Del democristiano del Sud porta con sé un elettorato fedele, fatto di persone in carne ed ossa, di contatto fisico, di strette di mano, di implicite promesse. Leader carnale in una politica ormai tutta mediatica, predilige ancora il novecentesco “territorio”, fa più uso di comunicati che di tweet ed è più presente nei telegiornali che nei talk-show. Metodi che la politica 2.0 ritiene superati, ma che Fitto impone con una presenza quotidiana e martellante.
[[ge:espresso:palazzo:1.198167:video:http://video.espresso.repubblica.it/tutti-i-video/caos-forza-italia-fitto-chiediamo-azzeramento-degli-organismi-di-partito/4249/4267]]Così di lui sappiamo parecchio. Sappiamo che è stato a lungo un pupillo di Berlusconi, che lo considerava una “protesi” del proprio corpo, ma che poi lo lasciò andare, forse deluso dalla sua difficoltà a sorridere e dal suo lungo argomentare. Sappiamo che oggi è il maggiore oppositore interno del vecchio leader e che, se non vincerà la battaglia in Forza Italia, potrebbe fare un partito tutto suo, forte di un seguito di 40 parlamentari. Ma niente, o molto poco, è trapelato finora della sua storia privata, dei pensieri e dei sentimenti che l’hanno accompagnato in questa bruciante, eppure già lunghissima, carriera politica. Abbiamo provato a farci raccontare anche questo.
Fitto, come ci si trasforma in poco tempo da protesi di Berlusconi a sua spina nel fianco?
«Dicendo pubblicamente la verità. Ripetendo che Forza Italia ha mandato in onda in questi mesi il proprio suicidio politico, perché ha accettato tutti i diktat di Renzi senza colpo ferire e rinunciando a un’identità costruita in vent’anni. Berlusconi non ha indovinato un solo passaggio politico».
Adesso però sembra aver cambiato rotta. È troppo tardi?
«Non lo so. Io continuo a chiedere l’azzeramento del gruppo dirigente, le primarie per ricostruirlo e una discussione politica sui temi veri: tasse, debito, Europa, sicurezza...».
Ma non è ascoltato. Perché non fa un partito suo?
«Detesto l’abitudine tutta italiana di andarsene quando non si è d’accordo. Voglio fare la mia battaglia dentro Forza Italia e anche fuori, tra la nostra gente che è delusa e arrabbiata. Non dia retta alle voci: non lascerò Berlusconi».
Resta evidente che siete passati al conflitto duro. Come accade solo alla fine di un amore.
«Con lui va così. Il rapporto politico diventa anche personale, nel bene e nel male. Ma la mia stima e il mio affetto sono intatti».
Non si sono incrinati neanche quando Berlusconi le ha gridato, come fosse un insulto: “Figlio di un vecchio democristiano”?
«È stato un momento di tensione che ho voluto superare. Lei saprà che ho perso mio padre, grande uomo, grande politico e grande guida della mia adolescenza, quando avevo appena compiuto 19 anni. Il giorno prima festeggiavo con lui il mio compleanno, il giorno dopo lui non c’era più. Quella perdita ha segnato la mia vita. Mi ha incupito, forse per sempre».
Ma le ha regalato la politica.
«Non ne ero digiuno. L’ho respirata in casa e seguendo mio padre nelle campagne elettorali. L’ho assimilata nel mio paese, Maglie, che ha dato i natali a molti politici, tra cui Aldo Moro, che ancora ci guarda da una statua dove è rappresentato, un po’ esageratamente, con “l’Unità” sotto il braccio».
Si racconta che furono i notabili democristiani, guidati da sua madre, a farle occupare subito il posto lasciato vuoto.
«Vede come il pettegolezzo politico riesce a rendere volgare una storia di lacrime e fatica? Vuole che le racconti come è andata?».
Certo.
«Migliaia e migliaia di persone vennero a farci le condoglianze in casa, notabili e no. Al momento del funerale erano diventate decine di migliaia tanto che dovemmo trasferirci dalla chiesa alla piazza. Lì, in preda alla rabbia che spesso si accompagna al dolore, decisi di dire alcune parole di ringraziamento. Forse vennero bene, non lo so più. Ma fu quello il mio battesimo alla politica».
Lei però era un ragazzino. Davvero nessuno l’aiutò?
«La Democrazia cristiana era la nostra casa. Al di là delle correnti, Enzo Scotti, Ciriaco De Mita e molti altri furono vicini alla mia famiglia. Io cominciai a lavorare nel partito e due anni dopo, un po’ per le capacità che stavo mettendo in campo ma certo molto di più perché ero il figlio di Salvatore Fitto, divenni consigliere regionale con 75 mila voti, il più alto risultato in Italia».
