Attualità
ottobre, 2012

Post-sisma, la polizia protesta

Lo stato di emergenza termina il 31 dicembre 2012, ma aumentano i reati e le possibilità di infiltrazioni mafiose nella ricostruzione. Molti agenti 'aggregati', ovvero rientrati dopo il terremoto, continuano a essere precari e rischiano di andarsene. Ecco perché manifestano

La sagoma di cartone è quella di un agente di polizia, con divisa d'ordinanza. Ha un coltello conficcato tra le scapole. Lo slogan è didascalico ma gridato forte: "Pugnalati alle spalle". La protesta non riguarda solamente i tagli al personale e alle pensioni, come un po' in tutta Italia. A L'Aquila c'è un problema in più connesso, nemmeno a dirlo, al post terremoto: la città è diventata sempre più difficile da gestire e le forze di contrasto sono, al contrario, sempre più sottili. Non si tratta solo di ordine pubblico ma anche di prevenzione delle infiltrazioni malavitose quando inizierà la cosiddetta "ricostruzione pesante". Un problema che si intreccia con le storie degli agenti e delle loro famiglie, in bilico ormai da tre anni e mezzo. Un "picchetto" di quelle sagome trafitte attendeva il ministro Elsa Fornero in visita in città all'inizio di ottobre, così come il ministro Barca a giugno. Saranno "rispolverate" il 23 ottobre per i sit-in organizzati dai sindacati di categoria davanti alle sedi delle Regioni.

Il problema a L'Aquila è quello degli "aggregati": sono i poliziotti nati o residenti nel capoluogo abruzzese che hanno richiesto di tornare nella loro città "per gravi motivi familiari" e lavorare lì, per avere anche loro la possibilità di raccogliere i pezzi, materiali e morali, di quello che il terremoto ha sbriciolato la notte del 6 aprile 2009. Erano 80 in tutto quelli tornati all'indomani del sisma. Una metà di loro è già rientrata al proprio posto negli uffici e nei reparti delle questure di tutta Italia. La loro richiesta di restare nel capoluogo abruzzese non è stata più accolta. Gli altri sono ancora nel capoluogo abruzzese e regolarmente presentano domanda per rimanere. Ogni due mesi attendono la risposta dal Ministero per sapere se dovranno rifare le valigie per tornare a Milano, Roma o Genova e lasciare la loro casa e la famiglia a vedersela con i postumi del disastro e le carte burocratiche della ricostruzione. Una precarietà che si aggiunge al disagio di un contesto non certo rassicurante.

Pochi numeri ma significativi descrivono la situazione dal punto di vista dell'ordine pubblico. Li ha esposti l'allora questore Stefano Cecere all'ultima festa della Polizia, a maggio: in provincia tra il 2011 e il 2012 sono state arrestate 380 persone contro le 176 dell'anno passato. Raddoppiate le denunce, che sono passate in un anno da 798 a 1450, 55.700 le persone identificate dalle 40.600 dell'anno precedente. Stesso discorso per le espulsioni, da 190 sono passate a 272.

Aumentano i reati, dunque, mentre gli agenti diminuiscono. Ora sono meno di 240, circa quanti ne erano in servizio il 5 aprile 2009. Ma da qui alla fine dell'anno, se dal Ministero dell'Interno non cambieranno idea, ne rimarranno 200 (quelli attualmente in organico perché, nel frattempo, in diversi sono andati o andranno in pensione). "La situazione è ingovernabile col personale che abbiamo ora. Sappiamo che altre città sono sotto organico ma qui è cambiato tutto negli ultimi anni". Lo spiega Fabio Lauri del Siulp, uno dei sindacati di polizia che assieme al Coisp e al Sap, tentano di portare sotto i riflettori quella che definiscono un'ingiustizia. "E' una battaglia quotidiana - gli fa eco Santino Li Calzi, collega del Coisp - gli ultimi erano stati bloccati su richiesta del questore per le elezioni del 2012. Poi sono ricominciati i rientri. Siamo arrivati a un massimo di 300 unità circa durante l'emergenza. Forse pensano che qui adesso sia tutto a posto". Formalmente lo stato di emergenza a L'Aquila sta per finire, il termine è il 31 dicembre 2012.

L'Aquila è diventata un territorio difficile, è diversa sotto molti punti di vista. Prima di tutto quello urbanistico: il centro storico non esiste più, è "esploso" in 19 nuovi quartieri, le "new town" del Governo Berlusconi e i villaggi di moduli abitativi provvisori, le casette, contro cui hanno puntato il dito il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'archistar Renzo Piano in occasione dell'inaugurazione del nuovo auditorium. Il territorio da coprire quindi è molto più vasto e complesso: "Ero a San Gregorio per un intervento, a ovest della città - racconta uno degli agenti di servizio alla volante, è uno degli ex aggregati, già costretto a tornare alla sede di appartenenza - quando dalla centrale hanno richiesto il mio intervento ad Arischia. Sono più di 30 chilometri, certo io li posso fare ai 200 all'ora se è una cosa grave, però...".

