Sostenibilità
22 luglio, 2025Tra scandali e appalti truccati, le reti disperdono più della metà delle risorse idriche. Si spende per tre dissalatori ancora inattivi, sfregiando la spiaggia di Camilleri
Lo scivolone del governatore Renato Schifani ha fatto il giro del web. I suoi comunicatori hanno interrogato l'intelligenza artificiale per «suggerimenti su un post da attribuire» all'ex presidente del Senato. ChatGpt snocciola la soluzione: «Oggi possiamo finalmente raccontarvi un risultato di cui andare fieri: sono stati consegnati tre dissalatori mobili destinati ai siti strategici di Porto Empedocle, Gela e Trapani». Ma online finisce proprio tutto quello che l'intelligenza artificiale ha prodotto, anche la frase: «Ecco una proposta per il post su Facebook, in prima persona e con enfasi, adatta a un tono istituzionale ma coinvolgente». La gaffe ha fatto ridere molti, di certo non i siciliani.
A L'Espresso il Chuck Norris delle risorse idriche italiane, colui che gestisce l'accesso al prezioso oro blu nostrano, Nicola Dell'Acqua, nomen omen, commissario straordinario nazionale per la crisi idrica, dice: «La situazione siciliana è la più disperata, non solo a causa della siccità». Roma ha sganciato 21 milioni per l'iniziale messa a terra dei tre dissalatori (su una spesa complessiva di 250) che produrranno 96 litri al secondo ciascuno. «Appena avuta la certezza dei tempi di attivazione dei dissalatori, con Regione, commissario regionale e Siciliacque abbiamo potuto effettuare una riprogrammazione che ci ha permesso di azzardare un po’ di più, in questo periodo, con la distribuzione dell’acqua, sapendo che l’avremmo recuperata all’attivazione dei dissalatori», commenta il commissario. Sostanzialmente Siciliacque, Regione e relativo commissario hanno aperto i rubinetti più del solito, prima che i dissalatori fossero messi in funzione: e non lo sono ancora. E adesso che l'emergenza idrica, se possibile, è anche più grave del solito, i rubinetti dei cittadini sono chiusi da oltre 25 giorni. I dissalatori, invece, sono ancora là da venire: quello di Trapani forse arriverà in autunno. Mentre il commissario dice che fra venti giorni, almeno quello di Porto Empedocle sarà in funzione. Anche se il sindaco risponde che no, non lo sarà. Chissà. Di sicuro a oggi acqua dal rubinetto non ne scende.
Del resto, anche quando i dissalatori saranno messi in funzione, ci sarà poco da cantar vittoria, visto che resta intatto il problema principale: «Siamo contrari ai dissalatori. È una soluzione ottima per le piccole isole, non per noi», sentenzia Giuseppe Riccobene di Legambiente, che stima: «Se l'attuale dotazione di Agrigento è superiore a 200 litri al secondo, ma le reti disperdono oltre il 55 per cento dell'acqua, perché da decenni non vengono riparate, allora la perdita complessiva supera i 100 litri al secondo: quindi superiore alla potenzialità del dissalatore. L'acqua si disperde su strade e terreni, senza arrivare nelle case dei cittadini agrigentini esasperati che, non solo d'estate, ma tutto l'anno – anche a dicembre per intenderci – convivono con il razionamento. È una follia assoluta installare un dissalatore mobile, la cui acqua prodotta costerà almeno 5 volte tanto, per ottenere la stessa quantità d'acqua che si sarebbe avuta utilizzando i finanziamenti per il rifacimento delle reti». Per non parlare della devastazione ambientale – il dissalatore consuma 2,8 milioni di euro l'anno di energia elettrica, genera problematiche nella gestione delle salamoie e ha costi di gestione superiori ai 12 milioni – e senza citare l'impatto paesaggistico su Gela, Trapani e Porto Empedocle.
