Più che alla trattativa su una nuova legge elettorale, sembra di stare al mercato di Istanbul: di rado, tra rilanci, polemiche, ultimatum stentorei e segnali di fumo, la Terza Repubblica – sempre che esista - ha somigliato così tanto alla Prima. L’ammuina, a quanto pare, impera. Sia nel Pd che in Forza Italia. Il partito di Berlusconi ribolle e scalpita, come quasi mai prima, i rapporti con il Pd – soprattutto dopo il vertice di maggioranza nel quale Renzi ha accontentato l’Ncd e gli altri partitini - sono freddi come non accadeva da almeno un anno, se non tre.
Eppure, a dispetto dei diktat renziani che anche oggi via twitter hanno ribadito che «il tempo dei rinvii è finito, ora si decide», il patto del Nazareno tiene: o meglio, tiene ciò su cui si fonda, cioè il rapporto tra i due leader che l’hanno siglato. I rispettivi partiti, come le intendenze, seguono. E alla fine di una giornata puntuta, quando si riuniscono i vertici di Forza Italia, la previsione più azzeccata circa la risposta alle novità sull’Italicum (soglia al 3 per cento e premio alla lista e circoscrizioni ridotte) risulta essere quella di chi (per un verso Verdini, per l’altro Rotondi) non si è fatto incantare dal nuovismo ed è rimasto fermo al canovaccio dell’universo azzurro in casi così: prima Berlusconi vede il dissidente di turno (in questo caso Raffaele Fitto, capofila di una quarantina di parlamentari), poi incontra tutti gli altri, dà vita allo sfogatoio di vertice, infine fa votare all’unanimità il documento in cui, con tante carezzine a tutti (in questo caso: no ai diktat, opposizione, tante critiche alla legge di Stabilità), il partito gli dà carta bianca per trattare. E’ successo decine e decine di volte, e lo schema si ripete ancora. Cambia l’argomento, non la forma, che in politica è anch’essa sostanza.
Nello specifico, il comitato di presidenza forzista dà mandato all’ex premier di portare avanti il confronto con Renzi sulla legge elettorale: «No ai diktat, sì al confronto per la governabilità», è lo slogan scelto da Berlusconi, che alla fine esce anche lui vincitore dall’apparente empasse. Nero su bianco non c’è infatti nessuna condizione specifica cui egli debba attenersi, nessun dettaglio tecnico sulle contro-modifiche da pretendere all’Italicum: è un mandato pieno, e alla fine l’ex Cavaliere deciderà come più gli conviene.
Il compito di fare la faccia feroce è affidato al capogruppo al Senato Paolo Romani, che all’uscita del parlamentino azzurro chiarisce che gli accordi stretti tra Renzi e Alfano sull’Italicum per Forza Italia non valgono: «Ci attendiamo che le modifiche siano ritirate, non essendo state concordate». E’ il doveroso richiamo d’orgoglio, la versione allisciata e pettinata di ciò che la mattina ha detto il capogruppo alla Camera Renato Brunetta («a queste condizioni il patto del Nazareno non c’è più»), provocando malumori tra i forzisti per «l’intervento inopportuno», e la risposta altrettanto polemica del luogotenente renziano Luca Lotti: «Allora è inutile che si faccia un altro incontro tra Renzi e Berlusconi». Ma a fine giornata, è tutto passato in cavalleria: ed è lo stesso Brunetta a ribadire che «non usciamo dal tavolo delle riforme».
Certo, Renzi un contentino dovrà darlo, nell’imminente incontro con Berlusconi. Ma per tutto il giorno i suoi parlamentari del Pd hanno felpatamente assicurato che lo darà: hanno persino chiarito, a incrociarne le parole, in che termini. La soglia di sbarramento, scesa dal 5 al 3 per cento dopo l’incontro con Alfano, risalirà al 4 per cento: una soglia che lo stesso Ncd ha definito in più occasioni accettabile. Il numero dei collegi ri-aumenterà, in omaggio ufficiale al «legame col territorio» e , in via ufficiosa, alla quota di deputati nominati che ciascuna segreteria potrà indicare: a questa causa, si è esplicitamente votato pure il vicepresidente della Camera Pd Roberto Giachetti, oggi in dissenso (pilotato?) rispetto alle decisioni prese nel vertice di maggioranza di lunedì. Il premio di lista resterà: Renzi ci tiene troppo e a quel compromesso, Berlusconi s’era già acconciato.
Al di là delle tecnicalità, cosa è cambiato dunque? Renzi, cominciando stavolta il giro delle trattative da Alfano, invece che da Berlusconi, ha bloccato il tentativo dilazionatorio di Forza Italia sulla legge elettorale e ha ottenuto di rimettere l’Italicum in cima alla lista delle riforme, pistola pronta sul tavolo per quando servirà. L’ex Cavaliere, riuscendo a passare nella strettoia tra patto del Nazareno e Forza Italia, è riuscito a ricompattare il partito e a scongiurare (almeno per ora) il pericolo che teme di più: le elezioni anticipate. Insomma il patto del Nazareno tiene, la sua logica impercettibilmente cambia.