In 11 mesi di detenzione è stato spostato in sette penitenziari. Arrestato per gli scontri durante la manifestazione di Roma del 15 ottobre 2011, l'attivista teramano Davide Rosci ha un genitore gravemente malato che non può viaggiare per fargli visita. Così la sorella chiede che sia ritrasferito in Abruzzo. E dice: "E' un semplice detenuto, non un sorvegliato speciale"

Sette trasferimenti in undici mesi (l’ultimo nel carcere di Viterbo). Sono le peregrinazioni nei penitenziari italiani del detenuto Davide Rosci, attivista del movimento antifascista di Teramo, condannato in primo grado dal tribunale di Roma per devastazione e saccheggio. Insieme ad altri manifestanti Rosci è accusato di aver assaltato e incendiato, il 15 ottobre del 2011, una camionetta dei Carabinieri.

L’udienza per il secondo grado di condanna è stata rinviata l’otto febbraio, ma nel frattempo la famiglia sta facendo di tutto per evitare che Davide Rosci sia ulteriormente spostato e per richiedere il suo trasferimento nel carcere di Teramo. Il padre Lucio, infatti, 64 anni, è invalido al 100% e non può viaggiare per andare a trovare il figlio in galera.

La condanna di Davide, secondo la sorella Ludovica, è “pesante e infondata”, basata su “una montatura di fotogrammi degli scontri”, quelli appunto del corteo degli 'indignati' italiani del 15 ottobre 2011 che degenerò in una vera e propria battaglia tra manifestanti e dorse dell'ordine.

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Dal 20 aprile 2012 in attesa di giudizio, Rosci era agli arresti domiciliari nella sua città natale. Ma il 18 febbraio 2013, con l’accusa di evasione, è stato trasferito nel carcere di Castrogno. Da allora è iniziato il valzer dei continui spostamenti.

“Mio padre ha diritto di vedere suo figlio” continua la sorella Ludovica “Noi non pretendiamo la scarcerazione, ma soltanto un nostro diritto. Che venga trasferito a Teramo”. Lucio Rosci vorrebbe raccontarci l’odissea della sua famiglia in questi anni, ma purtroppo a causa del morbo dell’alzaimer preferisce far parlare la figlia. “Mio padre è affetto anche da varie patologie cardiache. E’ invalido al 100%. Per raggiungere mio fratello al carcere di Viterbo, stando alle cartelle cliniche, avrebbe bisogno di uno staff medico ed un autoambulanza. Ovviamente tutto a spese nostre”.

Molte sono state le iniziative della famiglia e non solo, a sostegno del trasferimento di Davide a Teramo. “Nel giugno 2013 abbiamo inviato al dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma – continua Ludovica - un’attenta documentazione clinica di mio padre, chiedendo appunto il trasferimento di mio fratello. Ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna risposta dagli uffici del Dap”.

Anche il Prefetto di Teramo Walter Crudo è al corrente di questa vicenda. Nell’ottobre scorso Lucio Rosci, accompagnato dalla figlia, è stato accolto dal dott. Crudo il quale ha promesso di segnalare la questione al Ministero dell’Interno. “Anche dalla Prefettura, nessuno ci ha dato più notizie. Non era la prima volta che mio padre incontrava il Prefetto”, afferma Ludovica.

Anche il consiglio regionale dell’Abruzzo ha chiesto al Governo lo spostamento nel carcere di Teramo. Il 16 luglio scorso è stata approvata dal Consiglio una risoluzione sul caso di Davide. I consiglieri si sono rivolti “alla competente direzione del Ministero per chiedere che risponda positivamente alla richiesta del giovane detenuto teramano di riavvicinamento alla propria famiglia” si legge nel documento. Nella risoluzione si fa presente che le condizioni di salute del 64enne genitore dell’attivista non gli consentono di affrontare il viaggio fino al carcere di Viterbo e che quindi la richiesta di riavvicinamento presso il carcere di Teramo o altro istituto abruzzese “è più che fondata”.

Eppure in questa vicenda, in una lettera datata 2 agosto 2013, una promessa era stata fatta. Proprio dal Ministro Anna Maria Cancellieri. Rispondendo al presidente del Consiglio regionale, Nazario Pagano. “Davide Rosci potrà rimanere nel carcere teramano di Castrogno”. Scriveva il Ministro. Ma così non è stato.
“Scioperi della fame di Davide e cortei di solidarietà, false promesse non hanno cambiato lo stato delle cose. Persino una lettera è stata inviata a Papa Francesco spiegando la nostra vicenda familiare. Allora mi chiedo: Perché questo accanimento nei confronti di mio fratello? Perché lasciarlo in isolamento e spostarlo come un pacco merci? Mio fratello è un semplice detenuto. Non un sorvegliato speciale”, conclude la sorella Ludovica.