Nove episodi claustrofobici. Per l'indagine impossibile di un manipolo di anime sgretolate. Capitanate da un detective insopportabile. E meraviglioso

Dept.Q, la serie da non perdere col doctor House del crime

C'è la luce livida di Edimburgo, il respiro affannato dall’umido, dall’ansia, dalla prigionia. Un’indagine serrata ed estenuante al tempo stesso, dove si incrociano destini incompiuti quanto le personalità di chi prova a leggerli. E su tutti un detective misantropo, insopportabile, irresistibile, imprigionato dietro la barba di Matthew Goode, che riempie ogni fotogramma dei nove episodi di “Dept. Q – Sezione casi irrisolti”, (Netflix)

 

Una serie in cui è tutto chiuso, sigillato in una bolla claustrofobica. Il sotterraneo lurido dove lavora una squadra di disadattati alle prese coi crimini da riesumare. La monade di sadismo in cui è prigioniera la vittima. La voce spenta dal trauma del fratello, sepolta in un remoto angolo della mente. I testimoni che tacciono, i non detti che vincono, il disagio che avvolge lo stress post traumatico del protagonista, relegato su un’altalena oscillante in parti eguali tra il cinismo quotidiano e un’abitazione in cui ogni possibile dialogo viene letteralmente sopraffatto dal volume della musica e nessuno riesce a parlare con nessuno. 

 

Nell’adattamento superlativo di Scott Frank (“La regina degli scacchi”), dell’omonima serie bestseller danese, l’andamento apparentemente lento nasconde una frenesia individuale, dove i personaggi camminano faticosamente per la loro strada, alla ricerca di una qualsivoglia sopravvivenza. 

 

Akram, il siriano gentile, che chiede permesso, ma sa bene cosa sia la tortura. Rose, un cuore in fiamme come i suoi ricci, scampata a malapena a se stessa. Hardy, il collega paralizzato. E poi c’è lui, Carl Morck, talento investigativo, disastro umano, su tutti i fronti. Con i colleghi – delle colleghe non ne parliamo – con il figlio della ex compagna, il suo coinquilino, gli amici, la psicologa, i parenti delle vittime, i testimoni. Praticamente un Doctor House dell’indagine ma con quel filo di arroganza in più che lo rende ancora meno empatico. 

 

Sopravvissuto a una pallottola ma non ai sensi di colpa, si trova a guardarsi, forse per la prima volta, mentre stringe la rabbia come una pallina da tennis. Scoprendosi fallibile, insicuro, a suo modo fragile. E in qualche modo questo percorso intimo e doloroso del fastidiosissimo Morck è la trama parallela che si snoda lungo lo strano oggetto crime in cui tutto funziona, il cast superbo, una sceneggiatura asciutta in grado di raccontare l’orrore senza indugiarci sopra, una doppia ambientazione che diventa personaggio. 

E alla fine sembra impossibile non seguire il manipolo di anime sgretolate, che attendono di ricomporsi, magari risolvendo un caso che sembrava chiuso, per salvare una donna, per salvarsi.

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