Dal finestrino dell’aereo, arrivando di notte, la città sembra un’enorme piattaforma appoggiata in mare aperto. Uno spazio illuminato di rosso, intorno al quale regna il buio quasi assoluto. Baku sorge su una lingua di terra che si allunga di poco nel Caspio, e la differenza tra lei e tutto il resto dell’Azerbaigian è come quella fra il giorno e la notte.
Grazie ai soldi del petrolio, la piccola repubblica del Caucaso negli ultimi cinque anni è diventata una potenza regionale. E ha scelto di trasformare la sua capitale in una sorta di vetrina sul mondo: grandi alberghi, boutique d’alta moda, pratini all’inglese, marciapiedi immacolati, il museo nazionale disegnato da Zaha Hadid, tre torri firmate Norman Foster con tanto di bandiera nazionale riprodotta sulle vetrate da migliaia di luci a led.
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Si gira intorno alle “Flame Towers”, qualche centinaio di metri più in là, e passano in rassegna: una ventina di baracche, pareti di latta, tetti d’amianto, un vitello fatto a pezzi all’entrata dell’alimentari del mini-sobborgo. Il contrasto è simile in periferia, e ancor più marcato nel resto del Paese. Palazzine di epoca sovietica, strade sterrate, villaggi senza fognature. Tutto molto somigliante a 24 anni fa, quando il Paese ottenne l’indipendenza da Mosca.
Baku è invece proiettata nel futuro, che adesso significa “Giochi Europei”. Iniziati il 12 giugno, dureranno due settimane e saranno una prima assoluta. Una scelta particolare, quella del Comitato olimpico del Vecchio Continente, che ha base a Roma ed è presieduto dall’irlandese Patrick Hickey. L’Azerbaijan si trova infatti in Asia, schiacciato fra giganti come Iran, Turchia e Russia. È in guerra da oltre vent’anni con l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh.
La maggioranza della popolazione è di religione musulmana sciita, come il vicino Iran, e parla una lingua di matrice turca. Il paradosso trova spiegazione sulle colline che cingono le spalle alla capitale, bucherellate da centinaia di trivelle, e in mare, dove si nascondono i tesori più grandi. Lo diceva già Marco Polo ne “Il Milione”, descrivendo il territorio come “una fontana ove surge tanto olio e in tanta abbondanza che cento navi se ne caricherebbero alla volta”. Grazie all’oro nero di Baku, i russi riuscirono a sconfiggere i nazisti. E anche oggi che l’ex colonia si è staccata da Mosca c’è chi viene a fare un giro a Naftalan, un paesino dell’interno famoso da secoli per le cure termali a base di petrolio. «Fare il bagno nel nostro greggio, per non più di dieci minuti, fa bene per la psoriasi, i reumatismi e l’osteoporosi», assicura Eldar Ahmadov, dermatologo del “Miraculous Naftalan Health Center”, uno dei sanatori della zona.
Il nuovo alleato dell’Europa, più che un Paese, è una famiglia. Si chiama Aliyev e governa di fatto da quasi cinquant’anni. Una dinastia che nell’ultimo decennio, offrendo le chiavi dei suoi giacimenti alle compagnie occidentali, in particolare alla British Petroleum, si è ritagliata un ruolo nella nuova sfida tra Occidente e Russia. Per gli stranieri che visiteranno l’Azerbaigian durante i Giochi Europei non sarà difficile capire chi sono. Le strade tracimano di simboli del “padre della patria”. Poster, fotografie e statue di Heidar Alyiev, capo del Partito comunista azero a partire dal 1969, epoca Breznev, poi primo presidente dell’Azerbaigian indipendente. Il suo erede Ilham, che ha 53 anni, tre figli e meno immagini di sé in giro per il Paese, ha ricevuto il potere nel 2003 e non l’ha più mollato. Tutto tramite elezioni, la cui regolarità è però stata messa in dubbio dall’organo di controllo internazionale (Osce), così come criticati dalle associazioni dei diritti umani sono i metodi con cui gli Aliyev gestiscono il dissenso. Per Amnesty International ci sono 22 casi accertati di prigionieri di coscienza. Per alcuni avvocati locali sono almeno un’ottantina.
