Ho cercato, nel programma del nuovo governo, qualche punto sulla lotta alla criminalità organizzata. Non l'ho trovato. Nemmeno una parola. Non è una questione urgente, pare

Esiste una politica delle parole e queste hanno quasi del tutto sostituito i fatti. I partiti stessi hanno ormai condensato nei loro nomi - sempre più lunghi e complessi - i programmi. Non sembrano più entità che riuniscono persone con idee affini, provenienza e interessi comuni, ma parole cui attaccarsi. Eppure tanta chiarezza si arena completamente alla prova dei fatti. E allora serve la parola sovrana, che più di ogni altra spieghi ciò che l'Italia sta vivendo, che motivi la paralisi, blocchi i ragionamenti. "Priorità", ecco la parola. E sulle priorità sono mesi che non si trova un accordo. Impotenti, ci affanniamo a fare analisi, a proporre strade. Ma tutto sembra detto sempre per mero calcolo e interesse personale. Se si racconta il potere delle organizzazioni criminali è perché "grazie alle mafie chi racconta si arricchisce". Le mafie sono lungimiranti. Ecco perché non si devono contrastare solo per i loro patrimoni, ma anche e soprattutto per la capacità che hanno di ottenere consenso sociale e controllo sul territorio. Ecco perché la società legale risulta perdente: perché sempre legata al qui e ora, le "priorità politiche" devono consentire alla prossima tornata elettorale di non alienarsi parti più o meno cospicue di elettorato. È con questo spirito che ascoltiamo i dieci punti del nuovo governo. Li rileggiamo, per paura che qualcosa ci sia sfuggito, e nascosta nella "priorità lavoro" troviamo un cenno alla Questione meridionale. Collocata lì, mi dico, perché la disoccupazione al Sud è alle stelle e perché il lavoro nero lì più che altrove è una piaga.

NON UNA PAROLA sulle organizzazioni criminali. Non una parola su 'ndrangheta, camorra e mafia, che Obama considera un pericolo per la democrazia americana. Le organizzazioni italiane provano a combatterle oltre oceano, ma nelle dieci priorità del governo appena insediato, nemmeno una parola. E non si dica che è una declinazione della Questione meridionale perché non è più così. Le organizzazioni hanno smesso di essere solo dedite all'estorsione, al pizzo, al racket nelle sfortunate provincie campane, calabresi e siciliane. Ormai fanno affari in tutta Italia e ovunque nel mondo. Le loro attività vanno dalle estorsioni al traffico di droga, all'usura, alla contraffazione, allo sfruttamento sessuale. Cemento, trasporti e tutto quanto consenta di riciclare o occultare i proventi delle attività criminali. E noi stiamo a discutere su quali siano le priorità, quelle più priorità di altre. Senza pensare che tutto si può fare insieme e subito. Che non esistono sottintesi, che non si bloccano le mafie delegando a commissioni o esperti.
Certo questi sono utili, direi fondamentali, nel momento in cui il governo ha un progetto chiaro di aggressione ai meccanismi mafiosi. In caso contrario diventano solo simboli dietro cui nascondersi.


HO CHIESTO AL PRESIDENTE del Consiglio tramite Twitter e Facebook perché nei dieci punti non vi fosse il contrasto alle organizzazioni criminali. La risposta è arrivata, eccola: abbiamo intenzione di usare le migliori intelligenze e chiederemo a due magistrati, Cantone e Gratteri, di aiutare la presidenza del Consiglio. Perché si deve partire da chi è sul campo e non da chi parla del problema criminale astrattamente. Sono due magistrati con i quali ho sempre sentito il bisogno di confrontarmi in questi lunghi anni, quindi da un lato la speranza che gli siano dati gli strumenti necessari per svolgere un compito difficilissimo e dall'altro una preoccupazione: si può davvero fare una vera politica antimafia senza avere un progetto, un percorso chiaro, senza conoscere le urgenze, ma solo e sempre delegando? Se il governo si fa carico di contrastare le organizzazioni, forse si può pensare di ottenere dei risultati. Se invece lo inserisce tra le decine di problemi da affrontare, tutto sarà destinato a rimanere immutato. Cambiano le forze al governo, ma l'atteggiamento resta il medesimo, magari senza essere tanto espliciti da voler "strozzare chi parla di mafie". Deresponsabilizzazione, delega e delegittimazione, ecco le parole non dette, ma che ogni volta colpiscono, come un pugno nello stomaco.

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