Aveva vent’anni e una strada ormai obbligata. Pensa mai a che cosa si è lasciato indietro? A quale altra vita ha rinunciato?
«All’inizio sì, ma oggi raramente. Mi lasciavo alle spalle un’infanzia diligente e un’adolescenza un po’ scapestrata. Tanta motocicletta con mirabili impennate, poca scuola, spesso marinata con giustificazioni false, tanto calcio con allenamenti quotidiani che mi hanno portato a rompermi i legamenti. E un po’ di botte ai giovani comunisti».
Fitto un picchiatore? Si stenta a crederlo.
«Non esageriamo. Andava così all’epoca. Bastava un manifesto che non doveva essere attaccato e ci si picchiava di brutto. Se ricordo quegli scontri con persone che poi hanno avuto ruoli nel Pci e nei Ds, riconosciamo tutti che erano momenti formativi. Mettevano in campo un’idealità politica di cui oggi si sente la mancanza».
Come coltiva la sua, se ancora ne ha?
«Ce l’ho, eccome. La mia bombola di ossigeno è il territorio dove la gente vera, con l’applauso e soprattutto con la critica, mi indica la strada. Poi c’è il mio pantheon che non tradisco: Margaret Thatcher, di cui sto leggendo in questi giorni una biografia politica, e Ronald Reagan. A loro mi sono ispirato quando, da governatore della Puglia, ho contenuto la spesa pubblica tagliando 21 ospedali e bloccando molte assunzioni. Una politica di risanamento che mi è costata la rielezione, ma che rifarei».
Va bene, l’aiuto a sfidare l’impopolarità. Che cosa pensa di questo papa?
«Per esprimermi aspetterei la conclusione del Sinodo. È giusto aprire alla società, però la religione ha alcuni punti fermi che vanno trattati con cautela. Bergoglio è molto mediatico, Ratzinger era più profondo».
Lei è un credente praticante?
«Sì, ma tengo per me la mia religiosità. Se vado a messa cerco di non farne un evento plateale. Sono fatti privati, come la mia vita familiare».

«Fisicamente non sono molto presente, ma sono un padre attento e, qualche volta, anche un po’ rigido. Ho due maschietti vicini di età, nove e otto anni, molto complici e per questo impegnativi. Credo sia mio compito insegnare loro a rispettare le regole. Di tenerezza ne hanno a volontà dalla loro mamma».
Le devo dare atto che lei è un uomo del Sud consapevole e convinto. Rispetta le tradizioni anche con sua moglie?
«Guardi, mia moglie Adriana è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. È la mia forza e il mio porto sicuro. L’ho conosciuta nel 2003, ci siamo guardati e ci siamo sentiti innamorati. Lei ha rinunciato a fare l’avvocato per la famiglia. L’avrei sposata anche subito, ma i miei impegni politici ci hanno fatto perdere due anni. Anche quando è nato il nostro primo figlio la politica ci si è messa di mezzo».
Come?
«Eravamo in piena campagna elettorale per le politiche del 2006, Berlusconi era venuto a Bari a fare la manifestazione di chiusura. Prima di salire sul palco gli avevo detto che forse mi sarei assentato perché mia moglie era al termine della gravidanza. Per fare un inizio di comizio ad effetto, lui annunciò: “Facciamo gli auguri a Raffaele perché sta nascendo il figlio”. Adriana fu inondata di telegrammi e fiori quando ancora era lontana dalle doglie. Fu una cosa divertente di buon augurio».
Che fa nel tempo libero, se ne ha?
«Torno sempre a casa e inseguo la mia grande passione: il calcio. Lo gioco con i miei figli, li accompagno ai loro allenamenti nella scuola di calcio a cui li ho iscritti, guardo con loro le partite della mia Juventus. Ascolto la musica del grande Ennio Morricone, che per me è la cosa più rilassante che esista, e leggo qualcosa. Oltre che alla biografia della Thatcher, ora sto leggendo“Open” di Andre Agassi, dove il tennista spiega come sia stato quasi obbligato a diventare un campione sacrificando molte altre possibilità della sua vita».
Sta parlando di sé?
«No, a me oggi va bene così. Ma siccome ho cominciato molto presto, penso che farò politica ancora per un po’ e poi mi costruirò una vita più tranquilla realizzando un progetto nella mia terra di Puglia a cui penso da tempo».
Quale?
«Un agriturismo, anzi una grande masseria che sia abitazione e impresa, dandoci insieme un rifugio e un reddito».
Mi permette di non crederci?
«Anche mia moglie non ci crede e ride sempre quando glielo dico. Ma la stupirò. Anzi vi stupirò tutti».