Televisione
1 settembre, 2025È stato beatificato il presentatore che faceva semplicemente il suo mestiere. Con cura, studio, professionalità. Qualità che ora, a funerale finito, sembrano stranamente inarrivabili
Un santo, un poeta, un navigatore. Quando il 16 agosto è morto Pippo Baudo la gara alla beatificazione del presentatore è partita in maniera talmente scomposta da rasentare il sublime di “Funeral Party”.
Intitoliamogli il teatro delle Vittorie ha detto qualcuno. Mettiamo la sua statua al posto del cavallo di viale Mazzini ha risposto qualcun altro. E mentre star di media grandezza da piccolo schermo si affannavano per apparire più tristi possibile, si alzava il coro tragico: «Non ci sarà mai più una televisione come la sua». Ma a questo punto la risposta sorge davvero spontanea: basta farla.
E in un attimo questi lunghi giorni di lutto televisivo con lo sguardo colorato dal rimpianto si tingono di farsa.
Perché rimpiangere qualcosa che non tornerà è un conto. Dolersi di qualcosa che si potrebbe benissimo ripetere è un altro.
La straordinarietà di Pippo Baudo era rinchiusa nella sua assoluta medietà. Non faceva ridere, non aveva guizzi, più che aitante ciondolava, suonava sì, ma la sua “Donna Rosa” non avrebbe scalato alcuna classifica e la sua vita privata, che ha sempre tentato di custodire con un pizzico di lodevole gelosia, vista oggi non sarebbe riuscita a riempire più di una didascalia a pagina 34.
Quel che faceva Baudo era semplicemente fare il proprio mestiere. Con cura. Legarsi alla scaletta come un arrampicatore prima di affrontare una montagna. Capire le persone che lo circondavano. Guardare i dettagli. Circondarsi di malati di professionismo esattamente come lui. Per poi sfornare prodotti adatti alla televisione, niente di stratosferico, poco jazz sicuramente, ma un inutile quanto prezioso intrattenimento civile, serenamente trascurabile, ma dignitoso.
E mentre si scaldano i motori per la nuova stagione, fa ancora più ridere l’accorato grido del «non ci sono eredi di Pippo Baudo», come se il modello fosse inarrivabile. «Quanto mancherà la sua tv non volgare», dicono, mentre si inzeppano i varietà del servizio sempre meno pubblico di scappati di casa, laddove la casa è quella del “Grande Fratello”, si lasciano le conduzioni a ego spropositati che non riconoscerebbero un giovane talento neppure se glielo mettessero in camerino, si accolgono nomi improponibili per quei poveri spettatori a cui restano solo le piattaforme contro gli attacchi continui al buon senso e al buon gusto.
«In poche ore, la Rai ha saputo ricordare Baudo con edizioni straordinarie, cambi di palinsesto dirette e speciali», ha detto con orgoglio l’ad Giampaolo Rossi. Un grande sforzo, non c’è che dire. Ma ora il funerale è finito e si può finalmente ricominciare a non studiare più. Con rimpianto, si intende.
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