Sono killer silenziosi, quasi invisibili. Ma falciano senza pietà presunti terroristi e vittime civili. I droni sono l'arma simbolo della guerra al terrorismo. Ora anche l'Italia potrebbe avere accesso ai droni armati, dopo che per anni era stata esclusa dalla partita.
Un articolo pubblicato dal “Washington Post” rivela che l'amministrazione Obama ha autorizzato l'esportazione dei droni armati ad alcuni paesi alleati. Il quotidiano americano menziona proprio l'Italia come uno degli alleati che da anni sta cercando di avere accesso a questo tipo di armamenti.
Nel 2012, a contribuire a sbarrare la strada all'Italia, racconta il Washington Post, era stata la potente senatrice democratica Dianne Feinstein, che guida la commissione del Senato Usa sull'intelligence e che è considerata un falco in materia di sicurezza nazionale.
In una lettera all'allora segretario di Stato, Hillary Clinton, Dianne Feinstein sollevava dubbi sulle reali capacità dei paesi alleati di gestire questo tipo di armi. «Nonostante le migliori intenzioni», scriveva tre anni fa la Feinstein a Clinton, «noi non saremo in grado di garantire che i paesi che acquistano droni americani saranno capaci di sviluppare lo stesso livello di intelligence che consenta loro di fare una distinzione tra obiettivi potenziali, avere lo stesso livello di scrupolo nel limitare il numero di civili innocenti uccisi o attenersi alle nostre restrizioni contro gli assassinii». Ora, a quanto pare, questi scrupoli della Feinstein, sembrano superati.
La notizia del radicale cambiamento di policy da parte degli Stati Uniti arriva appena tre settimane dopo l'incontro tra i paesi utilizzatori del drone “Reaper”: Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Italia. A fine gennaio, infatti, le quattro nazioni si sono ritrovate a Parigi per discutere come gestire e condividere i costi del training e dell'uso dei droni, con l'Italia che intende aprire un centro di addestramento per i piloti in modo da evitare che debbano andare a formarsi necessariamente negli Stati Uniti. Ma seppure utilizzatori del Reaper, l'Italia e Francia finora non avevano accesso ai droni armati.
Il mietitore silenzioso
Armi estremamente controverse, i droni permettono da anni di portare avanti conflitti dove le eliminazioni fisiche dei presunti nemici - terroristi e militanti - avvengono su base stragiudiziale e su informazioni d'intelligence completamente segrete e di cui è praticamente impossibile verificare l'attendibilità.
Pochissimo si conosce con certezza della guerra dei droni. E quello che si sa è il frutto di inchieste giornalistiche, come quella del “Bureau of Investigative Journalism” di Londra, che tessera dopo tessera, sta cercando di ricostruire il mosaico segreto di attacchi, morti, feriti, in quattro paesi dove gli Stati Uniti stanno portando avanti da anni questo tipo di eliminazioni: Afghanistan, Pakistan,Yemen e Somalia.
Grazie alle fonti aperte, report dei media, verifiche sul campo (quando questo è possibile), il Bureau è riuscito a mettere insieme una serie di stime (disponibili qui in inglese): dal 2004 al 28 gennaio 2015 in Pakistan, per esempio, si sarebbero registrati 413 attacchi, per un totale di morti tra i 2.438 e i 3.942, di cui un numero compreso tra 416 e 959 sarebbero civili e tra 169 e 204 bambini. In Afghanistan, invece, dall'inizio del 2008 alla fine del 2012, si sarebbero registrati mille attacchi con i droni, ma le informazioni sull'Afghanistan sono assolutamente lacunose. «Secondo il racconto ufficiale, i droni rimangono un'arma di guerra dalla precisione chirurgica, ma senza trasparenza sugli attacchi noi non possiamo verificare questa affermazione», scrivono i giornalisti del Bureau.
I segreti di Sigonella
A far affiorare alcune informazioni sul ruolo della base di Sigonella, in Sicilia, nella guerra dei droni è stato, nel maggio 2013, un rapporto del “Centro Studi Internazionale” (Cesi), che spiega come a Sigonella siano presenti, oltre ai droni Global Hawk, progettati e schierati esclusivamente per missioni di osservazione e sorveglianza, anche i Predator, che invece sono armati.
Il rapporto del Cesi riconduce la scelta del governo italiano di autorizzare i Predator a Sigonella come dovuta alla posizione assolutamente strategica della base e come risposta specifica all'instabilità dei paesi del Nord Africa, dopo che la Primavera Araba ha fatto crollare uno dopo l'altro le vecchie dittature: dalla Tunisia di Ben Ali all'Egitto di Mubarak alla Libia di Gheddafi, che oggi è fonte di massima preoccupazione per l'Italia.
Le informazioni sul ruolo dell'Italia nella guerra dei droni rimangono, però, esigue e frammentarie. I cablo di WikiLeaks testimoniano la stretta collaborazione tra il governo italiano e quello americano su Sigonella, una collaborazione raramente giocata all'insegna del dibattito pubblico e aperto che si addice a una democrazia.
Un cablo riservato del 1° aprile 2008 (disponibile qui in inglese) racconta come la nostra Difesa avesse approvato il dispiegamento dei Global Hawk a Sigonella, raccomandandosi però di «non annunciare pubblicamente l'approvazione fino a dopo le imminenti elezioni del 13-14 aprile». I cablo dimostrano che, dall'ex ministro della Difesa, Antonio Martino, all'attuale capo del Dis, Giampiero Massolo, fino all'ammiraglio Giampaolo Di Paola, la diplomazia Usa ha avuto interlocutori pronti a dire sì a praticamente ogni richiesta americana su Sigonella: dalle forze speciali ai droni. Tutto gestito sempre all'insegna del low profile. Il segreto militare ha fatto il resto.
“L'Espresso” ha interpellato il ministero della Difesa per chiedere se, visto il cambio di policy degli Stati Uniti in materia di droni armati, l'Italia ha già presentato una richiesta per l'acquisto di questi armamenti, se sì, per quali utilizzazioni il nostro Paese intende accedere a questa tecnologia militare e qual è il ruolo dell'Italia nella guerra dei droni. Il Ministero della Difesa non ha risposto alle domande de l'Espresso.