L'amministratore delegato del club milanese vuole mettere le mani sul campionato fino al 2021. Attraverso una complessa rete di società, alleati misteriosi ed ex dirigenti Fininvest

La scalata al campionato è fissata per il mese di novembre. In Lega calcio a Milano si voterà, a maggioranza qualificata di quattordici club su venti, se affidare le chiavi della serie A agli uomini di Infront Italy fino al 2021. È una partita complessa, dal risultato incerto. E anche sull’imparzialità dell’arbitraggio c’è qualche dubbio. Per cominciare, bisogna fare chiarezza sui ruoli in campo. Dire che Infront è l’advisor della Lega per i diritti tv è come dire che Leo Messi ha una discreta confidenza con il gol. Nella sostanza, Infront è la società che garantisce la sopravvivenza del campionato italiano con 900 milioni di euro l’anno per il triennio 2016-2018 e 930 milioni per il triennio successivo. Di fatto, Infront è molto di più di un intermediario e qualcosa di meno di una banca visto che è disposta a mettere sul piatto una cifra gigantesca (5,5 miliardi per sei anni) prima ancora di averla negoziata con i network (Sky, Mediaset e Rai) candidati a trasmettere i gol dell’ex campionato più bello del mondo.

Per quanto riguarda il curriculum dei protagonisti, l’intero negoziato sui diritti televisivi, sia quelli venduti in Italia da Infront sia quelli venduti all’estero da Media partners&Silva, è in mano a un gruppo di manager formatisi nel vivaio Fininvest. A fianco di Marco Bogarelli, Andrea Locatelli e Riccardo Silva, c’è un extracomunitario che certe partite le vince da solo. Si chiama Philippe Blatter, è svizzero e presiede la capogruppo Infront Media & Sports di Zugo. Blatter è anche il nipote prediletto di Josef, ex ala destra del Neuchatel Xamax, colonnello dell’esercito elvetico e monarca della Fifa dal 1998. Infront Italia ha già conquistato il diritto a gestire i pacchetti di “corporate hospitality” per i Mondiali brasiliani del prossimo anno.

A scanso di equivoci, va detto che la scalata di Infront al campionato italiano è tutt’altro che ostile. I presidenti della A, tanto litigiosi quanto pragmatici, non aspettano altro. Nessuno sa meglio di loro che, senza i soldi dei diritti ossia senza i tre quarti del fatturato pallonaro, il campionato chiude in due mesi. Certo, c’è modo e modo di cedere al vil denaro.

Il primo modo, chiamiamolo Infront forever, raccoglie tredici squadre (o dodici, secondo gli estri del napoletano Aurelio De Laurentiis) intorno alla Trimurti formata dal milanista Adriano Galliani, regista titolare del sistema, il laziale Claudio Lotito, l’uomo incaricato dei contrasti a centrocampo, e il manager presidente Maurizio Beretta, vaso di coccio che molti si divertono a sballottare ma che nessuno vuole rompere.

Il secondo modo, chiamiamolo Infront cum grano salis (altri tre anni e non sei), appartiene alle cosiddette sette sorelle. In ordine alfabetico, sono Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria, Sassuolo, Verona. Inferiori in numero, hanno un peso specifico evidente in termini di potere economico grazie a proprietari che si chiamano Andrea Agnelli, Diego Della Valle, Giorgio Squinzi, Edoardo Garrone, Massimo Moratti più i due gruppi stranieri che hanno investito in Italia: lo statunitense Jim Pallotta della Roma e l’indonesiano Erick Thohir, prossimo azionista di riferimento dell’Inter. Purtroppo per loro, in Lega vige il principio del voto capitario. Al momento di decidere, Juve e Inter valgono quanto Livorno e Chievo.

La logica degli schieramenti è complicata dal fatto che, da quando è entrata nel sistema calcio (gennaio 2009), Infront ha preso accordi commerciali e pubblicitari anche con club, come l’As Roma e la Juventus, contrari all’obiettivo 2021. In aggiunta, ha rilevato la gestione di alcuni archivi storici e ha esteso la sua attività al settore produzione.
Oltre alle affinità fininvestiane, l’espansione silenziosa di Infront si è rafforzata proprio grazie al difficile momento economico. Oggi il mercato degli abbonati al calcio televisivo conta circa 4,5 milioni di persone divise numericamente all’incirca a metà fra Mediaset e Sky, che però guadagna il triplo per abbonato.

Il parco tifosi da divano ha smesso di aumentare, anzi è in lieve calo e l’offerta di Infront suggerisce una crescita minima degli abbonati nazionali nel lungo periodo. Dalla parte delle sette sorelle si fa notare che una proiezione così in là nel tempo è arrischiata considerando i cicli dell’economia e il passo accelerato dell’evoluzione tecnologica. La verità è che nessuno crede più al cavaliere bianco capace, come ha fatto British Telecom in Inghilterra, di irrompere nell’asta con i suoi rilanci. Anche perché la nostra Telecom la stiamo vendendo agli spagnoli.

