Il figlio è morto in carcere nel 2003, in circostanze poco chiare, e da allora la donna non ha mai smesso di chiedere che le indagini sulla sua scomparsa vengano riaperte. Ma ora, esasperata e impoverita dall'iter giudiziario, ha lanciato questa provocazione

"Ho preso la mia decisione, non è stato facile, ma voglio vendere un rene. In Italia non è legale lo so. Ma anche la pena di morte non è legale". L'appello disperato è arrivato qualche giorno fa da Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, che così si è sfogata sul suo profilo Facebook. Spiega di non avere più soldi per pagare il criminologo e fornire nuovi indizi che spingano la Procura di Livorno a riaprire le indagini sulla morte del figlio.

Marcello aveva 29 anni quando, nel 2003, morì di infarto – così ha stabilito la Cassazione - nel carcere "le Sughere" di Livorno. Scontava 9 mesi per tentato furto.

A l'Espresso Maria conferma le sue intenzioni illegali: "La mia non è una provocazione, sono disposta a farlo". Nonostante il caso Lonzi sia archiviato, Maria ha ancora troppi dubbi, tanti quanti sono i segni sul corpo del figlio: "Devo sapere cosa è successo, ancora non so a che ora è morto Marcello, le testimonianze sono discordi".

Dieci anni di processi l'avrebbero lasciata senza soldi: "Facevo le pulizie, ma ora non c'è lavoro. Ho imparato anche a saltare i pasti. Ma non è quello che mi rode. Mi rode l'ingiustizia. Possibile che non ci sia un magistrato onesto? Ora ne è morto un altro in carcere a Livorno: vorrei vedere il corpo" afferma la donna.

Il post su Facebook con cui Maria Ciuffi annuncia la sua decisione


L'ultimo della lista dei morti de “le Sughere” è Assanlal Foad, 37 anni. E' morto il 22 settembre, secondo i giornali locali forse per "un'eccessiva inalazione di gas da una bomboletta". Le indagini faranno chiarezza.

Per suicidio, malattia o cause da accertare, sono tanti i morti a Livorno: 18 dal 2003 ad oggi.
“In proporzione, rispetto alla popolazione di detenuti, per fare un esempio sono più del doppio rispetto a San Vittore a Milano” fanno sapere da Ristretti Orizzonti, il portale di informazione sulle carceri. Che tramite l'Espresso fa un contro-appello a Maria Ciuffi: "Come associazione abbiamo un ufficio di tutela legale e di sostegno psicologico, che, con la licenza dei rispettivi Ordini, lavorano gratuitamente. Se vuole il nostro aiuto, noi ci siamo". Ma non sarà facile riaprire il caso secondo loro: "Servono elementi nuovi – affermano - ma nel caso di Marcello Lonzi c'è stato un grosso buco di democrazia e diritti umani".

Anche l'ex deputata dei radicali Rita Bernardini, una delle voci italiane più autorevoli sul tema carceri, risponde al nostro appello: "E' vero che il dolore di una madre è straziante per la morte di un figlio. Ma non c'è bisogno di arrivare a vendere una parte del corpo: noi radicali ci siamo per lei. Se lo vuole, possiamo fornirle aiuto legale". E aggiunge: "Ci stiamo anche battendo all'Onu per il diritto alla verità dei popoli, perché i segreti di Stato molto spesso nascondono le peggiori nefandezze. Quindi è un motivo in più per dare una mano a questa donna".

"E' destino comune a molte persone che hanno avuto un figlio, un fratello, un padre morto nelle mani dello Stato quello di impoverirsi nella difficile via giudiziaria. Ed è un'ingiustizia profonda" conferma Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone. "Possono farcela – dice Gonnella - se hanno un'associazione alle spalle come la nostra. Ma pure noi non ce la facciamo a sostenere tutti i casi: al momento abbiamo 30 ricorsi alla Corte dei diritti dell'uomo e ci siamo costituiti parte civile in vari processi in Italia. Nei casi di Lonzi, Cucchi e altri vorremmo che quantomeno lo Stato non trattasse le vittime e i loro parenti come parti ostili. Anzi: vorremmo che lo Stato in questi casi si costituisse parte civile per chiedere la verità" conclude il presidente di Antigone.

Parole di solidarietà per Maria Ciuffi arrivano anche da un'altra mamma coraggio, Patrizia Aldrovandi, che a l'Espresso dice: "Non sapevo che volesse vendere un rene. Ma nessuno è solo: noi ci siamo costituiti nell'associazione Federico Aldrovandi per cercare di riunire. Maria Ciuffi ha tutta la nostra solidarietà, come famiglia e come associazione. Conosciamo le difficoltà, il dolore, la fatica di ogni famiglia che ha avuto a che fare con casi di questo tipo".