Contro l'Is una coalizione che comprenda i paesi arabi. E in Iraq la missione italiana può cambiare, senza ipocrisie. Parla il ministro della Difesa

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L’errore più grave sarebbe pensare che questo sia un conflitto tra Occidente e Islam». Il ministro della Difesa Roberta Pinotti non considera di certo la via militare l’unica possibile per affrontare l’Is. Ma non nasconde che in Iraq, dove l’Italia è già impegnata nella coalizione anti-Is, possano cambiare modalità di intervento. «Se vogliamo evitare il rischio di essere ipocriti dobbiamo avere il coraggio di discuterne da paese adulto e consapevole». «Renzi fa bene a non usare la parola guerra», dice il ministro della Difesa. «Nell’immaginario europeo la guerra richiama il conflitto mondiale, in realtà gli analisti ci spiegano da anni che le guerre di oggi sono asimmetriche.

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L’errore più grave sarebbe pensare che questo sia un conflitto tra Occidente e Oriente. Sulla lotta al terrorismo colpire Parigi ha significato colpire il cuore dell’Europa. E la reazione deve essere affidata a una cabina di regia comune tra i paesi europei. Di testa e non di pancia, come ha detto giustamente Renzi. Sull’intervento militare, la Nato è un’alleanza atlantica, con l’eccezione della Turchia non ne fanno parte i paesi a religione musulmana. E noi invece per sconfiggere l’Is dobbiamo allargare il numero degli Stati arabi coinvolti. E realizzare politiche per coinvolgere Russia e Iran.

Non è una guerra tra Stati ma tra chi pensa di seppellire l’idea di umanità e il resto del mondo. Il primo punto è che i paesi anti-Is devono essere d’accordo su obiettivi e esiti della loro azione. In Siria la Russia stava con Assad, la coalizione con i ribelli, tra loro c’erano anche gruppi fondamentalisti. E l’Italia ha valutato che in quella fase non ci fosse chiarezza sugli obiettivi. Il secondo punto è che la battaglia la vinci anche tagliando i flussi finanziari. Il terzo è bloccare la propaganda dell’Is. Noi non conosciamo le parole, devono essere gli islamici, i leader politici e religiosi a immaginare come spiegare a chi potrebbe essere affascinato dal jihadismo che il fondamentalismo non è l’Islam e che chi uccide bestemmia, come ha detto il papa. Infine, c’è il disagio sociale, la povertà, tra i cittadini di origine straniera nelle città europee e nei paesi in cui non hanno di che vivere e cercano il sostegno economico del califfato».

E i bombardamenti di cui si è parlato nei giorni scorsi? «Non mi attribuisca cose che non ho detto. Ho dichiarato che non può essere considerata una parola tabù. L’Italia ha partecipato ad altre missioni militari che nel corso delle operazioni hanno usato i bombardamenti per fermare gli aggressori e impedire genocidi. È successo nei Balcani, nel Golfo, in Libia. È nostra ferma intenzione che cambi di intensità della missione siano sempre sostenuti da passaggi parlamentari ed è utile anche la comprensione e la consapevolezza dei cittadini. Ricordo che noi siamo già in Iraq, la nostra aeronautica svolge un ruolo importante, effettua ricognizioni, fornisce carburante agli aerei in volo, indica le zone dove opera e si nasconde il nemico. Se non vogliamo correre il rischio dell’ipocrisia dobbiamo avere il coraggio di affrontare questa discussione da paese adulto e consapevole». 

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