Così le sette sorelle hanno la forte tentazione di allinearsi alla maggioranza gallianista, schierata per i pochi (si fa per dire), maledetti e subito. In fondo, tutti e venti i club sono terrorizzati all’idea che il secondo investitore, cioè Mediaset Premium, si tiri indietro. La pay-tv berlusconiana in onda sul digitale terrestre ha pagato a caro prezzo il desiderio di fare concorrenza alla piattaforma satellitare di Sky. Secondo un calcolo prudenziale, il calcio costa al Biscione 60 milioni di euro di perdite all’anno e ha richiesto un totale di 1,7 miliardi di investimenti complessivi contro i 6,3 miliardi spesi da Sky in dieci anni. Sei mesi fa, come ha rivelato “l’Espresso”, c’è anche stata una trattativa fra Rupert Murdoch e Fedele Confalonieri, che voleva mollare il pallone. Ma non si è raggiunto l’accordo sul prezzo di vendita e tutto è rimasto come prima. Almeno per adesso.

Nel frattempo, Infront si è cautelata con un finanziamento di tre banche estere che copre la quota Mediaset (articolo in questa pagina). Ma è una somma che basta appena per un anno. Ed è da escludere che Sky Italia, in caso rimanga sola, copra la differenza.

Così Infront ha tirato fuori dalle scuderie un vecchio cavallo di battaglia, il canale tematico della Lega. Per decantarne le virtù, si è portata ad esempio la tv dell’Eredivisie, la lega di serie A olandese, appena rilevata dalla Fox del gruppo Murdoch per 1 miliardo di euro insieme ad altri asset. Ma il precedente italiano non è altrettanto confortante. Si chiamava Gioco calcio e ha chiuso i battenti dieci anni fa dopo avere ballato una sola estate o poco più. È vero che in dieci anni è cambiato tutto nel mondo dei media, ma lo studio di fattibilità sulla tv della Lega è di là da venire. Al momento, sembra una soluzione di emergenza.

L’altra via per aumentare il bottino dei diritti è quella che porta all’estero. Qui entra in gioco la Media Partners & Silva, fondata come Media Partners da Marco Bogarelli e Andrea Locatelli, che sono anche passati dall’avventura Milan Channel, la tv tematica del club della Fininvest. Adesso Riccardo Silva guida sia Mp, sia Milan Channel che ha in ballo un progetto da 1 milione di euro per lo sviluppo di Milan channel.
Discendente di Ambrogio Silva, imprenditore brianzolo che un secolo fa ha portato in Italia l’industria dei prodotti detergenti, il manager quarantenne si è fatto carico dei diritti internazionali della serie A per poco più di 110 milioni di euro. Il suo contratto è “vuoto per pieno”, nel senso che lui paga la Lega e poi piazza il prodotto. La differenza se la tiene. A quanto ammonti lo spread di Silva è difficile dire visto che Mp, così come il gruppo Infront, ha molto a che fare con società insediate nei paradisi offshore di mezzo mondo.

Come accadeva circa vent’anni fa ai diritti cinematografici della library Fininvest, un audit reale delle transazioni è alquanto complicato.
Ma si può dire che in termini di audience, secondo fonti interne alla Lega, il prodotto serie A vale la metà della Premier League. In termini di ricavi vale un ottavo.
Non è l’unico paradosso. Infront ha reso felici i presidenti di serie A con un ricavo per abbonato di 177 euro che è il più alto di Europa. Nello stesso tempo, ha reso infelici i network che, pur di farsi la guerra commerciale, hanno dovuto abbattere gli abbonamenti ai prezzi più bassi d’Europa. L’altro paradosso è che i sogni di ridurre il gap complessivo con la Premiership inglese sono in qualche modo legati proprio alle frequentazioni vip di Silva. Oltre ai cocktail sul red carpet dei festival cinematografici con George Clooney, Silva vanta un’intesa di business con la forza emergente del calcio europeo, la famiglia regnante qatarita degli al Thani, grazie alla sua amicizia con Nasser al Khelaifi, amministratore di al Jazeera Sports e presidente del Paris Saint-Germain di Zlatan Ibrahimovic e Edinson Cavani.

L’arrivo salvifico dello sceicco vale più di uno scudetto nell’immaginario di un proprietario di serie A. Ma lo sbarco in Italia di al Jazeera non si può scontare in banca, a differenza dei 900-930 milioni promessi da Bogarelli-Blatter e soci.
Perciò il pronostico per la prossima riunione dei club a Milano lascia pochi margini di incertezza. Il primo triennio se lo prenderà Infront senza grosse difficoltà. Sul secondo c’è qualche ombra in più. Altri advisor (Img, PricewaterhouseCoopers, Wasserman, Kpmg) vorrebbero sostituire il duo Bogarelli-Blatter. E forse anche l’antitrust potrebbe voler dire la sua sulla durata di un contratto per un ruolo che, ormai, va ben oltre la consulenza. Ma i presidenti sanno che non è il momento di lanciarsi in proiezione offensiva. Alla fine, un accordo si troverà. Un accordo con Infront. ?

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