Nel decreto legge 'Destinazione Italia' c'è una piccola norma che dà il via libera all'assunzione di 250 nuovi ispettori. Costo totale? 22 milioni per i primi tre anni. Presi dai finanziamento degli ammortizzatori sociali. Un articolo che contiene non poche contraddizioni

Duecentocinquanta nuovi ispettori del lavoro assunti dal ministero del Welfare. I cui stipendi saranno pagati con soldi stornati dal Fondo sociale per l’occupazione e la formazione: 5 milioni quest’anno, 7 il prossimo, 10,2 milioni dal 2016 in poi. Lo prevede una norma scritta nel penultimo articolo del decreto Destinazione Italia, licenziato dal governo subito prima del pasticcio sul “Salva Roma” e gli appelli del Colle ad evitare i provvedimenti in stile fritto misto.

La faccenda è passata finora un po' sotto silenzio perché nascosta tra le pieghe di un provvedimento (per ora sguarnito delle dovute relazioni sull’utilità dell’intervento) che principalmente si occupa di tariffe elettriche, gas, Expo 2015, e che invece “senza farne menzione né nel titolo, né nel preambolo” – come hanno notato i tecnici di Montecitorio nei loro pareri – introduce (appunto) anche misure per la lotta al lavoro irregolare e sommerso.

Non che in sé ci sia qualcosa di male: combattere il lavoro nero è cosa buona e giusta, si faccia largo agli ispettori se serve. Eppure, l’articolo 14 del decreto del 23 dicembre contiene alcune ombre, per gli escamotage che mette in campo e per le gambe su cui si regge.

Alla lettera e) è previsto che il ministero del Lavoro sia “autorizzato all’incremento della dotazione organica del personale ispettivo di 250 unità” – attualmente in servizio sono in tremila – “di cui 200 nel profilo di ispettore del lavoro di area III e 50 in quello di ispettore tecnico di area III, da destinare nelle regioni del centro-nord” (dove nel 2012 è finito quasi il 70 per cento delle sanzioni comminate). Bene. Ma la norma del governo sembra scollegata da quei provvedimenti che negli ultimi anni sono stati approvati per ridurre i costi dell’apparato e del personale. Per esempio, non fa cenno all’attivazione (stabilita fra l’altro nel decreto sulla pubblica amministrazione 101/2013) dei meccanismi studiati dal ministero della Funzione pubblica: quelli che porterebbero, prima di procedere alle assunzioni, a una ricognizione per capire se, tra possibili mobilità e decine di migliaia di precari conteggiati in questi anni nella Pa, vi sia qualcuno idoneo a diventare ispettore del lavoro. Niente di tutto questo: invece di chiedere prima, il Welfare deve solo informare dopo, a cose fatte. Recita infatti il decreto: “Il ministero del Lavoro comunica annualmente al Dipartimento della Funzione pubblica e della Ragioneria generale dello stato il numero delle unità assunte e la relativa spesa”. Del resto, è “autorizzato” a monte a farlo.

Altra singolare procedura, è quella per coprire i costi. Il decreto stabilisce infatti che a pagare i duecentocinquanta nuovi stipendi “si provvede mediante riduzione del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, nella misura di euro 5 milioni per l'anno 2014, 7 milioni per l'anno 2015 e 10,2 milioni a decorrere dall'anno 2016”. Ventidue milioni nei primi tre anni. Presi da un Fondo (già ridotto di 16 milioni dall’ultima legge di stabilità) che, a leggere la norma che lo ha istituito nel 2008, dovrebbe servire tra l’altro al “finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente”, nonché della formazione dei dipendenti pubblici. Invece, ci si pagheranno anche gli stipendi. In barba – tra l’altro – a quanto già messo nero su bianco dalla Corte dei Conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato, che a giugno avvertiva: “Sotto il profilo contabile, permangono le criticità legate ad un utilizzo promiscuo del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, utilizzato sia per le politiche attive che per quelle passive del lavoro”, anche in riferimento agli impegni assunti con l’Unione Europea sull’utilizzo del Fondo sociale europeo.

Al contrario, i maggiori introiti derivanti dall’aumento delle sanzioni per il lavoro irregolare (previsto sempre nel Destinazione Italia), andranno a finanziare “misure finalizzate a una maggior efficacia della vigilanza, ad iniziative di contrasto al lavoro sommerso”, ma serviranno anche “alle spese di missione del personale” e in particolare a pagare gli spostamenti in macchina degli ispettori vecchi e nuovi. In un sussulto di riduzione dei costi, che salta all’occhio per la sua specificità rispetto alla roboante “destinazione” italica del titolo, un comma del decreto prevede appositamente “forme di implementazione nell’utilizzo del mezzo proprio in un’ottica di economicità complessiva”. Insomma: ti assumo come ispettore, e con le multe che fai ti pago gli spostamenti con la (tua) macchina. Un meccanismo che – per l’identità tra chi commina la sanzione e chi ne beneficia - ha fatto già urlare allo scandalo il presidente dell’associazione nazionale ispettori Inps, Fedele Sponchia: “E’ una norma scioccante sul piano etico e credo possa configurarsi come conflitto di interessi che mette a rischio l’imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione”.

Che l’Europa ci batta le mani per tanto impegno nel contrasto del lavoro nero è ancora tutto da vedere. Almeno per i soliti tecnici di Montecitorio. Nel dossier preparato in vista del passaggio parlamentare di “Destinazione Italia”, ricordano infatti che già la Commissione europea, nel 2013, aveva avviato due consultazioni pubbliche sulla materia, risoltesi nella direzione di migliorare “la cooperazione tra le autorità degli Stati membri preposte a far rispettare la normativa del lavoro, come ad esempio gli ispettorati del lavoro, le autorità fiscali e quelle della previdenza sociale”. Come dire, peraltro proprio a quell’Enrico Letta che all’Europa è sempre così attento, che non si può propriamente decidere da soli. Tra l’altro, su questa complessa materia, osservano gli analisti, è già “in corso la procedura di infrazione n. 2010/4227, per il non corretto recepimento” della direttiva europea sulla sicurezza sul lavoro. Insomma, sarebbe proprio il caso di muoversi con cautela.

A tutto ciò si aggiunge la bacchettata per la mancata presentazione di due relazioni al decreto. Manco a dire che siano dettagli: “Il disegno di legge”, scrivono a Palazzo, “non è corredato né della relazione sull'analisi tecnico-normativa (ATN), né della relazione sull'analisi di impatto della regolamentazione (AIR)”, cioè quelle che spiegano se le novità introdotte servono, sono coerenti e che impatto avranno sulla vita dei cittadini, delle imprese e della pubblica amministrazione. Auto esenzione che a Palazzo Chigi si abbuonano in virtù della necessità ed urgenza del provvedimento e che, perciò, non senza ironia viene definita nel dossier “tautologicamente motivata”.

Come andrà a finire? Il decreto è appena approdato alla Camera, subito subissato da mille perplessità (dei tecnici, ma anche dei parlamentari) per l’eterogeneità delle materie trattate. Ma i lavori in commissione Attività produttive sono agli inizi: il meglio insomma deve ancora venire.