"Fuori i soldi!". L'urlo esplode dal megafono puntato contro le pareti a specchio dell'hotel sul lungomare di Torre Pedrera, la frazione del comune di Rimini più a nord, sulla costa. La voce è quella di Mauro Rossi, sindacalista della Filcams-Cgil di Rimini. Accanto a lui ci sono i dipendenti dell'hotel Mosè. Sono una decina, tutti stranieri. Dopo aver lavorato mesi e non aver ricevuto un euro di stipendio hanno deciso di lasciare tutto e rivolgersi al sindacato. A turno gridano la loro rabbia al microfono mentre gli altri parlano tra loro, scuotendo la testa, oppure con i giornalisti, accorsi per quella che è una protesta quasi inedita in Romagna. Almeno fino a quest'anno. E ci sono anche i bagnanti, saliti dalla spiaggia per assistere allo spettacolo, in costume e ciabatte. Tutti urlano all'unisono contro chi sfrutta e non paga.
Loredana faceva la cameriera ai piani e una decina di altre mansioni al Mosè. Dopo mesi di turni massacranti da 12 o 14 ore al giorno e la continua richiesta di denaro, mai soddisfatta, ha avuto un esaurimento da stress. Mostra a tutti il certificato del pronto soccorso. L'hanno portata lì dopo che è svenuta mentre scendeva le scale dell'albergo. Dalla borsetta estrae anche la foto della figlia, tre anni e mezzo, che la aspetta assieme ai nonni in Romania. "Se sapevo così - racconta - non avrei mai lasciato il mio lavoro come badante". Accade spesso che badanti romene lascino temporaneamente il lavoro, durante l'estate, per fare la stagione in Riviera. Si fanno sostituire da amiche o conoscenti perché negli hotel lo stipendio è più alto. Già, lo stipendio. All'hotel Mosè come nelle altre strutture della galassia di Coppola tourism non si capisce nemmeno chi debba pagare. Il contratto che mostrano Loredana e gli altri porta l'intestazione della Business Travel di Thomas Cavalli. Che però nega, addebitando l'onere al gruppo Coppola tourism. Quello di Costa Romagna, agenzia turistica di prenotazioni, e una nebulosa di altre società le cui partecipazioni riconducono tutte alla famiglia Coppola.
Serigne, senegalese, sembra volersi avvolgere nella bandiera della Cgil. Come se non credesse che finalmente qualcuno gli stia dando retta e lo aiuti nella sua battaglia. Perché da maggio era sempre la stessa storia: "Chiedevo 'quando mi pagate?'. Loro rispondevano 'tra 15 giorni' e poi ancora rimandavano". Serigne è arrivato in Italia due anni fa, in aereo, con un visto turistico. È stato clandestino, ha lavorato come domestico per qualche famiglia: "Prima lavoravo in nero, ora non lo voglio più fare. Però mi devono pagare. Lo vedi? - dice passandosi un dito sulla fronte - qui ho scritto 'voglio lavorare!'".
Finalmente la porta dell'hotel si apre. Quello che sembra il direttore chiama dentro il sindacalista Filcams, che dopo più di un'ora esce con la proposta di accordo. Metà stipendio subito, metà a fine agosto e poi a settembre il saldo. Se fosse vero Serigne, Loredana e gli altri accetterebbero subito. Ma Costa Romagna vuole la firma di una liberatoria che addossi tutte le colpe a Cavalli. Così torna la disperazione. Qualcuno riesce anche a trovare un compromesso. Oleg, cameriere moldavo, il primo giorno di presidio è in prima fila. Ma il giorno dopo non si vede. È tornato a Bologna, dove vive e dove magari sapeva già di qualche altro lavoro. Il direttore di Costa Romagna è riuscito a liquidarlo con appena 250 euro.
I lavoratori dell'hotel Mosè hanno, compreso nel contratto, anche vitto e alloggio. Dormono in un altro hotel, lo Zodiaco, distante un paio di chilometri. Da coprire a piedi tutte le mattine e tutte le sere, dopo 12 ore di lavoro. Sarebbero appena due fermate di autobus ma senza soldi il biglietto non si può comprare. Chi di loro ha provato a fare "il portoghese" è stato pizzicato e ha preso anche una multa. Ma il denaro non serve solo per le loro esigenze. La speranza è quella di riuscire a mandare soldi a casa. Michaela, come Loredana, è divorziata e a casa ha un figlio di cinque anni. Da mesi non riesce a spedire nulla in Romania. Abita a Cluj, una delle zone più povere del Paese: "I miei genitori mi chiedono dove sono e cosa sto facendo. Non ci credono che non mi pagano, pensano che ormai che sono venuta in Italia sto facendo la bella vita qui. Mio figlio mi chiede di portargli questo o quel giocattolo, io gli dico di sì, appena torno. Ma come faccio se non ho i soldi nemmeno per comprarmi un deodorante?".
Nel terzo giorno di protesta si viene a sapere che al Mosè sono stati posti i sigilli per abusi edilizi. La terrazza dell'ultimo piano è stata chiusa. ricavando dodici camere. I controlli della polizia municipale, Carabinieri e Vigili del fuoco fanno emergere una lunga lista di irregolarità. Prima di loro era stata la volta degli ispettori dell'Ausl e del Dipartimento del lavoro. Della gestione criminale di questa struttura avevano già fatto le spese alcuni clienti, finiti al pronto soccorso con i sintomi di un'intossicazione alimentare. Comincia a girare voce che il Mosè verrà chiuso presto. I clienti con valigie e bambini vengono sballotati qua e là in cerca di una sistemazione alternativa, intanto Serigne e gli altri che ancora stazionano davanti alle vetrate dell'hotel perdono la speranza. Lo si legge anche negli occhi di Mitka, romena di 19 anni, in Italia con famiglia. Vive vicino a Rimini, dove frequenta il liceo classico Giulio Cesare. In un italiano perfetto ci spiega che aveva lavorato appena tre settimane: quando ha capito che non l'avrebbero pagata ha deciso anche lei di lasciare.
Mentre si avvicina al marciapiede Loredana si asciuga gli occhi azzurri. Ha appena terminato di parlare al telefono con la sua famiglia. "Mi hanno visto in televisione, 'E' per quello che sei andata in Italia?' mi hanno detto". È la reazione di chi resta in Romania e affida la speranza di una sicurezza economica a chi emigra. Si aspettano soldi, ogni mese. Se non arrivano subito iniziano i sospetti. Come è accaduto a Michaela. Ma i loro soldi non li vedranno, almeno non subito.
Il sindacalista della Cgil ha segnato i nomi e i numeri di telefono per cercar loro un nuovo lavoro per finire la stagione. Oltre a questo gli ha pagato il pranzo, e allungato qualche banconota da cinque euro per comprare le sigarette. Per quanto riguarda le vertenze invece la situazione resta complicata e probabilmente assai lunga. Presto perderanno anche l'alloggio che gli era stato promesso, forse andranno a mangiare o a dormire alla Caritas. Chiedere alla diocesi e stato l'unico sforzo che ha fatto il Comune di Rimini per dar loro una mano. A una richiesta di raccogliere fondi per far fronte alle esigenze più immediateha risposto con il silenzio. Così l'associazione Rumori sinistri ha organizzato subito una colletta ed è rimasta, unica dopo tanto clamore, al loro fianco per gridare tutta la vergogna dello sfruttamento.