La cricca militare al potere ha voluto le condanne a morte di 686 islamisti. Ma così incoraggia la resistenza armata

egitto
Gli apprendisti dittatori dovrebbero frequentare un po’ le biblioteche e leggere alcune opere scritte molto tempo fa che parlano di loro. Il potere assoluto è stato trattato altrettanto bene dalla drammaturgia come dalla saggistica. Si potrebbe offrire ad Abdel Fatah al-Sissi, che sta per correre come candidato alla presidenza in Egitto, una traduzione di “Ubu roi”, una pièce di Alfred Jarry (1896) o un reportage d’epoca più recente sull’incoronazione di Bokassa a imperatore. Ma il potere, oltre a rendere folli e crudeli, copre anche di ridicolo coloro che lo esercitano. Purtroppo, sappiamo che il ridicolo non uccide più.

Così ormai nessuno lo teme. Ed ecco allora che quel generale di 58 anni che è riuscito a far cadere Mohamed Morsi, un presidente regolarmente eletto, e a metterlo in prigione nel luglio del 2013, si è auto-proclamato, nientemeno, che Maresciallo, senza aver combattuto né riportato alcuna vittoria decisiva. E dall’alto del suo rango ha dichiarato così la condanna a morte di centinaia di oppositori islamisti che sostengono l’ex presidente. Un tribunale ha emesso 529 condanne a morte (commutate in seguito in carcere a vita) contro militanti appartenenti alla congrega dei Fratelli Musulmani.Poi altri 683 islamisti, tra cui il loro leader, Mohamed Badie, sono stati condannati alla pena capitale per aver partecipato a una manifestazione pacifica contro il regime il 14 agosto scorso a Minya, la capitale del Medio Egitto. Secondo l’associazione Human Rights Watch, il processo è durato solo poche ore e il tribunale ha rifiutato di dare la parola agli avvocati della difesa. Queste pene dovrebbero essere approvate dal muftì d’Egitto. Ma si tratta di una formalità senza importanza.

Da quando questa confraternita è nata, più di 85 anni fa e il cui primo capo, Sayed Qutb, fu condannato a morte e giustiziato dal presidente Nasser nel 1966, è stata dichiarata “organizzazione terroristica”, l’esercito ha iniziato una caccia sistematica contro tutto ciò che anche vagamente gli assomiglia: 15.000 persone sono state arrestate e 1.400 islamisti uccisi nel corso di scontri con le forze armate e la polizia.

Non c'è dubbio che Al Sissi sarà eletto a larga maggioranza. Si tratta ormai di una tradizione in alcuni Paesi del Vicino Oriente. Sappiamo già in anticipo che il leader siriano Bashar al-Assad, responsabile di stragi quotidiane contro il suo popolo, sarà eletto in giugno con un consenso che sfiorerà il 90 per cento. Al Sissi ha destituito Mohamed Morsi perché questi si era attribuito quasi tutti i poteri. Ed ecco che il suo successore fa la stessa cosa col pretesto di salvare l’Egitto dalla minaccia islamista. Ma né l’America né l’Europa hanno assecondato queste sue ultime tendenze. Si potrebbe dire che ciò non dipenda tanto da lui quanto piuttosto dai Paesi del Golfo che sono venuti in suo soccorso con donazioni pari a circa 16 miliardi di dollari.

La democrazia non è una pillola che si inghiotte la mattina e ci rende democratici. Né si tratta di una tecnica elettorale, bensì di un sistema di valori che trova applicazione nel vivere insieme. Questo il maresciallo egiziano non lo sa. Lui è al potere, ma sta commettendo gli stessi errori che hanno fatto cadere l’ex presidente Hosni Mubarak. Al pari di quest’ultimo, anch’egli è autoritario, egocentrico, ingiusto e cerca di dividere il popolo per poter prevalere. Ma così facendo, si sta preparando ad affrontare una guerra civile. Condannare a morte o all’ergastolo cittadini che si oppongono al suo regime è un modo per incoraggiare la resistenza armata. Indubbiamente, alcuni islamisti hanno commesso dei crimini, hanno ucciso degli agenti di sicurezza e hanno provocato disordini, ma non è certo con una giustizia sbrigativa che il maresciallo riuscirà a instaurare la pace.

In definitiva, la cosiddetta “primavera araba” ha avuto un esito positivo solo in Tunisia. Questo piccolo Paese è riuscito a dotarsi di una Costituzione storica e unica nel mondo arabo e musulmano, che garantisce la parità di diritti tra uomo e donna, ha iscritto la “libertà di coscienza” nei suoi articoli e proibisce la tortura. L’Egitto invece continua a navigare tra caos e disordine, autoritarismo e arbitrarietà. Siamo ancora lontani da uno Stato di diritto e non sarà di certo la politica della cricca militare che sta dietro ad Al Sissi a indurre gli investitori e i turisti a far ritorno nel Paese. Ne deriva pertanto che l’Egitto è condannato a vivere una crisi senza fine. La via della pace, quella vera, che si apre sulla modernità è ancora lunga. Ai popoli arabi non mancano né la pazienza né il coraggio. Ma quanto tempo ancora durerà questo incubo che non risparmia nessuno e distrugge tutto ciò che incontra lungo il suo passaggio?

Traduzione di Mario Baccianini