Cipro, Singapore, Lussemburgo, Montecarlo, Vaduz, Isole Vergini. La carriera di Flavio Briatore è costellata di successi e conti offshore. Dei primi si conosce tutto, degli altri invece poco, pochissimo, quasi niente. Le gesta del manager sono state tramandate ai posteri da centinaia di articoli e interviste. Ma dietro le quinte di una vita spericolata, tra bolidi di Formula Uno, belle donne, feste e champagne, scorrono milioni di euro prudentemente accantonati nei più efficienti paradisi fiscali del mondo.
«Io pago le tasse», protesta da giorni l’inventore del Billionaire, da quando il suo nome, grazie alla pubblicazione su “l’Espresso” della cosiddetta lista Falciani, è spuntato tra i clienti della filiale di Ginevra della banca britannica Hsbc. E guai a chi osa suggerire il contrario. «In Italia ti perdonano tutto, tranne il successo», è la replica affidata a Twitter dall’imprenditore nativo di Verzuolo, provincia di Cuneo. Insomma è un complotto, o poco ci manca. La pista dei soldi, però, porta lontano, molto lontano. E così, alla fine, il tesoro di Briatore appare avvolto in una complicata ragnatela di sigle più o meno esotiche, di scatole societarie create in territori a prova di tasse. È tutto scritto nero su bianco. Pagine e pagine di bilanci, documenti ufficiali, atti giudiziari.
C’è solo l’imbarazzo della scelta, ma per cominciare si può partire da Genova, dove da settimane Briatore è sotto processo per evasione fiscale. Niente a che fare con i conti svizzeri della Hsbc. La vicenda è quella dello yacht “Force Blue”, un panfilo da 62 metri che da anni accompagna il manager nelle sue crociere estive. La nave è intestata a una società delle British Virgin Island, la Autumn Sailing. Proprio da qui nascono le accuse della procura genovese. In totale fanno circa quattro milioni di Iva non pagata simulando un’attività di noleggio del tutto fittizia. Per dribblare le imposte, Briatore avrebbe finto di prendere in affitto uno yacht di cui era già proprietario.
«Tutto regolare», si difende l’imputato eccellente, che comunque non può negare di aver fatto ricorso a uno schermo offshore per il suo “Force Blue”. In questo caso, però, come hanno ricostruito i magistrati, lo schermo era doppio. Al piano superiore, con il ruolo di proprietario formale della società delle isole Vergini Britanniche, troviamo infatti un trust che ha per insegna due lettere: FB, Flavio Briatore, ovviamente. L’ultimo domicilio conosciuto di questa struttura è una strada di Limassol, a Cipro, un territorio a fisco zero che, per la verità, viene utilizzato soprattutto dai nababbi dell’Est, a cominciare dagli oligarchi russi. La gestione di FB trust è affidata a un trustee, un fiduciario, con base in Svizzera, a Ginevra.
A tenere i cordoni della borsa è una professionista elvetica, Maria Pia De Fusco. Una decina di anni fa, in una delle udienze del processo per corruzione giudiziaria contro Silvio Berlusconi, la signora De Fusco venne chiamata a spiegare alcuni intricati affari che riguardavano il suo cliente famoso. I magistrati, infatti, avevano accertato che Briatore condivideva con l’allora presidente del Consiglio i servigi dell’avvocato londinese David Mills. E proprio Mills era accusato di aver mentito in tribunale dietro compenso (600 mila dollari) di Berlusconi.
La vicenda giudiziaria si chiuse con la prescrizione per tutti gli imputati. Agli atti però è rimasto il canovaccio degli interessi offshore del manager che in quegli anni faceva faville in Formula Uno come gran capo del team Renault. Si scopre così che alcuni affari di Briatore transitavano dal Liechtenstein, dagli uffici di Vaduz del fiduciario Heimo Quaderer, titolare della KFG Finanz. Quaderer, si legge negli atti del processo, gestiva per conto dello stesso Briatore anche un altro trust, battezzato Angel. Vecchie storie, quelle. Vicende della fine degli anni Novanta, quando l’imprenditore «da sogno», per citare Maurizio Crozza, faceva girare milioni di dollari con l’aiuto dell’avvocato Mills, lo stesso che dava una mano anche a Berlusconi.
