Per tutti è l'uomo dei misteri d'Italia. E Giulio Andreotti resta un personaggio difficilmente decifrabile anche quando si hanno in mano le carte per raccontarlo. Settecentocinquantanove documenti contenuti nel giacimento dei "Kissinger Cables" di WikiLeaks, che vanno dal 1974 al 1976 e che "l'Espresso" pubblica in esclusiva per l'Italia in collaborazione con "Repubblica", ne restituiscono – manco a dirlo - un'immagine enigmatica.
Non è il leader democristiano che ha una strategia di lungo corso che gli americani combattono con le unghie e con i denti, com'è Aldo Moro (che la diplomazia Usa vede come fumo negli occhi per il suo dialogo con il Pci). Non è il cavallo di razza della Dc con cui gli americani hanno un rapporto di complicità, comE Francesco Cossiga, con cui via Veneto si appassiona a ragionare delle strategie migliori per evitare l'infiltrazione dei comunisti negli apparati dello Stato (dai servizi segreti all'Arma dei carabinieri). Non è «l'italiano più profondamente morale che l'ambasciata abbia mai conosciuto», come è il Dc Benigno Zaccagnini, un nemico per gli Usa perché troppo vicino a Moro e al portare al "compromesso storico".
E allora chi è il Giulio Andreotti che esce dai "Kissinger Cables"?
Un grigio sacerdote del potere. Intelligente, certo. Ma piatto come un contabile e sprovvisto di quell'arguzia che, da noi, lo ha reso celebre per battute memorabili. L'uomo che ha incarnato il Potere granitico e immarcescibile, il depositario dei segreti della Repubblica, esce dai "Kissinger Cables" come un personaggio evanescente. Non un file che lo sorprenda a parlare con gli americani con slancio, come fa Cossiga. Non un documento che colpisca per una sua analisi, un'invettiva o anche un commento velenoso contro un avversario politico.
Dov'è il Belzebù, il luciferino custode degli arcana imperii? Nel database non c'è traccia. Tutto quello che i cablo ricompongono è un mosaico di mosse, riti e trattative quotidiane, che parcellizzano l'enorme potere del personaggio: Andreotti sembra riuscire a camuffarlo e farlo sparire anche da qui.
Per gli americani, certo, è un amico. Quando nel 1974 la Grecia, appena uscita dalla stagione dei Colonnelli, minaccia di uscire dalla Nato, gli Usa si affidano alla mediazione dell'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti: «Uno dei nostri migliori amici in Italia", scrive l'ambasciatore John Volpe al Dipartimento di stato. E poi: «Sono fiducioso che lui voglia sinceramente essere utile". Il segretario Henry Kissinger, allora, autorizza via Veneto a fare un briefing con il ministro sulla vicenda, ma senza lasciargli in mano alcun documento. Forse anche gli americani temevano i suoi archivi.
Sono anni di scandali, stragi e trame. La diplomazia americana non gli perdona il suo comportamento nello scandalo del Sid, i potenti servizi segreti di Vito Miceli, al centro di mille disegni eversivi. «La gestione di Andreotti dell'affare Sid, che ha portato all'arresto dell'ex capo Miceli", scrivono, "ha provocato notevoli critiche da parte dei circoli moderati e conservatori e militari, come anche un violento attacco da parte del partito neofascista Msi".
Secondo quanto riportato sui cablo, è per questa gestione che Andreotti viene fatto fuori come ministro della Difesa nel 1974. E gli americani non sembrano affatto dispiaciuti. Tutti gli arresti che ruotano intorno all'eversione di destra - da Amos Spiazzi, dell'organizzazione neofascista "Rosa dei Venti", fino quella di Miceli - irritano moltissimo gli americani, convinti che «questa caccia alle streghe in corso» avvantaggi la sinistra, che può usarla a livello mediatico.
Sull'anticomunismo di Andreotti, però, gli Stati Uniti non hanno dubbi: «E' uno dei pochi leader Dc che ha la capacità di guidare nel migliore dei modi la Dc contro i piani del compromesso storico con il Pci», scrivono.
Allo stesso tempo, però, sono consapevoli che, politicamente, è un realista, «un politico furbo», con cui devono relazionarsi in modo «franco ed energico».
Dopo le elezioni del giugno 1976, quelle del rischio del "sorpasso storico" del Pci di Berlinguer sulla Dc, «Andreotti sottolinea che è necessario guardare alla realtà della politica italiana e che la Dc di trova ora davanti alla possibilità che il Partito comunista formi un governo con i socialisti, i socialdemocratici, i repubblicani, i radicali e democrazia proletaria. Di fronte a questa situazione la Dc o lavora a un accordo con il Pci, o va all'opposizione o indice nuove elezioni». Ma poiché né Andreotti né i colleghi credono che le ultime vie alternative siano percorribili, «sarebbe meglio cercare di accomodarsi con il Pci in un modo che non implichi alcun ruolo di governo per i comunisti in Italia».
Di fronte a questo lucido realismo, gli americani replicano in modo franco ed fermo, giocando la carta del ricatto finanziario: «Sarebbe molto difficile per gli Stati Uniti e, presumibilmente, per gli altri partner europei fornire assistenza economica e di altro tipo all'Italia nel caso in cui il Pci avesse un importante ruolo nella formazione del governo», chiarisce l'ambasciatore Usa con Andreotti, sottolineando che la politica dell'America rimarrà la stessa negli anni a venire, indipendentemente da un'amministrazione democratica o repubblicana. Giulio Andreotti ne prende atto e consiglia agli americani di coltivarsi Bettino Craxi e i socialisti in funzione anticomunista. Proprio quel Craxi che poi lo ribattezzò 'Belzebù' per le sue trame luciferine.
Il database non lascia dubbi su chi sono gli uomini su cui, nel '76, punta la diplomazia americana per tenere l'Italia al riparo dai comunisti: Andreotti, Craxi e Forlani, quest'ultimo è il leader che vogliono alla guida della Dc. Non l'onestissimo Zaccagnini, pericolosamente vicino a Moro. Puntano su Forlani, ma non vogliono «appoggiarlo apertamente, perché sarebbe controproducente» e forse «verrebbe usato per confermare le speculazioni che nel 1972, quando era segretario di partito, ha avuto a che fare con la Cia».
Quanto a Craxi, gli Usa sembrano prendere sul serio i consigli di Andreotti e sono particolarmente soddisfatti che «il suo [di Bettino] viscerale anticomunismo sia ben nascosto dall'occhio pubblico».
Trenta anni dopo questi cablogrammi, Andreotti, Craxi e Forlani sono tramontati. E del 'divo Giulio' nei file di WikiLeaks che vanno dagli anni 2002 al 2010, si ricordano appena le sue traversie giudiziarie e che «è strettamente associato al Vaticano».