Maria Paola come Gandhi: uccisa per fermare l'evoluzione della società

La fobia di ogni cambiamento. L'orrore per chi fa scelte non conformiste. Il mito della moralità borghese. Viaggio dentro la rabbia  dei “normalizzatori”. Che colpisce chi guida l'evoluzione dei costumi

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In una giornata d’ottobre del 1903 a Vienna si suicidava un promettente 23enne filosofo, Otto Weininger. Benché giovane, aveva già pubblicato un libro che aveva suscitato molte discussioni. Intitolato “Sesso e carattere”, sosteneva fra le altre cose che l’ebreo fosse per natura effeminato, dedito a lussuria e piaceri della carne, incapace di avere una vita spirituale e quindi di prendere decisioni univoche e irrevocabili. Weininger stesso era ebreo e per questo aveva preferito darsi la morte. Semplificando, fu una vittima, sebbene volontaria, dell’idea che il mondo sia diviso fra popoli maschi, bravi e adeguati alla vita, e popoli femmine condannati per natura a subire la dominazione altrui.

Quarantacinque anni dopo, nel gennaio 1948, Mohandas Gandhi venne ucciso a Delhi con tre colpi di pistola da un fanatico induista, Nathuram Godse. Si dice sempre che l’attentatore odiasse il Mahatma per aver fatto troppe concessioni ai musulmani del Subcontinente. Ora, qualche anno fa, in un bel saggio, Pankaj Mishra, scrittore e saggista celebre nel mondo anglosassone, ricordava quanto in realtà Godse avesse rimproverato Gandhi per aver voluto “effeminare” la nazione indiana.

Ecco, anche oggi ci sono persone convinte che esista un ordine naturale delle cose, immutabile ed eterno. E che quindi la divisione di genere fra maschi e femmine sia qualcosa che comporta una barriera invalicabile, per cui o siamo l’una cosa o l’altra, impossibile esserne ambedue. Spesso (non sempre, va detto) la fede nell’ordine naturale di generi comporta la convinzione della superiorità maschile e l’idea di riportare le donne ai ruoli che “le competono”. È il caso, per esempio, di Jordan Peterson, uno psicologo canadese molto popolare, che difende da anni la causa della mascolinità minacciata dalle femministe, dall’universo Lgbt e ovviamente dalla “cultura post marxista e comunista” che avrebbe assunto le sembianze e le maschere del politicamente corretto.

Non lo sappiamo con certezza (la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva è la base di ogni civiltà), ma è più che lecito porsi la domanda se il fatto di recentissima cronaca, l’uccisione a Caivano di Maria Paola Gaglione, fidanzata con un transgender, Ciro Migliore, da parte di suo fratello (che dice di non aver voluto darle la morte e che quel fidanzato non gli piaceva, ma non per omofobia) non sia appunto anch’esso la conseguenza delle difficoltà di molti uomini di accettare il fatto che quell’ordine non sia mai esistito, se non nelle menti di coloro che possiamo chiamare i “normalizzatori”.

Qualche giorno fa, al Festival di Letteratura di Mantova, David Grossman spiegava quanto la letteratura faccia vivere le «nostre identità non espresse, non messe in atto, per paura, per conformismo, per non dar disturbo al sistema». Non intendeva esplicitamente le identità di genere, ma si riferiva al fatto che tutti noi siamo costituiti da tanti elementi, spesso in contraddizione l’uno con l’altro, e che questo sia una ricchezza e non un difetto o malattia.

Qualcosa di simile intuì Virginia Woolf quando, nel 1928, dava alle stampe il suo “Orlando”, un romanzo dove il (ma è anche la) protagonista ha molteplici vite e dove a seconda di ciascuno di queste vite cambia il sesso. Talvolta è maschio, altre femmina, con alcune complicazioni. Si dice che quell’opera fosse anche una storia per raccontare in un certo modo l’amante e amica Vita Sackville-West. Comunque “Orlando” era un modo per prendere le distanze, in una maniera ironica, dall’idea dominante all’epoca della rigida divisione dei ruoli fra i generi.

Della storia ed evoluzione di quell’idea George Mosse, lo storico scomparso nel 1999, scrisse il fondamentale “L’immagine dell’Uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna”. In breve e semplificando moltissimo: con il declino della figura medioevale del maschio guerriero, nell’Ottocento, in Occidente, si affaccia l’ideale di uomo disciplinato, coraggioso ma responsabile, ostinato ma anche con doti di umiltà, un uomo equilibrato e morigerato. Fondamentale è il richiamo al nazionalismo e al razzismo.

Aggiungiamo: in quel contesto l’uomo vero è maschio bianco, i turchi (l’Impero ottomano stava crollando) e i musulmani sono effeminati come lo sono le razze considerate “inferiori”. Importante per la virilità è la frequentazione di palestre, collegi e caserme. Si afferma anche l’idea della famiglia monogama, dove ovviamente la fedeltà riguarda più le donne che i maschi (comunque “cacciatori”), padri severi di famiglia (si legga Franz Kafka). Se per Voltaire nel Settecento la Borsa di Londra era quel luogo dove il musulmano e l’ebreo incontravano il cristiano, nell’Ottocento, la borghesia diventata egemone e di massa, fissava invece dei rigidi paletti: di nazionalità, di razza, di genere, persecuzione sistematica e degli omosessuali compresa.

Il mondo di sopra non c’è più. Il capitale, svincolato dal legame con il territorio (il concetto è di Zygmunt Bauman), non ha bisogno della parvenza dell’estrema ed eterna stabilità. La classe media non percepisce più la storia come una strada lineare verso il progresso, essere morigerati e monogami non garantisce il successo e quindi la rispettabilità. Il colonialismo è una prassi condannata, almeno a parole. Le donne hanno trovato il modo di esprimere la loro soggettività, i gay sono usciti dagli armadi, gli ebrei non si vergognano di essere stati vittime.

E pensiamo a “La montagna magica” di Thomas Mann. Ancora cinquant’anni fa per i lettori di quel romanzo era considerata fondamentale la disputa (finita in tragedia) fra il fanatico gesuita Naphta e il liberale Settembrini. Fascismo e comunismo contro la democrazia. Oggi a rileggere quel libro si resta stupiti invece dalla contemporaneità di Madame Chauchat, la donna russa, che nell’immaginazione del protagonista Hans Castorp diventa un suo amore omosessuale giovanile. Madame Chauchat anche fisicamente sembra, sulle pagine di Mann, un androgino.

E poi. Il miglior barometro dello Zeitgeist, dello spirito del tempo è la moda, quel sistema che rappresenta il futuro. Basta guardare una sfilata per vedere che i modelli e le modelle sono spesso androgini o portano addosso vestiti che sembrano dell’altro sesso: una per tutte la perfomer Silvia Calderoni con Gucci, qualche anno fa. Anche perché, l’ideale di bellezza classica europea è in crisi, assieme a un mondo di idee e concetti che sta andando in pezzi. Prova ne è la vicenda di Armine Harutyunyan, modella dai tratti del volto considerati irregolari e oggetto di una campagna di odio dei nostalgici della virilità perduta, ma ciò nonostante, o forse proprio per questo, di grande successo. Ma questa è un’altra storia.

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