I giudici hanno dichiaranto infondata la questione di costituzionalità della norma che disciplina la sospensione dalla carica per gli amministratori locali condannati anche in via non definitiva. Prende corpo  l'ipotesi che il sindaco di Napoli e il governatore della Campania Vincenzo De Luca siano di nuovo sospesi

La questione di legittimità costituzionale è “non fondata”. Alla fine la Corte costituzionale ha detto la sua sulla legge Severino. E ha chiuso mesi di polemiche, oltre che di intricate vicende giudiziarie. Togliendo da un'impasse imbarazzante l'intero Paese, ma facendo forse precipitare Napoli e la Campania nel caos. Questa mattina l'udienza pubblica, protrattasi fino al tardo pomeriggio, durante la quale hanno preso la parola la relatrice Daria De Petris, gli avvocati dello Stato, quelli della difesa del sindaco e del Comune di Napoli. Poi la camera di consiglio, infine la tanto attesa decisione.

Ma ora? Sembrerebbe messa da parte l'ipotesi di una modifica del decreto legislativo 235 del 31 dicembre 2012 che, attuando una delega contenuta nella legge 190 del 6 novembre 2012 (la cosiddetta Severino, appunto), disciplina l'incandidabilità, la decadenza e la sospensione dei parlamentari condannati in via definitiva o degli amministratori locali condannati anche solo in primo grado.

La Consulta ha deciso che la legge Severino non presenta profili di incostituzionalità: se ne deduce allora che sia il sindaco di Napoli Luigi de Magistris sia il governatore campano Vincenzo De Luca dovrebbero essere di nuovo sospesi. Entrambi, infatti, sono stati condannati in primo grado per abuso d'ufficio. E la loro permanenza in carica era frutto di un congelamento in via cautelare della sospensione inflitta subito dopo le rispettive condanne.

Oggi la Corte costituzionale ha discusso sulla legittimità dell'articolo 11 del decreto legislativo 235, sulla base dell'ordinanza con cui, il 30 ottobre scorso, il Tribunale amministrativo regionale della Campania aveva sollevato questione di costituzionalità per contrasto con gli articoli 2, 4, 51 e 97 della Costituzione. Il punto cruciale sottoposto al vaglio della Corte era la parte in cui la norma consente l'applicazione retroattiva della sospensione dalla carica di amministratore locale in seguito a sentenza di condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dall'articolo 10 del decreto stesso.

Quell'ordinanza del Tar Campania era stata proprio l'esito del ricorso proposto da de Magistris contro il provvedimento del prefetto di Napoli che ne disponeva la sospensione dalla carica: nel settembre 2014, infatti, il sindaco “arancione” era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Roma a un anno e tre mesi di reclusione (pena sospesa) per abuso d'ufficio. E per questo motivo era incorso nell'applicazione della Severino. Una misura, quella della sospensione, ritenuta illegittima dalla sua difesa perché al momento dell'elezione a primo cittadino la norma che la prevede ancora non esisteva.

Bisogna però ricordare che domani de Magistris affronterà il giudizio d'appello nell'ambito dello stesso processo, quello denominato “Why not”, che gli è costato, appunto, la condanna in primo grado e la conseguente sospensione (misura sospesa a sua volta dal Tar). Il sindaco, comunque, dovrebbe beneficiare dell'intervenuta prescrizione dell'abuso d'ufficio per cui è imputato: se non rinuncerà alla prescrizione, il reato si estinguerà e verranno meno le varie sanzioni collegate.

Nei mesi scorsi il Governo aveva depositato la sua difesa della legge Severino presso la Corte costituzionale. Gli avvocati dello Stato Gabriella Palmieri e Agnese Soldani avevano infatti presentato due memorie (una ad aprile 2015 e una a fine settembre) per sostenere la legittimità della norma sotto esame. Veniva così chiesto il rigetto della questione di legittimità per due ragioni.

La prima riguardava la giurisdizione. La questione di legittimità era stata sollevata dal Tar, ma il 28 maggio scorso la Corte di cassazione ha stabilito che la competenza in materia spetta al giudice ordinario, in particolare a quello civile. Il Tribunale amministrativo, quindi, ha nel frattempo perso la giurisdizione, mentre il nuovo giudice che si è occupato della vicenda non ha provveduto a riproporre il ricorso alla Consulta. Quest'ultima, dunque, avrebbe dovuto rigettare l'attuale ricorso perché inammissibile.

Nel merito, invece, gli avvocati dello Stato negavano la violazione del principio di irretroattività, che vieta l'applicazione di una sanzione per reati compiuti prima dell'approvazione della legge che la commina. Secondo loro, la sospensione prevista dalla Severino avrebbe natura non sanzionatoria, ma cautelare, e non sarebbe quindi sottoposta al divieto di applicazione retroattiva.