«Sarà posto all'incipit di Marinella, spiaggia di Pirandello e Andrea Camilleri, un bene non solo paesaggistico, ma letterario e identitario», commenta la parlamentare del M5S Ida Carmina che, dopo aver depositato un’interrogazione parlamentare e incontrato il prefetto e il commissario Dell'Acqua avverte: «I dissalatori non saranno operativi entro l'estate 2025. Come del resto ha confermato anche il sindaco. Poniamo anche che lo siano il 20 agosto, quando ormai la stagione turistica volge al termine: che senso ha avuto sventrare una spiaggia, devastare un pezzo di Porto Empedocle, per un dissalatore mobile che non aiuta ad affrontare l’emergenza estiva (perché i turisti se ne sono già andati), quando era possibile rimettere in funzione quelli esistenti nella zona industriale della città? Perché non posizionarlo vicino a quelli esistenti, senza danneggiare cittadini e ambiente? Temiamo che quel dissalatore “temporaneo” sia un Cavallo di Troia destinato a restare lì per sempre, danneggiando all’infinito una zona turisticamente rilevante».
Per capire come mai Agrigento e provincia abbiano un tasso di dispersione dell'acqua superiore al 50 per cento, con perdite da record nazionale è necessario concentrarci sulla storia di Girgenti Acque, società privata, che si occupava della gestione dell'intera rete dei bacini idrici, delle dighe, fino alla rete infrastrutturale. Nel 2021 la Girgenti finisce al centro dell'indagine Waterloo che porta la procura di Agrigento a emettere provvedimenti di fermo per dirigenti e imprenditori, accusati di associazione per delinquere contro la pubblica amministrazione, frode in pubbliche forniture, furto, ricettazione e molto altro. Il processo è in corso e una delle maggiori contestazioni è che i soldi ricevuti dalla Regione per la manutenzione sono evaporati prima di poter essere effettivamente investiti. Forse per questo gli agrigentini hanno il razionamento idrico tutto l'anno. Si decide quindi di chiudere la società privata e di aprire un'altra azienda pubblica, Aica, Azienda idrica comuni agrigentini, praticamente un consorzio, che acquista Girgenti (sempre con soldi pubblici) insieme all'enorme debito che si porta in eredità. I sindaci però non sanno come far quadrare i conti, perché per riparare le tubature e ripianare i debiti servirebbe aumentare le bollette dell'acqua del 7 per cento, cosa impossibile perché Agrigento paga già una delle bollette più salate d'Italia (495 euro, contro 434 euro di media nazionale) per ricevere l'acqua solo 157 giorni l'anno, un giorno ogni tre. Dunque a staccare l'assegno da 37 milioni per la manutenzione è ancora la Regione e l'assessore agrigentino Roberto Di Mauro si impegna a vigilare sul buon esito dell'operazione. Proprio Di Mauro è uno dei quattordici indagati nell'inchiesta condotta dal procuratore capo di Agrigento, Giovanni Di Leo, che riguarda un giro di tangenti legate all'assegnazione di appalti pubblici della rete idrica. Secondo il pm, su Agrigento opererebbe un'associazione per delinquere finalizzata alla turbata libertà degli incanti e alla corruzione. Di Mauro, braccio destro di Schifani e assessore all'energia, si è quindi dimesso dal suo incarico. Dunque, i lavori restano all'anno zero, i soldi sono spariti e l'intero cda di Aica si dimette proprio mentre in città esplode l'emergenza idrica: sul sito dell'ente appare un banner rosso con scritto “Modalità di gestione del servizio di approvvigionamento sostitutivo a mezzo autobotte” e tocca al veneto commissario nazionale Dell'Acqua planare su Agrigento per metterci una pezza con i disprezzati dissalatori che, per altro, producono uno scarto inquinante da sversare in mare, con buona pace dell'ecosistema. Un capolavoro.
In soldoni, per avere l'acqua in casa è necessario chiamare l'autobotte, che in qualche caso è autorizzata, in altri no e pesca abusivamente da chissà dove, rischiando di svuotare laghetti e falde, producendo ulteriore danno a un territorio già sufficientemente martoriato: «L'autobotte è l'emblema della disuguaglianza. In inverno una cisterna costa 100 euro, d'estate si arriva a 200 euro per 10 metri cubi d'acqua. Chi ha i soldi ha l'acqua, gli altri dovranno aspettare sette o 20 giorni, quando il rubinetto tornerà a funzionare», commenta Riccobene di Legambiente. Alcuni cittadini, che chiedono l'anonimato, raccontano a L'Espresso che non bastano i soldi, «per ricevere l'autobotte serve anche il numero di telefono di qualche amministratore. Altrimenti si finisce in attesa, su una long long list». Insomma, l'acqua è merce di scambio, favore e potere.
