Visioni
3 settembre, 2025Il 28 agosto del 1963 Martin Luther King trasformò un sogno personale in un manifesto universale. Oggi, tra tensioni e proteste, quelle parole continuano a risuonare come un monito
Sessant’anni dopo la marcia su Washington, il sogno di Martin Luther King rimane sospeso e incompiuto. Negli Stati Uniti di oggi, il razzismo non è ancora un ricordo del passato ma una realtà quotidiana: disuguaglianze, discriminazioni, violenze della polizia contro la comunità afroamericana, carcerazioni sproporzionate. Ogni dato racconta una distanza tra la promessa di uguaglianza e la vita concreta di milioni di cittadini. Le manifestazioni del movimento Black Lives Matter, esplosero dopo l’uccisione di George Floyd nel 2020, mostrando quanto le ferite siano ancora aperte e quanto il tema dei diritti civili non sia mai stato definitivamente risolto. Eppure, proprio in questo scenario di tensione e disillusione, il ricordo del 28 agosto 1963 continua a parlare.


Quel giorno, più di 200 mila persone marciarono fino al Lincoln Memorial, chiedendo lavoro, giustizia e fine della segregazione. Non era solo una protesta, ma un atto collettivo di fede nella possibilità di cambiare un Paese. La folla occupava il National Mall come un fiume umano compatto, in cui si mescolavano giovani e anziani, studenti, attivisti, sindacalisti, religiosi. Sul palco, davanti alla statua di Abraham Lincoln, salì Martin Luther King. Il suo discorso, entrato nella storia con le parole “I Have a Dream”, divenne la voce di una nazione in trasformazione. King parlò di un futuro in cui i figli degli schiavi e dei padroni avrebbero potuto sedersi alla stessa tavola, in cui i bambini neri e i bambini bianchi avrebbero camminato insieme liberi. La marcia e le sue parole obbligarono la Casa Bianca e l’allora presidente John Fitzgerald Kennedy ad un’accelerazione storica. Di lì a poco sarebbero arrivate la Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act del 1965, conquiste che affondano le radici in quel giorno.


Le immagini in bianco e nero di quella giornata restano scolpite nella memoria collettiva: i cartelli che chiedevano dignità, i volti della folla rapiti dalla voce di King. Quelle fotografie non documentano soltanto un evento, ma la nascita di una nuova idea di cittadinanza. Guardate oggi, raccontano qualcosa di più: ricordano che i diritti non sono mai conquistati una volta per tutte. Ogni generazione deve tornare a difenderli, rimetterli al centro del dibattito pubblico, impedire che vengano erosi. Il razzismo che ancora attraversa gli Stati Uniti è la prova che il sogno di King non è stato tradotto pienamente in realtà, ma è diventato un punto di riferimento globale per tutte le lotte contro la discriminazione. “I Have a Dream” non appartiene più soltanto alla storia americana, ma a chiunque creda che la giustizia sia un diritto inalienabile. È la dimostrazione che se si è uniti la parola può cambiare il corso della storia. Il 28 agosto 1963 resta così il giorno in cui un sogno individuale divenne voce collettiva. E se oggi le cronache americane raccontano ancora episodi di violenza e discriminazione, ricordare quella marcia significa misurare la distanza tra ciò che è stato promesso e ciò che deve ancora essere realizzato. È una memoria che interroga, una bussola che continua a indicare la direzione: la strada verso l’uguaglianza non è finita.


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