Un'avvocatessa, una farmacista e una biologa, tre madri, prestate alla politica con l'idea di poter fare qualcosa di buono. Animate solo dal desiderio di amministrare la comunità, si son trasformate in eroine antimafia. Ecco le loro storie

Le hanno chiamate "le sindache anti 'ndrangheta". Ma questa etichetta è un fardello troppo pesante da portare. Elisabetta Tripodi a Rosarno (Rc), Maria Carmela Lanzetta a Monasterace (Rc) e Carolina Girasole a Isola Capo Rizzuto (Kr) non volevano essere eroine antimafia, volevano solo fare il sindaco. Ma in Calabria la normale attività amministrativa diventa un atto di coraggio. Un'avvocatessa, una farmacista e una biologa, tre madri, prestate alla politica con l'idea di poter fare qualcosa di buono. Dal 2010 è stato uno stillicidio di intimidazioni mafiose: incendi, proiettili e lettere minatorie. La 'ndrangheta non è riuscita a fermarle, ma prima che con i boss queste donne devono vedersela con l'isolamento politico e con la macchina del fango messa in moto per delegittimarle. Dicono che parlando di criminalità organizzata abbiano infangato il buon nome dei loro paesi, che non sono capaci di amministrare. Un giornale locale semisconosciuto, ma seguito sulla fascia jonica reggina, le ha chiamate "le addolorate di Rosarno e Monasterace" e gli ha augurato "corone funebri".

E alla fine solo una è rimasta al suo posto. Carolina Girasole non è più sindaco di Isola Capo Rizzuto da maggio, quando ha perso le elezioni. Il Pd, il suo partito, l'aveva abbandonata decidendo di sostenere la candidatura di Nuccio Milone, l'uomo che guidava il comune dieci anni fa quando fu sciolto per mafia e che ha fatto la campagna elettorale con lo slogan "riprendiamoci la nostra dignità". Così ha vinto il candidato Pdl. Il fuoco amico è stato più pesante di quello delle 'ndrine. Isola Capo Rizzuto è un piccolo comune circondato da pale eoliche. Sono ovunque. Sembrano piantate direttamente sui tetti delle case. Ma è un'illusione ottica. È il paese del più grande parco eolico d'Europa, di uno dei più grandi centri per migranti, da oltre 1000 posti, che comprende sia l'accoglienza dei richiedenti asilo, sia la detenzione degli irregolari.

Il Cie e il Cara sono gestiti entrambi, da sempre, dallo stesso soggetto cattolico: le Misericordie, che riescono a mandare avanti il centro di identificazione e di espulsione con il budget più basso d'Italia, 21 euro al giorno a persona. Nel Cie le condizioni di vita sono così disumane che, secondo una sentenza di un giudice di Crotone, i migranti si sono ribellati per legittima difesa. Nel 2010 sono state bruciate una dopo l'altra le auto del vicesindaco, del capo dell'ufficio tecnico e poi quella di Carolina. "Ma noi è qui che vogliamo vivere" ribadiva testardamente lo slogan elettorale. L'anno scorso hanno incendiato il portone del municipio e hanno scritto sui muri "ti ammazziamo". Subito dopo le elezioni le hanno dato il benservito della sconfitta appiccando le fiamme alla casa al mare che appartiene al marito. Due appartamenti distrutti. Le colpe di Carolina: aver difeso il territorio abbattendo una casa abusiva sul mare e chiedendo alle società eoliche di pagare alle casse pubbliche una quota più alta per lo sfruttamento del terreno. Ma soprattutto avere assegnato con bando pubblico alla cooperativa Terre Joniche di Libera di don Ciotti un bene che era stato confiscato alla 'ndrina degli Arena. Quei 94 ettari di terreno sono diventati il simbolo dello scontro di potere. La 'ndrangheta è ricca, può comprare molta terra, ma ha subito uno smacco sulla leadership, sul controllo del territorio. E non glielo perdona. "La criminalità ha un grande potere economico ma ha bisogno del consenso popolare - dice Carolina - e lo ottiene controllando gli enti locali, che sono lo strumento attraverso cui si garantiscono favori". È consapevole che "avere il vuoto intorno è pericolosissimo". Lo sottolinea a proposito delle dimissioni di Maria Carmela Lanzetta: "nel momento in cui chi ti è accanto fa un passo indietro, sei esposta ancora di più."

