Lorenzo Fioramonti, il Natale e tre mesi vissuti iperattivamente

Tasse sulle merendine, no al crocifisso, sì al mappamondo e a Vandana Shiva. Tutti gli exploit del ministro dell'Istruzione che ha annunciato il 25 dicembre le dimissioni che non si poteva più rimangiare

A diventare il nuovo Toninelli non ci è (ancora) riuscito, ma la probabilità che Lorenzo Fioramonti sia comunque l'unico ministro del grigio Conte 2 a lasciare una qualche traccia di sé nel povero firmamento della cronaca politica ha avuto, nelle ultime ore, una impennata pari solo alla curva glicemica di tutti noi. Nella notte di Natale, infatti, il ministro dell'Istruzione – unico nella storia d'Italia – ha provato a risvegliare il Paese dal semicoma zuccherino facendo filtrare, e poi confermando, la notizia di aver presentato già da un paio di giorni al premier Conte la lettera in cui lasciava la guida del dicastero. Le dimissioni più annunciate di sempre: Fioramonti le aveva giurate già prima di giurare nelle mani del presidente della Repubblica. «Ci vogliono investimenti subito: 2 miliardi per la scuola e uno almeno per l'università. Lo dico da ora: se non ci saranno mi dimetto», aveva detto al Corriere della Sera, il 5 settembre. E a Repubblica: «Se entro Natale non c'è un miliardo per l'università sono pronto a dimettermi».

La parola
Quanto ci manca Danilo Toninelli
10/10/2019
Detto, fatto: i soldi nella legge di bilancio sono pochi, appena due miliardi, scatta la lettera a Conte. Con il mondo della scuola che, dagli studenti ai presidi, si mette giustamente in scia per dire come «le dimissioni siano la dimostrazione della gravità della situazione». Con le opposizioni che, cogliendo al balzo la palla, si affrettano a sottolineare come il gesto sia la dimostrazione che «il governo è nel caos». Con i maligni che subito sostengono come Fioramonti si stia in realtà muovendo in previsione della nascita del gruppo dei “Contiani” in Parlamento: nulla di nobile sarebbe nel suo gesto, solo un classico riposizionamento per il futuro. Se fosse vero, egli si ritroverebbe in effetti da ex ministro a sostenere, con un gruppo autonomo di ex grillini responsabili, il governo dal quale si è dimesso; un arzigogolo tutto sommato coerente, visto che sempre Fioramonti, nelle vesti di ministro, si è già trovato a criticare gli atti «del governo precedente» e quindi il se stesso di prima, essendo stato viceministro nel Conte1.

Estrema freddezza nei suoi confronti arriva non a caso dai Cinque stelle che subito hanno invitato il premier a «guardare avanti, per individuare un nuovo ministro: la scuola non può aspettare». Eppure erano stati proprio loro, il partito di Di Maio, a tirare in politica quello che, prima del colpo di cabaret, era un professore di Economia politica nell'università di Pretoria (Sudafrica) e che dopo, soprattutto da ministro, è diventato una cornucopia di colori. «La sparata fluisce in lui come un dono», ha osservato il Foglio. Ottima sintesi, per rendere il senso di quattro mesi da ministro vissuti iperattivamente, e che hanno in qualche modo provato a bilanciare la generalizzata piattezza mediatica del Conte 2.

All'inizio, per dire, furono le popolari proposte di tassare merendine e bibite gassate, poi la precisazione che il ministro auspicava fossero «assenti giustificati» gli studenti che scioperavano per il clima, poi l'idea di una «ora di ecologia obbligatoria», il no al crocifisso e il sì al mappamondo, l'apertura allo ius culturae (per la gioia di Di Maio), il singolare auspicio che l'Eni abbandonasse il petrolio e diventasse green (omaggio alle «nuove frontiere verso la decarbonizzazione»), l'annuncio di voler arruolare la guru indiana Vandana Shiva nel Consiglio scientifico per lo sviluppo sostenibile creato al ministero (il mondo scientifico in orrificato furore), la fanfara social per il Mini miur (asilo nido del ministero), le targhe dorate a ricordare personaggi illustri del passato, il taglio dei nastri , la definizione della polizia com «corpo di guardia del potere» e, infine, le assenze, come quella agli auguri di fine anno al Quirinale.

Pare infatti che da ultimo, senza riuscirci, un cogitabondo Fioramonti abbia tentato la settimana scorsa di promuovere presso i grillini una specie di ola di solidarietà e invito a ritirare le dimissioni. Vero o no, la ola comunque non c'è stata. Del resto, da deputato, il ministro dimissionario non ha restituito nemmeno un euro e, all'incirca, deve alla Rousseau di Casaleggio 24 mila euro. Motivo in più, a questo punto.

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