
Dopo Lavazza, Mzb è la più grande multinazionale italiana del caffè, con oltre un miliardo di ricavi, realizzati per lo più all’estero. Il pezzo forte è la bolognese Segafredo, provincia principale di un impero costruito a partire da una complicata dynasty famigliare. Zanetti ha cominciato quarant’anni fa da una piccola torrefazione di Villorba (Treviso) e solo in un secondo tempo è diventato il capo della bolognese Segafredo, che fino al 1974 era controllata dagli omonimi imprenditori bolognesi. In quell’anno venne rapito il giovane Francesco Segafredo e il riscatto fu sborsato proprio da Zanetti, a cui, dopo quella brutta storia, i parenti del rapito lasciarono il controllo dell’azienda.
Tra l’Emilia e il Veneto si racconta che quel denaro fosse parte dell’eredità lasciata da papà Virgilio Zanetti ai suoi tre figli: Martino, Mario e Massimo. Dev’esserne nato un bisticcio, perché da allora con Martino e Mario non corre buon sangue. Anzi, sono agguerriti concorrenti. Mario s’è preso la Mokarabia e Martino la Hausbrandt. A maggio dell’anno scorso Massimo Zanetti si è candidato senza fortuna a sindaco di Treviso e si è presentato alla città con un’intervista al quotidiano “La Tribuna”, dove tra l’altro parla della sua infanzia. A stretto giro di posta è arrivata la replica di Martino che ha contestato al fratello «un utilizzo improprio di riferimenti a persone care alla famiglia Zanetti e a vicende familiari private, biecamente utilizzate
per promuovere una campagna elettorale dagli esiti improbabili».
Questa sparata Massimo non se l’aspettava. Sperava di replicare la fortunata stagione del 1994, quando era stato eletto al Senato con Forza Italia. A Treviso è andata male e per di più si è messo contro i tifosi della squadra cittadina di calcio: ne aveva annunciato l’acquisto, poi non se n’è fatto nulla. Anche a causa dei cattivi rapporti con i fratelli, Massimo vuol affrontare la successione con la quotazione in Borsa. Ha promesso di lasciare il timone al più bravo fra i manager e i due figli. Quando? A 90 anni e adesso il patron del gruppo ne ha solo 66. La figlia Laura, avvocato, si occupa di charity alla Fondazione di famiglia; Matteo dirige il piccolo ramo capsule ma ha nel cuore le auto da corsa e avrebbe voluto fare il pilota di Formula 1. Fin da piccolo bazzicava il box della McLaren perché il papà era amico di Ayrton Senna, oltre che sponsor della scuderia inglese.
Il gruppo di famiglia comprende oltre 40 società, dall’hawaiana Kauai coffee - la marca preferita da Barack Obama - all’asiatica Boncafè. Zanetti non è un fanatico dell’espresso, rispetta le tradizioni e i gusti altrui e quindi non snobba neppure le fumanti tazzone di nera bevanda care agli americani. Mzb non si limita a tostare il caffè: possiede piantagioni e vivai brasiliani, caffetterie ovunque, aziende che costruiscono attrezzature da bar. Adesso Zanetti punta a fare la guerra ai colossi Nestlé e Starbucks. Obiettivo ambizioso, che necessita di risorse fresche. Ecco perché il patron del gruppo punta alla Borsa.
In vista dello sbarco sul listino ci sarà un aumento di capitale fino a 150 milioni, e in più la lussemburghese Massimo Zanetti Industries, che possiede il 100 per cento dell’azienda da quotare, venderà parte dei suoi titoli. Negli anni scorsi la Mzb ha finanziato per oltre 26 milioni la holding in Lussemburgo. A gestire i conti di quest’ultima è Alexis De Bernardi, un uomo d’affari che in passato per conto di Generali, all’epoca della gestione Perissinotto, ha “schermato” investimenti tramite veicoli offshore caraibici. De Bernardi è anche accusato dalla Guardia di finanza di aver creato società lussemburghesi per permettere alla Perini Navi, cantiere navale per super ricchi, di evadere tasse per 26 milioni.