Maria Carmela Lanzetta ha lasciato la carica di sindaco di Monasterace l'8 luglio su una questione cruciale: la costituzione di parte civile del comune contro tutti gli imputati del processo "Village" in cui l'ex capo dell'ufficio tecnico è accusato di avere favorito negli appalti ditte riconducibili alla cosca dei Ruga, coinvolta negli ultimi anni nella sanguinaria "faida dei boschi". A dispetto del nome folkloristico, è in realtà una guerra di 'ndrangheta per il controllo dei traffici di droga e del riciclaggio che ha mietuto vittime fino in Lombardia, a partire dall'ormai famoso boss Novella.

Non incendi e proiettili, per i quali è finita sotto scorta, l'hanno fatta cadere, ma il "tradimento" politico di una donna fidata, una dei suoi assessori. In due anni, hanno bruciato e devastato la sua farmacia, sparato proiettili contro la sua auto e la serranda dell'attività, scritto sui muri bare con i nomi delle figlie di una persona della giunta. L'anno scorso aveva deciso di dimettersi. Poi era tornata sui suoi passi dopo l'arrivo a Monasterace di Pierluigi Bersani. La cosa sorprendente è che in realtà la delibera di costituzione di parte civile anche contro i Ruga è passata. Quel solo voto contrario ha spaccato il fronte. Ha rotto gli equilibri precari su cui si reggeva una poltrona traballante di stanchezza. Il passo indietro è arrivato con una lettera alla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini che sarebbe dovuta andare a Monasterace per un incontro sulle donne, il lavoro e la legalità. "L'esigenza di non derogare alla coerenza personale di valutazioni istituzionali indirizzate a tenere la schiena dritta per tutelare il nome del mio Comune e della mia Amministrazione, mi hanno convinta a fare una scelta dolorosa ma necessaria" sono le parole di congedo di Maria Carmela Lanzetta. Un altro passaggio fa capire bene il clima. "Purtroppo queste scelte - dice ancora la sindaca di Monasterace - quando non vengono comprese, conducono anche a perdere le amicizie di una vita e al peso della solitudine". 

A Rosarno, a casa di Elisabetta Tripodi, l'ultima che ancora resiste, è andata a incontrarle tutte la presidente Boldrini. Davanti a lei, in un piccolo auditorium, Lanzetta ha chiesto ai cittadini di non lasciare sola la loro sindaca. "Nelle minacce leggo una componente sessista di una mentalità mafiosa che pensa che intimidire le donne sia più facile - ha detto la terza carica dello Stato davanti ai rosarnesi - la 'ndrangheta lede i diritti umani, chi vive qui è un cittadino a libertà limitata. Voler fare funzionare un bene confiscato deve rientrare negli atti normali non in quelli eccezionali. La Calabria oggi, malgrado tutto ha visto nascere una primavera femminile".

Tripodi e Lanzetta si sono conosciute per caso due anni fa in un corridoio della Regione Calabria. Poi entrambe sono finite sotto scorta. "Da lì è nato un rapporto di vicinanza telefonica, più che fisica - dice a L'Espresso Elisabetta Tripodi - nel quale vedevamo nelle nostre vicende uno specchio, non per le intimidazioni della criminalità, ma per la demolizione della figura femminile, ad esempio con i gruppi Facebook contro di noi. Capisco Maria Carmela. Con la solitudine politica in cui ci si ritrova, la stanchezza della vita sotto scorta, gli attacchi, penso che anche la resistenza più forte alla fine si logori".

Carolina Girasole l'ha conosciuta in campagna elettorale, dopo la rivolta degli africani quando la comunità ha deciso nell'urna di voltare pagina con un voto pulito, quello per Elisabetta Tripodi . "Ci siamo scambiate le nostre storie e ci rendevamo conto sempre di più come le dinamiche fossero uguali in tutti e tre i paesi - continua - l'essere accusate di voler fare carriera, perché eravamo le eroine dell'antimafia finte, una serie di falsità infinite. Questo linguaggio non lo ricordo verso gli uomini. Il potere è maschio, non accetta le donne".

