In quasi cinque anni, Camera e Senato non hanno combinato quasi nulla. Limitandosi ad approvare i decreti dei governi e lavorando pochissimo. Il bilancio (imbarazzante) della legislatura che si sta chiudendo

Il trend era già chiarissimo e viene da lontano. Da almeno un decennio il peso dell'esecutivo è andato crescendo nel nostro ordinamento. Se ne è lamentato qualche esponente politico e ha sollevato il problema più di un costituzionalista. Ma nel corso dell'ultima legislatura, prima con il governo di Silvio Berlusconi poi con il "tecnico" Mario Monti, la tendenza ha subito un'ulteriore accelerazione. Risultato: nella elaborazione delle leggi e nell'esercizio dei poteri di controllo più importanti che la Costituzione gli assegna, il Parlamento ha perso ulteriormente peso sino a vedere offuscate le sue prerogative.

Lo dice il rapporto "Camere aperte" dell'associazione Openpolis, l'osservatorio civico della politica che si occupa di trasparenza e accesso ai dati delle istituzioni. Uno studio che "l'Espresso" anticipa e che ha passato alla lente d'ingrandimento gli oltre 74 mila atti, disegni di legge, decreti, mozioni, interrogazioni, eccetera, prodotti da governo, Camera e Senato negli ultimi cinque anni. Un'analisi che porta in luce protagonisti, trend e temi-chiave dell'attività parlamentare, ma soprattutto mette a confronto l'operato dei governi Berlusconi e Monti.

Ed è proprio in questo contesto, di fronte ai dati offerti da questo raffronto che Openpolis fa scattare il campanello d'allarme sullo strapotere dell'esecutivo, una tendenza che si è rafforzata con il Cavaliere ed imposta ulteriormente con il Professore che, dice il rapporto, lanciando continui appelli «a far presto» con leggi e riforme in grado di arginare la crisi, ha ottenuto margini di manovra così ampi e impensabili per i suoi predecessori da farci addirittura chiedere se «quella italiana sia ancora una Repubblica parlamentare».

GOVERNO ONNIPOTENTE. A testimoniare la rilevanza del trend ci sono anzitutto i dati che Openpolis fornisce sul processo legislativo. Delle 387 leggi approvate nella legislatura, infatti, ben 297 sono di iniziativa governativa (77 per cento) ed appena 90 (23 per cento) di iniziativa parlamentare, con gli esecutivi Monti-Berlusconi che si contendono il primato con indici di successo pressoché uguali. Con qualche curiosità aggiuntiva. Se è il governo a prendere l'iniziativa, per esempio, la probabilità che decreti e disegni di legge vengano approvati arriva al 34 per cento. Al contrario, quando sono deputati e senatori a presentare proposte le possibilità di successo scendono ad un misero 1 per cento. Non parliamo poi degli altri soggetti cui la Costituzione riserva la potestà legislativa (cittadini, Regioni e Cnel): per costoro la débâcle è totale e la probabilità di vedere le proposte trasformate in leggi risulta addirittura pari a zero.

SUPERMARIO RECORD. Sistematico ricorso al voto di fiducia e scarsa attenzione al potere di controllo delle Camere. Sono gli altri punti dolenti che nel dossier Openpolis rimarcano l'ulteriore ridimensionamento del Parlamento. Il ricorso alla fiducia è una scelta molto delicata e fatta il piu delle volte sotto il costante ricatto della crisi di governo. Se ne dovrebbe fare perciò un uso moderato. Invece, nel corso di questa legislatura l'uso di questo strumento s'è rivelato straripante: Berlusconi, nei circa quattro anni (2008-11) del suo ultimo regno, vi ha fatto ricorso 45 volte. Troppo, per l'opposizione, che non ha fatto mancare le sue proteste. Ma sempre meno di Monti che in poco più di un anno ha posto la questione di fiducia ben 51 volte.
Un vero record, al quale si somma il primato conseguito anche su un altro fronte caldo, quello del rispetto del potere di controllo esercitato da deputati e senatori con interrogazioni e interpellanze. Ebbene, dice il rapporto Openpolis, se il governo Berlusconi ha risposto solo al 39 per cento degli atti di sindacato ispettivo, quello di Monti lo ha fatto addirittura meno, rispondendo appena al 29 per cento delle 13.260 richieste avanzate.