Una di questi è certamente Khadija Ismayilova, reporter di Radio Free Europe, lo storico gruppo editoriale finanziato dal Congresso americano: è stata condannata a dicembre per aver indotto al suicidio il suo fidanzato (suicidio non commesso) e verrà processata anche per diffusione di segreto di Stato, diffamazione ed evasione fiscale. «Quello che ha fatto arrabbiare il governo sono state in realtà le inchieste sugli affari della famiglia del presidente», ci dice Farid Namazli, il suo legale. Negli ultimi cinque anni la giornalista ha pubblicato parecchie storie imbarazzanti per gli Aliyev. L’ultimo articolo, uscito a luglio, racconta ad esempio di come Ilham, sua moglie e i figli controllino di fatto, tramite delle società private registrate in paradisi fiscali, l’80 per cento del mercato telefonico nazionale. A dicembre la polizia ha fatto irruzione nella sede azera di Radio Free Europe e ha portato via la cronista.
Un altro arresto eccellente è stato quello di Intigam Aliyev (solo omonimo del presidente), condannato ad aprile a 7 anni e mezzo di carcere per evasione fiscale, attività imprenditoriale illegale e appropriazione indebita. Najmin Kailsoy è suo figlio, ha 19 anni, studia Scienze politiche all’università, dice che dopo la laurea vorrebbe andare nel Regno Unito come tanti suoi compagni. «Mio padre è un avvocato, ha fondato l’ong Legal Education Society, ha portato più di 200 casi di violazione dei diritti umani alla Corte di giustizia europea. Ad agosto dell’anno scorso ha definito pubblicamente “dittatore” Ilham Aliyev, un mese dopo l’hanno arrestato», ci racconta mentre sorseggiamo tè nel salotto della sua casa di Sumqayt, una cittadina a nord di Baku dove vive insieme alla madre e alla sorella.
L’ondata di arresti dell’ultimo anno, alla vigilia dei Giochi, non ha scalfito l’immagine dell’Azerbaigian agli occhi dell’Europa. Lo dimostrano le decisioni prese nel frattempo dalla Uefa, l’organo che governa il calcio nel Vecchio Continente, e dalla Fia, la federazione dell’automobile basata a Parigi. Quest’ultima ha deciso che nel 2016 il Paese governato dagli Aliyev ospiterà il suo primo gran premio di Formula 1. Si correrà nel centro di Baku, come a Montecarlo. Poi, nel 2020, sarà la volta degli Europei di calcio. Tre partite, fra cui i quarti di finale, da disputare in riva al Caspio, nel nuovo stadio costruito sul modello dell’Allianz Arena di Monaco di Baviera, lo stesso dove tra pochi giorni si terrà la cerimonia d’inaugurazione dei Giochi Europei.
L’Olympic Stadium non è l’unica novità architettonica a Baku. C’è l’Aquatics Centre, situato di fronte al mare, con le sue tre piscine; la Heydar Aliyev Arena, ampliata per ospitare gli incontri di judo, wrestling e sambo (un’arte marziale di origine russa). E poi un’infinità di altri palazzetti: per la pallanuoto, il beach soccer, il basket, la ginnastica, il tiro con l’arco, quello con le armi. Senza dimenticare l’aeroporto, nuovo di zecca, 400 taxi arrivati direttamente da Londra per dare un tocco “British” all’entrata nella capitale azera. E il villaggio olimpico, la scelta forse più bizzarra di questi primi giochi europei in terra asiatica: tredici palazzi, 1.042 appartamenti in totale, ognuno dei quali grande oltre duecento metri quadrati. Che fine faranno una volta lasciati liberi dagli atleti? Il governo dice di volerli vendere ai privati. Di certo non sarà un problema dell’azienda costruttrice, di cui ufficialmente non si conosce l’identità. Nei cantieri, tra gli addetti ai lavori, circola un nome: Azenko. Lo stesso citato nelle inchieste della giornalista Khadija Ismayilova, secondo cui dietro quella società ci sarebbe la famiglia Aliyev.