Ora che le altre due non indossano più la fascia tricolore, Elisabetta ammette di sentirsi più sola. "La mafia è l'ultimo dei problemi - dice - è una cosa a cui non penso più, e nemmeno alla paura, per tutto quello che stanno facendo per farmi mollare". La sua maggioranza traballa. E le brutte notizie non mancano mai. L'ultima batosta è il trasferimento dei poliziotti del nucleo di prevenzione anticrimine a Vibo Valentia, in un'altra provincia. A Rosarno non c'è il commissariato e da 18 anni quegli agenti erano un presidio per tutta la Piana di Gioia Tauro. Ma la spending review si è abbattuta come una mannaia per risparmiare sull'affitto dei locali, con un decreto firmato dal defunto capo della polizia Antonio Manganelli. In paese avevano fatto un corteo di protesta, il comune aveva proposto di trovare un immobile confiscato da destinare all'uso, sembrava che la decisione fosse stata sospesa. Anche perché il contratto d'affitto dovrà essere pagato comunque per un altro anno e mezzo. "Invece siamo stati avvisati ieri che oggi si sarebbero trasferiti", spiega Tripodi. Ora tutto il territorio tirrenico della provincia di Reggio Calabria rimane sguarnito. "Mi debbono spiegare se improvvisamente Rosarno è diventata un'isola felice - dice amareggiata la sindaca - Non si capisce questa schizofrenia statale nel dare attenzione a un territorio con le operazioni di polizia e magistratura e poi chiudere il nucleo di prevenzione anticrimine".

Mentre parliamo arriva una telefonata. Così Elisabetta scopre che il ministero dell'Interno ha pubblicato le graduatorie dei progetti ammessi al finanziamento del Fondo europeo per l'Integrazione, ma quello presentato dal comune di Rosarno non c'è. E questo è un grosso problema, che peserà in autunno, quando inizierà la stagione di raccolta delle arance e come sempre migliaia di braccianti africani arriveranno nella Piana di Gioia Tauro. "Se ai migranti dell'emergenza Nord Africa gli dai 500 euro e li spargi per l'Italia, in inverno verranno qui a cercare lavoro - dice con preoccupazione - il ministero ci ha appena consegnato dei prefabbricati per alloggiare 150 persone, ma la Regione e la Provincia non ci danno i soldi per gestirli e il comune di suo non ha 100mila euro da destinare. Che senso hanno i container se non ho le risorse per aprirli?".

Pochi mesi fa, il Viminale ha installato una seconda tendopoli perché la prima era troppo piccola e accanto era sorto un ghetto disumano. Ma ha messo solo le tende, abbandonando la struttura a se stessa. Per due mesi la corrente elettrica è stata pagata dalla Caritas. Un centinaio di persone ancora ci vive dentro. Ma, dicono i migranti, senza luce e con l'acqua solo per due ore al giorno.

Elisabetta Tripodi è sotto scorta dal 2011, da quando ha ricevuto una lettera dal carcere di Opera dal boss Rocco Pesce che la rimproverava per avere osato sgomberare la sua famiglia da una casa abusiva. Da otto anni il comune doveva riprendersela. Ma nessuno aveva osato fare questo gesto. La missiva era in una busta intestata del comune di Rosarno. "Ci accusava di persecuzione nei confronti della famiglia, anche perché ci eravamo costituiti parte civile nel processo All Inside - spiega la prima cittadina - in questa lettera erano contenute delle insinuazioni, che tutti abbiamo scheletri nell'armadio, ci accusava di pensare prima agli extracomunitari che ai cittadini di Rosarno. Fu ritenuta dai magistrati una lettera intimidatoria, anche se non conteneva minacce esplicite". Condannato a cinque anni in primo grado per questa azione, Rocco Pesce è stato assolto in appello pochi mesi fa e la procura ha fatto ricorso in Cassazione. "Non mi sono sentita minacciata dalla lettera, mi sono sentita offesa e calunniata, ritengo che la mente sia qui a Rosarno, che questa persona abbia ricevuto l'ordine di scriverla per gettare un'ombra, dicendo che ci hanno votato anche i mafiosi. Questo è un sistema che le mafie utilizzano, gettare fango invece di sparare al portone o alla macchina".

Ma se lo scopo era farla mollare, se in paese le malelingue dicevano che non avrebbe resistito più di sei mesi, l'effetto è stato il contrario. "Diventava una sfida e io la raccoglievo: se do fastidio, allora siamo sulla strada giusta". Dal 2011 è una mamma sotto scorta, che non accompagna più i figli a scuola o alla partita di calcetto. È il prezzo da pagare, reso più pesante dalle mille polemiche sulla tutela dello Stato.

"Non guido più la macchina e questa è la cosa che mi pesa maggiormente - ammette - andare a correre, andare in palestra sono cose che non faccio più. Per molto tempo mi sono vergognata della scorta, di essere guardata. È una cosa stupida che ho cercato di vincere in tutti i modi. Ora vado a fare la spesa, vado nei negozi anche qui a Rosarno perché non ritengo sia una colpa avere la scorta. Io non abbasso lo sguardo, altri dovrebbero vergognarsi".