Il "patto" firmato a Palazzo Chigi salva 1.200 posti di lavoro. Entusiasti i ministri, Matteo Renzi, i sindacati. Eppure i sindacalisti territoriali non hanno potuto leggere il testo prima della firma. E la velocizzazione della produzione rischia di scontrarsi con l’insorgere di patologie professionali
Il 15 maggio si è conclusa la più importante vertenza industriale dell’ultimo anno, L’Electrolux. Importante per i numeri, con 6.000 dipendenti, e per il numero di stabilimenti, cinque in Italia: Pordenone, Forlì, Susegana, Porcìa, Solaro. Una realtà occupazionale che pesa nell’Italia della crisi industriale. Un pezzo di industria che pesa nell’andamento del settore, fra le cause del Pil negativo (- 0,1%) che l’Istat assegna al primo trimestre 2014.
Il 15 maggio si è firmato a Palazzo Chigi, alla presenza di sindacati nazionali, territoriali e ministri, l’accordo che permette di evitare i 1.200 esuberi annunciati lo scorso gennaio. A firmare c’erano il ministro del lavoro Poletti, il ministro dello sviluppo Guidi, e non è mancata la firma del premier Matteo Renzi, che incassa il risultato sui licenziamenti a pochi giorni dalle elezioni europee.
Il ministro Poletti, in particolare, è sembrato entusiasta: «Questo è il metodo che adotteremo andando avanti», ha detto riferendosi alle
altre vertenze industriali. E anche i sindacati sono contenti, Fiom compresa: «L’accordo Electrolux può costituire un modello per gestire le crisi aziendali», ha affermato il segretario Maurizio Landini.
Eppure, la vicenda, liquidata in poche ore con la celebrazione dell’accordo, presenta altri elementi di cui si è discusso fra i lavoratori. Questioni che pongono pesanti interrogativi sulla rappresentanza sindacale, e in secondo luogo sulle condizioni di salute dei lavoratori.
Su quali condizioni si basa l’accordo modello che salva i dipendenti Electrolux dai licenziamenti? Integrazioni al salario – che rimangono invariati – rese possibili grazie ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione straordinaria. Incentivi all’esodo. La regione Friuli Venezia Giulia, inoltre, contribuirà con degli sgravi all'Irap per gli stabilimenti di Pordenone e Porcìa.
Per quanto riguarda il lavoro, invece, la novità più importante è che si dovrà velocizzare la produzione: i pezzi prodotti in 8 ore di catena di montaggio dovranno ora essere prodotti in 6 ore (per ogni stabilimento è presente un allegato tecnico). Le pause non vengono toccate fatta eccezione per Porcìa, dove da 10 minuti si passa a 5. Le ferie diventano flessibili ed esigibili dall’azienda. Si riducono i permessi sindacali del 60%, ma si mantengono le stesse ore di assemblea sindacale.
In cambio di tutto questo Electrolux si è impegnata ad investire 150 milioni di euro per i prossimi tre anni e a mantenere posti di lavoro e stabilimenti fino al 31 dicembre 2017. “Salvo complicazioni”, specifica l’accordo, perché tre anni sono lunghi. Tutto questo dopo 6 mesi di proteste, 150 ore di sciopero, 100 giorni di presidio delle portinerie, 15 giorni di blocco totale di camion e merci a febbraio.
Si diceva, l’accordo è stato firmato con delle modalità che hanno lasciato alcuni rappresentanti sindacali parecchio contrariati. «Partiamo subito col denunciare la poca trasparenza. Nessuno ha avuto i testi in mano per leggerli, né prima, né dopo la firma dell’ipotesi», scrive sul gruppo Facebook dei lavoratori Electrolux Cinzia Colaprico, delegata sindacale Fiom dello stabilimento di Forlì. «Tutto fatto sulla “fiducia”. La trattativa si è svolta in forma ristretta tra sindacato nazionale e vertici aziendali per la maggioranza del tempo», aggiunge.
Aggiungono dagli altri stabilimenti: «Nessuno, neanche gli rsu che hanno firmato (a Susegana) hanno copia dell’accordo. Risulta che i delegati hanno potuto solo toccare i testi dell’accordo al momento della firma». Pare, quindi, che nella trattativa i nazionali Fiom abbiano scavalcato – o quanto meno messo da parte – i delegati degli stabilimenti. Che si sono ritrovati a Palazzo Chigi a firmare un accordo che non hanno potuto leggere e studiare prima.
E per gli altri sindacati, Cisl e Uil? «Questa è una polemica interna alla Fiom», risponde sul gruppo un delegato Uilm. Cinzia Colaprico contesta l’affermazione: «Abbiamo sentito tutti un delegato della Uilm chiedere all'azienda in plenaria i testi prima di firmare e abbiamo sentito tutti la risposta negativa». E aggiunge: «La questione emerge nella delegazione Fiom perché solo da noi ci sono delegati critici, che portano avanti le loro posizioni pubblicamente».
Diatribe interne alle dinamiche sindacali? Forse. Eppure, la decisione di firmare un accordo così importante senza consultare i delegati territoriali mette in luce una contraddizione in seno ai sindacati confederali, sempre più frequente: quella sulla democrazia interna. Che ha più volte portato delegati e lavoratori, di altre vertenze, a passare ai sindacati di base (Usb, Cobas) e stracciare le tessere. Come accaduto alla
Richard Ginori di Firenze e all’Ilva di Taranto.Viene ora da chiedersi quale possa essere la reale efficacia di un referendum – perché l’accordo sarà sottoposto questa settimana al voto dei lavoratori nei 5 stabilimenti – che fa esprimere 6.000 dipendenti su un accordo già firmato a Palazzo Chigi da ministri, premier e sindacati. Esiste la possibilità che i lavoratori straccino l’accordo? E perché non si è potuto aspettare pochi giorni in più per firmare?
La questione Electrolux, tuttavia, non è puramente di metodo: «Circa un terzo dei lavoratori (a Susegana e Forlì) ha malattie muscolo scheletriche certificate dall'usura, dovute all’intensità lavorativa», denuncia Paola Morandin, operaia candidata alle europee. Dati che vengono confermati dalla Fiom, e che pongono un interrogativo sui rischi connessi alla velocizzazione della produttività, ora che gli operai dovranno produrre più pezzi.
Scrive Katia: «Quando poi andranno All'Inail per aprire la malattia professionale e gli diranno (come è successo a me) che i problemi da movimenti ripetitivi non esistono più... vaglielo a spiegare quando con 85 pezzi all’ora le mani le devi far volare!».