Manca ai cittadini, manca agli agricoltori che perdono il 70 per cento del raccolto di grano, e mandano in fumo interi aranceti, e manca alle bestie degli allevatori, costretti ad abbattere il bestiame per non lasciarlo morire di sete. Sandro Gambuzza, vicepresidente di Confagricoltura, racconta come le imprese agricole più strutturate – con un polmone finanziario che non tutti possono avere – stiano investendo nell'irrigazione di precisione, sistemi innovativi (membrane speciali, sensori dedicati), recupero di acque reflue e bacini aziendali, ma commenta: «Negli ultimi due anni la siccità ha raggiunto livelli tali da mettere in discussione la tenuta dell'intero sistema agroalimentare. In termini di danni, il comparto agricolo nel Centro-Sud Italia ha subito una perdita economica stimata in tre miliardi di euro, unita a un calo nella produzione di arance, solo in Sicilia, in alcuni areali fino al 50 per cento; picchi negativi del 50 per cento per la produzione di olio d’oliva; del 70 per i cereali e dell’80 per cento per i foraggi, con punte di azzeramento totale in alcune zone. Lo scorso anno, gli allevatori sono stati costretti addirittura ad acquistare foraggi da altre regioni anche del Nord, perché non sapevano come sfamare il bestiame. Quest'anno, in base all'analisi del nostro centro studi, si segnalano danni a macchia di leopardo ai cereali, in particolare il grano. Gli agrumi soffrono ancora gli effetti indiretti della siccità e si rischia un ulteriore calo della pezzatura. Si profila quindi un’annata di sofferenza anche se non ai livelli dello scorso anno. In ogni caso, per gli agrumi il calo della pezzatura e delle produzioni non si è accompagnato al rialzo sufficiente dei prezzi, pregiudicando la redditività. La Regione Siciliana ha risposto con l’istituzione di un voucher per l’acquisto di foraggi stanziando 10 milioni di euro. L'ennesima azione provvisoria. Manca una visione lungimirante, strategica. Ci consoliamo con piccoli indennizzi (35 milioni per 23mila aziende erogati in Sicilia a carico della misura di sviluppo rurale attivata in via straordinaria) e assistiamo impotenti alla pessima gestione degli invasi: sono 45, non sono stati collaudati e, oltre al collaudo, sarebbe utile una manutenzione profonda perché la loro capacità è ridotta del 40 per cento per tutto il sedimento accumulato nel tempo».
Qualcuno potrebbe far notare che l'inverno 2025 è stato più piovoso del solito e, di conseguenza, i bacini artificiali avranno certamente raccolto più acqua del solito. Invece non è così, perché le dighe più grandi non sono state collaudate, ovvero non hanno il rubinetto e l'acqua raccolta viene lasciata fluire verso il mare. Il monitoraggio periodico, condotto da Ispra attraverso l’osservatorio del Distretto Idrografico regionale, dice che a fine giugno, a fronte dei 30 invasi monitorati nell’isola con volumi autorizzati complessivi di oltre 700 milioni di metri cubi, il volume utile effettivo per gli utilizzi era stimato in circa 200 milioni: meno del 30 per cento. Un'incapacità gestionale incredibile, certificata dalla Corte dei Conti che, nel dossier sulla gestione dell'acqua di quest'anno, snocciola numeri imbarazzanti. Su un totale di 5,3 miliardi di euro investiti per il settore idrico in Italia, la Sicilia è quella che drena più risorse (764,1 milioni, di cui 355 da Pnrr) con in programma 147 progetti. Ma i progetti messi a terra sono pochissimi. Sommando gli altri fondi messi a disposizione si arriva a una massa di quasi due miliardi di euro: denaro assegnato ma non speso. Altrettanto inclemente il report pubblicato da Legambiente Sicilia: tra il 2010 e il 2020 sono stati attivati interventi per il miglioramento delle infrastrutture idriche per 4,878 miliardi di euro, ma solo il 7,5 per cento di queste risorse si è concretizzato in opere effettivamente concluse.
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