Al Nazareno era la stanza del ciclostile. Da lì sono passati tutti i dirigenti del partito, D'Alema compreso. Oggi è il quartier generale di un nucleo di militanti digitali che usano Twitter e Facebook, ma anche strumenti di analisi dei big data per creare visualizzazioni. Sul modello dei "factivist" democratici americani
Al secondo piano del Collegio del Nazareno, la stanza che si nasconde dietro la porta numero 19, nel lessico familiare dei funzionari della sede nazionale del Partito Democratico è ancora “l’ufficio propaganda”. Quanto basta per far sorridere Giulio: «Dentro non c’è mica più il ciclostile».
Ventenne o poco più, studente di notte, volontario di giorno, Giulio fa parte della Pd Community, l’ultimo esperimento, l’ultima trasformazione – tuttora work in progress – di quel che è stato l’ufficio propaganda.
La denominazione dell’ufficio è direttamente collegata alla tradizione dei partiti da cui discende il Pd: nei Democratici di Sinistra – e prima ancora nel Pds – anche volti noti come Massimo D’Alema si sono occupati dell’ufficio comunicazione e propaganda.
Nella Dc degli anni ’50, c’era Amintore Fanfani alla guida dello Spes – non casuale acronimo, che in latino significa “speranza”, ma nelle mura Dc indicava il Servizio Propaganda e Stampa – mentre in epoche più recenti lo stesso ruolo è stato ricoperto da Pier Ferdinando Casini, ma anche da Silvia Costa, una delle attuali candidate alle elezioni europee, nelle liste Pd. Gli archivi dell’Istituto Luce ricordano l’antenato della Pd Community come un luogo “tramite diretto fra il partito e l’opinione pubblica”, dove in tempo reale ci si occupava di rispondere – con dati e informazioni corrette – a quanto veniva diffuso dagli avversari politici.
Mutati gli strumenti, le metodologie, le persone, non è mutato l’obiettivo: per la Pd Community - ovvero la comunità digitale che raccoglie coloro che, per il Partito Democratico, a vario titolo, si occupano di comunicazione - il fine è diffondere quotidianamente i contenuti del proprio schieramento, rintuzzare gli attacchi dei competitor, incanalare le discussioni sui social network, coordinarsi con la restante comunicazione off line.
Nata nelle prime settimane del 2014, su iniziativa di Francesco Nicodemo,
blogger dell'Espresso e attuale responsabile nazionale della comunicazione Pd, la Pd Community è la naturale evoluzione di un primo nucleo di militanti digitali, raccoltisi durante la campagna congressuale 2013. Ad oggi, è composta dai circa 200 membri del gruppo nazionale e dai membri – talvolta coincidenti – dei gruppi regionali, che contano ognuno circa 50 utenti. Lo strumento d’appoggio dei gruppi è Facebook: è lì che si svolge la routine quotidiana della community.
Nelle parole di Nicodemo, la Pd community è «uno straordinario strumento di organizzazione politica». Ma, a differenza di quanto avvenuto anche in epoche recenti – si pensi ai forum tematici democratici o anche ai dipartimenti capitanati dai ministri ombra di veltroniana memoria – la Pd community non è una struttura piramidale, in cui l’ideatore abbia più peso degli altri membri.
E, se all’interno dei gruppi può capitare di imbattersi nel «buongiorno a tutti» di una parlamentare come Pina Picierno - candidata capolista nel collegio Sud in questa tornata elettorale ed ospite della community in occasione dell’operazione “chiedi e ti verrà risposto, Q&A” sulla pagina Facebook piddina - non ci si fa caso. Il leitmotiv più volte sottolineato dai membri della Pd Community intervistati da “l’Espresso” è quello della collaborazione fra pari livello. In un Partito attraversato, tuttora, da forti divergenze fra esponenti di diversa sensibilità, o area, o corrente, stupisce che nella quotidianità della comunità digitale si siano superate queste differenze d’opinione.
