Sostenibilità
11 settembre, 2025Viaggi organizzati in Bosnia per la caccia illegale. Dove non esiste una vera tutela per le specie a rischio o limiti all’attività venatoria. “A rischio l’ecosistema di tutta l’Europa”
I viaggi venatori, spedizioni organizzate da cacciatori in cerca di prede oltre confine, stanno diventando sempre più diffusi, alimentati da normative più permissive e controlli meno rigidi rispetto a quelli italiani. Sommerso e poco documentato, questo fenomeno sfugge ai riflettori dell’opinione pubblica, pur avendo un impatto significativo sulla fauna selvatica. I Balcani sono tra le mete preferite per questa attività. In Bosnia ed Erzegovina, in particolare, la caccia ai volatili attrae un numero crescente di appassionati. Negli anni, però, è emerso il problema del modo con cui molti di questi turisti praticano la caccia, in contesti dove il confine tra passione e illegalità si assottiglia. Il risultato è un prelievo eccessivo che minaccia la biodiversità e mette a rischio le specie migratorie.
Ogni anno, almeno 160mila quaglie vengono abbattute illegalmente nei Balcani, circa il 3 per cento della popolazione europea. «Stimiamo che il 75 per cento della caccia alla quaglia in questa regione sia illegale», afferma Justine Vansynghel di Euronatur. «La distruzione del loro habitat, unita a questo bracconaggio di massa, rischia di portare la specie al collasso». I viaggi sono organizzati in collaborazione tra agenzie italiane e operatori locali dall’altra parte dell’Adriatico, i quali offrono servizi completi, tra cui pernottamento, guida locale e l’opportunità di praticare la caccia senza limiti. Ogni anno, in corrispondenza con i mesi delle migrazioni – tra settembre e ottobre – centinaia di cacciatori italiani si recano in Bosnia. «Arrivano sempre più numerosi, e sappiamo che utilizzano richiami illegali, ma coglierli in flagrante è difficile», racconta Nikola Ljuboja, ispettore della caccia a Livno, cantone della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e meta di viaggi venatori. L’uso di richiami acustici elettronici, vietati in tutta Europa, è una pratica diffusa. Grazie a questi, gli operatori locali si assicurano che le prede siano numerose e che i clienti siano, di conseguenza, soddisfatti. Spesso questi dispositivi vengono rinvenuti nei campi, ma mancano prove per incriminare direttamente i cacciatori. Goran Topić, dell’Associazione Ornitologica “Our Birds”, spiega che la Bosnia è considerata un «mercato esotico» dai cacciatori stranieri. «Qui trovano ciò che nei loro Paesi non esiste più: abbondanza di selvaggina e poche restrizioni».
In Italia ogni regione stabilisce limiti specifici di capi che si possono cacciare a seconda del suo contesto ambientale e faunistico. È così che, per esempio, in una regione è possibile cacciare al massimo 25 uccelli al giorno, mentre in un’altra il limite è di 15. Quando, nei piani di gestione regionale, si vede che una specie è in sofferenza, il limite si abbassa di conseguenza. In Bosnia, d’altra parte, i carnieri dei cacciatori italiani ogni giorno si riempiono di centinaia e centinaia di uccelli.
«Ci sono soltanto alcune stime del numero di agenzie coinvolte nell’organizzazione di questi viaggi, ma non sappiamo quanti siano i clienti», ha dichiarato Massimo Buconi, presidente di Federcaccia, «di certo posso dire che si tratta di una pessima pratica che affligge le rotte migratorie e danneggia tutti noi». Le forze dell’ordine, in generale, hanno possibilità limitate per intervenire sul problema. La polizia di alcuni Paesi non ha le competenze minime in materia di caccia illegale e bracconaggio. Le risorse sono scarse, così come il personale a disposizione. Inoltre, in alcuni luoghi la corruzione è ancora molto diffusa.
In passato, varie indagini hanno messo in luce anche un lato poco conosciuto del turismo venatorio, legato al fenomeno del traffico di fauna selvatica. Nicola Pierotti, ex ispettore della Polizia Forestale Italiana, ricorda l’operazione “Balkan Birds”, che nel 2001 portò alla scoperta di un traffico illegale di uccelli protetti. «Scoprimmo che gli uccelli venivano nascosti in doppi fondi delle auto o trasportati in camion refrigerati. Sequestrammo dodici tonnellate di fauna selvatica, tra cui oltre centomila uccelli protetti, come tordi, allodole e migliaia di beccacce», racconta Pierotti, «nei Balcani ci sono aree private adibite alla caccia dove nessuno osa ficcare il naso, nemmeno le autorità. Inoltre, dalle intercettazioni telefoniche era emerso che, spesso, la caccia non è altro che un pretesto. Non era raro ascoltare conversazioni in cui si parlava dell’organizzazione di cene con ragazze con cui poter poi passare la notte».
Milan Ružić, della Società per la Protezione degli Uccelli della Serbia, parla senza mezzi termini di criminalità organizzata. «Chi viene a cacciare qui lo fa perché sa che può contare su complicità locali. C’è un intero sistema di corruzione che garantisce loro protezione». Il problema, spiega, riguarda tutta Europa: «Le specie che migrano non appartengono a nessuno Stato. Se in Lettonia o Polonia si investono milioni per la loro tutela e poi vengono sterminate illegalmente in Serbia, l’intero equilibrio salta».
Una certa visione della caccia, radicata in un’idea ormai superata di supremazia sull’ambiente, persiste in alcuni ambienti venatori. La fauna non è più considerata parte di un ecosistema da gestire con equilibrio, ma una risorsa da sfruttare. I cacciatori italiani che compiono questi viaggi alimentano un fenomeno che sfugge ai controlli e lascia un segno profondo sulla fauna e sui territori.
Questo articolo è stato realizzato con il supporto di Journalismfund Europe.
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