Nel dibattito politico infiammato dal voto sull'Italicum tornano in auge espressioni e riferimenti al periodo mussoliniano. E il logoro insulto 'Fascista' si carica di nuovi significati, perché il bersaglio ora è il premier targato Pd

L’obelisco “Dux”, il “bivacco di manipoli”, la legge Acerbo, gli “squadristi”, l’Aventino: e naturalmente prima di tutto Renzi, quel “fascista”. Insomma sarà la vicinanza col 25 aprile, sarà l’anniversario della morte di Mussolini (28 aprile 1945), sarà il decisionismo del premier ribadito adesso su una legge elettorale che zoppica. Sarà pure che la faccenda è ormai liberalizzata, essendo gli eredi dell’Msi lontani da qualsiasi posizione di potere e l’ultimo sedicente epigono (Silvio Berlusconi) ormai ridotto a lumicino. Eppure in politica la camicia nera a quanto pare impazza. E ha ragione Ignazio La Russa, quando tra lo sbigottito e l’invidioso, sbotta: “Non si erano mai visti tanti fascisti in quest’Aula”. Ma pure fuori, a occhio.

Fascisti per dire, s’intende. Fascisti per insulto, logoro in sé ma come risorto a nuovi significati, con tutto un contorno di rimandi diretti e indiretti come se alla fine oltre alle battigie e ai manipoli non s’avesse poi granché altro da attingere, dagli ultimi cent’anni di storia italica. Ci sono i tanti Aventini proclamati e fotografati, c’è l’auspicio della presidente Boldrini di cancellare la scritta Dux dall’Obelisco del Foro Italico.

C’è la ministra Stefania Giannini che, dall’alto della sua carriera di linguista, ha bollato come “squadristi” gli insegnanti e i sindacalisti che l’hanno contestata alla festa dell’Unità. C’è pure Renato Brunetta, ex socialista, che finalmente svincolato dalle alleanze coi post-missini ha potuto liberare la fantasia sul fascismo renziano cosiddetto: “Non consentiremo che di quest’aula si faccia un bivacco di manipoli renziani”, ha scandito alla Camera, riecheggiando il famoso discorso del 1922, e attribuendo infine a Renzi un fascismo al quadrato, giacché stando alla lettera del discorso persino Mussolini negò di voler fare della Camera un bivacco di manipoli (“potevo: ma non ho voluto”).

E’ tutta un’aria che si respira, di nuova linfa, rispetto ai tempi in cui il nuovo possibile, temibile, Mussolini era Berlusconi: il Cavaliere nero, con il relativo coté di vignette, allarmi, timori e, poi, amanti. Nel 2002 Corrado Guzzanti fece pure un’allegoria del fascismo berlusconiano con “Fascisti su Marte”, ma fu Umberto Bossi tra i primi a definire il caro Silvio “fascista”, dopo aver rotto l’alleanza del 1994. E adesso, all’epoca del “Ducetto” – come Libero definì Renzi un anno fa – è sempre Bossi a ricorrere al paragone fascista, sia pur stavolta andando di rincorsa: “La legge Acerbo era più democratica dell’Italicum”, “al fascismo si risponde in un solo modo: o con i fucili o uscendo dall’Aula”, dice adesso.


Ahivoglia che Renzi si affanna a spiegare che “decidere non è una espressione fascista”, che “mettere la fiducia sulla legge elettorale non è fascista”, così come mesi addietro puntualizzava che “Il jobs act non è fascista”. Sia come sia, l’assalto è concentrico: va da il leader leghista Matteo Salvini che spiega come con le riforme renziane “torneremo al ventennio fascista, dove i territori contano poco e decide uno solo", fino a Sel che lancia crisantemi in Aula per la morte della democrazia e con Arcangelo Sannicandro parla di “continuità tra lo Stato repubblicano e lo Stato fascista”. Ce n’è pure per Boldrini stessa, accusata adesso dai Cinque Stelle di essere “collusa”: e con chi? Ma col fascismo renziano, naturalmente.


Insomma, sono lontanissimi i tempi in cui sotto il governo Letta i trecento deputati del Pd, in piedi come un sol uomo, intonavano “fascisti, fascisti” contro i deputati Cinque stelle. Adesso, a quanto pare, si fa l’inverso: tocca a loro, o almeno ai renziani fra loro. E naturalmente, per la via, il senso complessivo tende a sbiadire. Eppure si capisce bene, in questo quadro, lo spaesamento di La Russa. Spodestato e costretto - si scusi la semplificazione - da antifascista a rimproverare a Brunetta per il paragone improprio (“riecheggia in un momento di farsa qualcosa che nella storia ha significato tragedia”), ma costretto pure - sempre semplificando - da fascista a chiarire a La Stampa col braccio destro alzato: “Magari Renzi fosse fascista, lo voterei per vent’anni”.  

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