LEPRI E TARTARUGHE. È in questo contesto complicato che continuano a proliferare le richieste di riforme istituzionali, soprattutto per far fronte ad uno dei problemi più grossi: la lentezza del Parlamento nel varare le leggi, un andazzo che imbriglierebbe e comprometterebbe in maniera letale l'iniziativa e l'azione di governo. Una verità che si è affermata largamente con la propaganda berlusconiana ma che il rapporto Openpolis mette in discussione affermando senza mezzi termini che si tratta di un'opinione infondata. E lo dimostra con i suoi dati. Anzitutto spiegando come mediamente le leggi approvate abbiano bisogno di 243 giorni per completare l'iter, con quelle di iniziativa parlamentare che si trascinano per 603 giorni e quelle governative che giungono al traguardo in 136. Con un dato inconfutabile, però: che quando i provvedimenti interessano davvero al governo e alla maggioranza che lo sostiene, quando c'è la volontà politica insomma, i tempi si accorciano miracolosamente. Qualche esempio: nel marzo 2009 sono bastati solo 6 giorni alla maggioranza berlusconiana per fare approvare la legge-Cicchito sullo svolgimento del referendun elettorale, mentre ce ne sono voluti appena sette per far passare la legge di Donato Bruno per sanare le irregolarità emerse nella presentazione delle liste Pdl in Lombardia e Lazio.

STAKANOV IN PARLAMENTO. Confrontando gli atti avviati nei due rami del Parlamento dai governi Berlusconi e Monti affiorano poi i temi più cari alle rispettive agende politiche. Economia a parte, saldamente in testa ai loro interessi, il tratto caratteristico dell'azione del Cavaliere (sempre alle prese con i suoi processi e le leggi ad personam) è stata senza dubbio l'insistenza sui temi della "giustizia"; Monti, al contrario, si è dedicato soprattutto alle imprese. Quanto al resto, Berlusconi ha battuto molto su testamento biologico, istruzione e immigrazione; mentre Monti si è distinto su rifiuti, casa e pensioni.

Su questi ed altri piu o meno impegnativi temi hanno lavorato gli oltre mille deputati e senatori (comprendendo i subentrati). Un'attività che Openpolis ha esaminato minuziosamente con risultati spesso sorprendenti. Scorrendo le tabelle del rapporto si scopre così che Pier Luigi Bersani e Emma Bonino sono gli esponenti dell'opposizione che in votazioni che potevano essere decisive hanno contribuito più di tutti a salvare il governo Berlusconi con le loro assenze; che i deputati di Udc e Fli, ora alleati di Monti alle elezioni, hanno votato meno volte dei colleghi del Pd a sostegno dello stesso premier; che Domenico Scilipoti e Roberto Calderoli sono i parlamentari che più si sono opposti con i loro voti al Professore; che Rita Bernardini e Elio Lannutti hanno il record delle interrogazioni presentate. Ma, soprattutto, si scopre quanto i parlamentari hanno lavorato sia in termini di quantità che di qualità.

Vero che l'attività legislativa si svolge anche nelle commissioni, ma se si esamina le performance collezionate dagli eletti in aula c'è da restare sbigottiti. Montecitorio, nei 5 anni della legislatura, è stata per esempio impegnata per 3 mila 732 ore, cioè per 466 giornate lavorative di 8 ore, che fanno 93 giorni l'anno, meno di 8 al mese e neanche due (1,79 ad essere pignoli) a settimana. Ancora più striminzita la performance dei senatori, che in cinque anni sono riusciti a lavorare in aula per 2.321 ore, pari a 290 giorni, cioè 58 giornate l'anno, 4,8 al mese e 1,1 a settimana.

Numeri che suscitano ancora più sconcerto quando si scopre che anche con così poche ore da lavorare non c'è deputato o senatore che sia riuscito a fare il pieno delle presenze ed assolvere sino in fondo il proprio dovere. Le tabelle parlano chiaro. Nella top ten dei più assidui alla Camera, il migliore risulta Remigio Ceroni (99,8 per cento) del Pdl, seguito da altri tre colleghi di partito: Giorgio Lainati, Simone Baldelli e Paolo Vella. Per trovare i primi democratici in graduatoria, Tino Iannuzzi e Marco Carra, occorre scendere al settimo e ottavo posto. Identica musica al Senato, dove primo dei presenti è un altro esponente del Pdl, Cristiano De Eccher, con i democratici Carlo Pegorer e Cinzia Fontana attardati all'ottavo e al nono posto.

Centrodestra sugli scudi anche nella graduatoria degli assenti. Alla Camera, a parte il caso di Antonio Gaglione, medico pugliese passato dal Pd al gruppo misto e assenteista dichiarato (92 per cento), spiccano l'avvocato e il braccio destro di Berlusconi, Niccolò Ghedini (81 per cento) e Denis Verdini (Pier Luigi Bersani è al quinto posto con il 72 per cento delle assenze), mentre a Palazzo Madama primeggiano l'esponente autonomista siciliano Giovanni Pistorio e i due vicepresidenti Domenico Nania (Pdl) ed Emma Bonino (radicale).

Infine l'indice di produttività, calcolato da Openpolis sulla base degli atti presentati, il consenso ricevuto e la partecipazione ai lavori. I primatisti in questo caso risultano Donato Bruno alla Camera e Carlo Vizzini al Senato, mentre maglie nere sono il solito Niccolò Ghedini alla Camera e al Senato il siciliano Vladimiro Crisafulli, non ricandidato dal Pd alle prossime elezioni.