«Conta solo la volontà di spendersi per il partito. Non la tessera, non l’appartenenza ad una corrente», spiega Franz Foti, responsabile della comunicazione regionale della federazione Pd del Friuli Venezia Giulia. Foti è stato uno degli animatori della campagna congressuale civatiana; tuttora si riconosce in quella sensibilità ed alle cronache è noto per aver creato la pagina umoristica “Gattini per Civati”.
Foti non è l’unico “non renziano” presente nella community. Alessandra Serra, ricercatrice universitaria, è stata la responsabile della comunicazione digitale del comitato congressuale di Gianni Cuperlo. Oggi è dentro la Pdcom: «Sono una dei tanti cui è stato chiesto di mettere la propria competenza al servizio del partito, l’idea era quella di mettere da parte il congresso e creare una comunità condivisa ed armonica, non un think tank renziano».
Anche Tommaso Giuntella, attuale presidente del Pd Roma e coordinatore degli attivisti italiani del Pse, cui si deve l’esperimento degli Spartani, i circa 300 militanti digitali impegnati nella campagna delle primarie 2012 a supporto di Pier Luigi Bersani, è dentro la community. «Gli Spartani sono stati un elemento precursore della community, ma lì il grande errore fu quello di vivere le primarie come una questione di vita o morte; ai toni alti dei cattivi maestri fecero seguito i toni esagitati di alcuni militanti giovanissimi», spiega Giuntella. Che aggiunge: «Oggi l’obiettivo è smontare con pacatezza i toni urlati delle discussioni ed argomentare con dati certi, affinché non si diventi vittima della polarizzazione emotiva altrui».
Giuntella non lo dice, ma il riferimento è chiaro: il grande competitor della community è costituito dall’attivismo su rete degli elettori e simpatizzanti del MoVimento 5 Stelle. La partita diuturna – in questa campagna elettorale – per i ragazzi dem è stata quella giocata con i grillini. In questa competizione, la Pd community ha scelto di affidarsi ai big data, all’analisi statistica dei flussi sui social network e all’utilizzo di infografiche contenenti i numeri relativi ai provvedimenti del Governo Renzi. L’operazione si avvicina a quella condotta – in queste stesse settimane – dai Democrats statunitensi, che, con una call pubblica, hanno chiamato a raccolta gli elettori affinché divenissero “factivist”, attivisti che diffondono contenuti supportati da dati fattuali. Le infografiche Pd talvolta ancora peccano di un ingenuo entusiasmo, ma l’analisi statistica non mente: «Utilizziamo appositi software personalizzati per monitorare sia ex post, sia in tempo reale, l’efficacia delle nostre azioni collettive sui social network», spiega Luca, uno dei membri della community di stanza nel nucleo romano, la cosiddetta “what room”.
Quello per i software di monitoraggio è stato l’unico investimento apposito, calcolato intorno ai 10.000 euro, per la Pd Community, spiega il Tesoriere dem Francesco Bonifazi: «Si è trattato di un esperimento a costo zero, privo di aggravi sul bilancio Pd, in un’ottica di totale austerity; lo stesso Nicodemo non riceve indennità». I membri, infatti, sono o militanti volontari o dipendenti del partito già pagati per altre incombenze – come, ad esempio, i componenti dell’ufficio stampa e della redazione You Dem – o funzionari territoriali cui non spetta indennità per la carica ricoperta.
Il risultato finale è un mix fra cuore e mente. C’è una componente di classica militanza, «l’evoluzione digitale della passione che porta i nostri volontari a cuocere panini durante le feste e a fare volantinaggio», come spiega Anna Ascani, parlamentare e “guest star” della community, in occasione del lancio pubblicitario di un provvedimento governativo rivolto ai giovani. O anche, come spiega Dario Ballini, responsabile comunicazione Pd all’Isola d’Elba, «un abbraccio virtuale fra militanti», che si traduce in «straordinari momenti di collaborazione a livello paritario», come li definisce Pina Picierno.
E c’è una componente tecnologica, data dall’utilizzo di appositi strumenti di monitoraggio, dalla creazione di infografiche e dall’analisi dei big data. L’obiettivo è quello di estendere la community a tutti i simpatizzanti demi, compreso il Segretario, che è già dentro e dal quale, come raccontano i membri, talvolta partono gli input.