Secondo i primi dati, solo 25 mila extracomunitari non in regola (su almeno mezzo milione) hanno aderito alla "procedura di emersione" offerta dal governo. Dubbi anche sui dati forniti: la percentuale delle colf è palesemente gonfiata
Secondo i più accreditati istituti di ricerca (l'Ismu in testa) gli stranieri irregolari nel nostro paese sono almeno 500 mila. Ma la procedura di emersione messa in campo il 15 settembre dal governo ha richiamato fino ad oggi appena 25 mila domande. E siamo ormai a un terzo del suo cammino temporale, perché il 15 ottobre scadranno i termini. Si può già parlare di fallimento, se l'obiettivo era quello di regolarizzare il maggior numero possibile di clandestini.
Di più: il 90 per cento delle richieste giunte al portale del ministero dell'Interno entro le 18 del 24 settembre riguardano colf e badanti.
C'è puzza di bruciato, in questo dato: è facile sospettare che vi siano camerieri, cuochi, muratori, addetti alle pulizie camuffati da lavoratori domestici. Per la semplice ragione che i costi dell'emersione, per colf e badanti, sono pari a un terzo di quelli degli altri settori, secondo la stima del Dipartimento politiche migratorie della Uil.
Oltre alla cifra fissa di 1000 euro, che i datori di lavoro debbono versare come forfait (il doppio rispetto alla regolarizzazione del 2009, e la crisi economica, oggi, picchia di più) ci sono obbligatoriamente sei mesi di contributi arretrati da pagare, e quelli del comparto domestico sono molto meno salati e si può presentare anche la domanda per un contratto di 20 ore settimanali.
Erano così appena 2.461, secondo l'ultima rilevazione, le richieste di emersione riguardanti il lavoro subordinato a tempo indeterminato, contro le 15.198 presentate per collaboratore familiare e le 6.590 per assistente alla persona o badante.
Va bene che l'Italia invecchia e che non ci sono servizi sociali su cui la famiglia può contare, ma quella che emerge da questo scorcio di regolarizzazione pare proprio una fotografia distorta. Anche perché curiosamente, tra colf e assistenti alla persona, spiccano lavoratori di nazionalità come il Marocco, l'Egitto, il Pakistan, che piuttosto raramente vengono impiegati nel settore domestico.
Ma c'è un'altra ragione che affolla artificialmente il popolo delle colf. I datori di lavoro accettano in molti casi di regolarizzare gli immigrati impiegati in nero, alla sola condizione che siano loro stessi a farsi carico dei costi della sanatoria. E gli stranieri, ovviamente, propongono la soluzione meno costosa. Capita così che i contributi previdenziali vengano pagati una sola volta, giusto per ottenere il permesso di soggiorno, e che poi il rapporto torni nell'ombra.
L'Inps ha già denunciato i rischi di operazioni del genere, ricordando che nell'ultima regolarizzazione del 2009, riservata soltanto al lavoro domestico, erano emersi all'inizio ben 235 rapporti di lavoro clandestini, ma di questi, a maggio del 2012, soltanto 71 mila erano rimasti attivi. Meno di uno su tre, quindi.
Oltre ai costi quasi insostenibili, la regolarizzazione impone al lavoratore l'obbligo di fornire una prova della presenza in Italia negli ultimi sei mesi. Impresa assai complicata e che rischia di attivare un mercato delle prove fasulle e dei timbri retrodatati. Se non si interviene immediatamente, con una circolare che semplifichi il semplificabile, il dato finale sarà ben inferiore a quello, già deludente, di 150 mila regolarizzazioni, stimato dal ministro dell'Integrazione Andrea Riccardi all'inizio dell'estate.