Però oltre alle distanze c'è un centro storico deserto, in cui ogni giorno ancora "lavorano" gli sciacalli. Lo dimostra il numero di segnalazioni: "Solo stamattina abbiamo avuto sei o sette interventi per dei furti in case inagibili - ci spiegano - e ce ne sono ogni giorno perché la gente mano a mano li scopre e denuncia". E poi ci sono i cantieri, le imprese edili e gli operai. L'Aquila è diventato un polo di attrazione per la quantità di lavori da realizzare. Dalle riparazioni agli edifici con danni minori (classificati A, B e C) alla fase di ricostruzione delle case con lesioni più gravi, magari da abbattere, e i centri storici, sui quali si sono posati 43 mesi di polvere.

A primavera l'ormai ex commissario straordinario alla ricostruzione, Gianni Chiodi, parlava di 9.000 cantieri da aprire entro la fine dell'anno. Significa tanta gente in più: "L'Aquila è diventato un porto di mare - racconta uno dei poliziotti - qui sono arrivate tantissime aziende, tantissimi operai. Molti vengono senza un lavoro, per cercarlo. Ci sono situazioni di forte disagio sociale. I controlli da fare, anche per quanti riguarda le immigrazioni e i cantieri, sono tanti, troppi".

Da tre anni e mezzo gli "aggregati" aquilani lavorano, come dicono loro, "a costo zero". Per legge non possono fare straordinari. Non un euro in più della busta paga netta quindi. Mentre, una volta partiti, se dovesse esserci l'esigenza, "la Questura sarebbe costretta a chiamare personale da fuori, che costa molto di più perché ci sono indennità di missione e vari altri oneri". Li Calzi cita un esempio "per far capire come funzionano a volte le cose. Tra novembre e dicembre 2009 vennero inviati 20 agenti appena usciti dalla scuola. Non sapevamo dove metterli perché la città era fuori uso. E furono sistemati ad Avezzano. Solo per straordinari (un'ora di andata e una di ritorno), viaggio, vitto e alloggio costavano 100 euro in più a persona. Duemila euro in più al giorno".

L'allarme, lanciato dallo stesso questore durante la festa della polizia di maggio è chiaro: "A L'aquila il pericolo mafie è forte". Lo sarà di più mano a mano che progrediranno i lavori e si sbloccherà il denaro pubblico. Anche in questo il lavoro di polizia è importante. Per il controllo dei cantieri soprattutto ma anche per il servizio di investigazione: "La squadra investigativa si è sempre più assottigliata: da tre persone, uno è andato in pensione e uno è aggregato. Se fanno rientrare l'aggregato che succede? Le indagini non si possono fare in solitaria. Anche la Digos, gli agenti in borghese, è ai minimi termini". In questo quadro manca ancora anche quella white list delle aziende "pulite" per i lavori della ricostruzione, ipotizzata già nel 2009, all'indomani del sisma, poi regolamentata ad aprile 2012 con le linee guida in un decreto. Ancora vuota.

Mancano i punti di riferimento a livello istituzionale. A una richiesta di essere ascoltati, l'ex prefetto Giovanna Maria Iurato ha chiuso la porta agli aggregati, dirottandoli alla segreteria del suo ufficio. Ora è stata trasferita a Roma, al suo posto è arrivato l'ex prefetto di Messina Francesco Alecci. Pochi giorni fa è stato trasferito anche il questore, Stefano Cecere, ora ad Ancona mentre il capo della Mobile, Fabio Ciccimarra è stato sospeso a luglio perché condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi di reclusione (con interdizione dai pubblici uffici) per i fatti del G8 di Genova del 2001.

Gli agenti aggregati a giugno hanno inviato una lettera alle istituzioni (Prefettura, Questura, Provincia e sindaco) un appello caduto nel vuoto. Così hanno deciso di scrivere al Presidente della Repubblica, perché si sentono abbandonati, come era già accaduto per i Vigili del fuoco. Al capo dello Stato hanno raccontato "come a un padre" la loro precarietà di terremotati e di "precari" senza garanzie esprimendo anche il "timore per il depotenziamento dell'apparato di Polizia a L'Aquila". Molti di loro hanno chiesto il trasferimento da anni, alcuni anche da 20. Richieste rifiutate o che non trovano risposta, per esempio a chi il trasferimento l'ha chiesto per "gravi motivi famigliari", magari per assistere i genitori malati. Ora sembra che la situazione si sia congelata. I rientri degli aggregati pare siano stati bloccati (anche se ancora non c'è nulla di ufficiale) ma quello che tutti sanno è che, entro la fine dell'anno, coloro che non appartengono alla Questura aquilana, come "immigrati" a casa propria, dovranno abbandonare famiglia e città per far ritorno alle loro sedi.

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