associazione Internazionale delle Gendarmerie e Forze di Polizia a statuto militare e per l’Unione Africana».
E gli altri progetti che aspetti riguardano?
«Soprattutto il contrasto del traffico illecito di rifiuti, animali selvatici e legname. Il Comando Tutela Ambientale e Sicurezza Energetica dell’Arma dei Carabinieri, in particolare, svolge un ruolo cruciale nel contrastare i reati ambientali, rispondendo alle richieste di intervento provenienti dal Ministero dell’Ambiente, dall’Autorità Giudiziaria ma anche dai singoli cittadini. Il Raggruppamento Carabinieri Cites, invece, è responsabile dell’applicazione della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione. Dello stesso raggruppamento fa parte la Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno degli Animali (Soarda). L’Arma dei Carabinieri partecipa inoltre a diversi progetti finanziati dal programma europeo Life per la conservazione dell’ambiente e della biodiversità: per esempio il progetto Satec, che mira a definire quadri giuridici internazionali e nuovi metodi di indagine per combattere i crimini ambientali dentro e fuori dall’Europa».
E la lotta all’inquinamento?
«Un altro progetto dell’area Life (si chiama Modern nec) si propone di migliorare il sistema di valutazione degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi forestali e acquatici in Italia: il quadro è la Direttiva europea Nec, del 2016, che impone di ridurre le emissioni dannose e di monitorarne gli effetti, anche in relazione ai cambiamenti climatici. Il progetto Foliage invece dal 2020 cerca di migliorare la governance forestale attraverso la digitalizzazione delle procedure, il monitoraggio satellitare dei boschi e la gestione attraverso un Sistema Digitale delle Foreste. Il progetto coinvolge attivamente Regioni (Lazio e Umbria), professionisti, ricercatori, ong e cittadini, e punta a diventare un modello replicabile a livello europeo. Sempre con un focus ben preciso sulla tutela ambientale è in corso un progetto di gemellaggio con il Ministero dell’Interno macedone per rafforzare la prevenzione e gestione dei crimini contro il patrimonio culturale e ambientale. Un gemellaggio simile era già stato realizzato con la Giordania. Ma gli impegni non si fermano al Mediterraneo: una simile collaborazione è in corso con organismi omologhi latinoamericani. L’Arma metterà a disposizione di Argentina, Cile e Messico, le proprie competenze specialistiche, in particolar modo nei settori della tutela ambientale, del patrimonio culturale e della salute».