Passa il tempo, cambiano le attività, ma in cima a tutto resta il trust. Nel 2006, per dire, matura l’affare Pierrel, la società farmaceutica quotata in Borsa. Ai comandi c’è Canio Mazzaro, all’epoca sposato con Daniela Santanchè, la futura pasionaria berlusconiana che aveva esordito in Parlamento nelle fila di Alleanza Nazionale. Santanchè, anche lei di Cuneo, da un paio di decenni fa da sponda a Briatore negli affari e sui giornali, prodiga di suggerimenti d’immagine e pubblicitari.
Con Pierrel il terzetto di amici sbarcò sul listino azionario, ma Briatore anche quella volta navigava offshore. La sua quota azionaria, tramite un paio di passaggi intermedi, faceva capo al solito FB trust, quello di Cipro. La stessa sigla ricorre anche nella Formula Uno, ma questa volta associata a una finanziaria con base, ancora una volta, alle isole Vergini Britanniche, la FB Formula limited. In sostanza, tutte le attività di contorno ai gran premi, come per esempio il catering della scuderia Renault, venivano gestiti sotto le insegne di questo schermo con base in un paradiso fiscale.
Le carte della banca Hsbc, quelle allegate alla lista Falciani svelate nelle settimane scorse, confermano che la FB Formula limited aveva un conto aperto nella filiale svizzera della banca britannica.
«Non erano soldi miei», si è difeso Briatore. Quel denaro, ha spiegato, «serviva per la gestione della scuderia automobilistica». Resta da capire perché mai un’attività di quel tipo venisse affidata a una società caraibica. Così come risulta ancora aperta l’indagine della Guardia di Finanza sulla presunta intestazione fittizia di un conto milionario a una ignara cuoca all’epoca dipendente della stessa Fb Formula.
L’avventura nel mondo dei motori si è chiusa nel 2009. Da allora, il manager congedato bruscamente dalla Renault, si è dedicato anima e corpo a Twiga e Billionaire, i marchi turistici che tra Forte dei Marmi e la Costa Smeralda sono diventati un’icona dello stile di vita festaiolo. Per qualche tempo gli affari sono andati alla grande. Poi l’avanzare della crisi economica ha finito per travolgere anche i simboli di un lusso ormai decisamente fuori tempo massimo.
Poco male. Due anni fa Briatore ha annunciato di aver trovato un nuovo socio pronto a garantire capitali freschi per il rilancio. Solo che anche questa volta l’operazione è andata in scena lontano dall’Italia, all’ombra dei paradisi fiscali. Nell’estate del 2013 la società Laridel Participations del Lussemburgo ha infatti ceduto la maggioranza del capitale della Billionaire srl, titolare del locale e dell’omonimo marchio. Nel ruolo di compratore è spuntata una società di Singapore, la Billionaire Lifestyle. Sarebbe questo il canale da cui sono transitati i fondi del gruppo asiatico Bay Capital.
Grazie al gioco di sponda appena descritto, tutto estero su estero, circa 4 milioni di euro sono partiti dall’estremo Oriente per approdare in Lussemburgo. Nel frattempo, però, Briatore resiste al comando. Non ha ceduto la guida operativa delle sue creature ed è ancora lui che figura come amministratore della società acquirente, quella di Singapore.
Anche il motto della ditta resta sempre lo stesso, immutato nel tempo. «Troppe tasse in Italia», si lamenta il manager. Un tormentone infinito, che si ripete intervista dopo intervista. Ormai è quasi un format giornalistico. Mr Billionaire che spara a zero sul Fisco iniquo del suo Paese.
Meglio investire altrove, allora. Il marchio Twiga è sbarcato in Turchia, a Bodrum. A Malindi, c’è il resort “Lion of the Sun”. «Viaggio tra Miami, Londra e il Kenya», racconta Briatore che si è già trasferito armi e bagagli a Montecarlo, dove vive con la moglie Elisabetta Gregoraci e il figlio Nathan Falco.
Anche la tv italiana dovrà fare a meno di lui. L’anno scorso, infatti, ha chiuso i battenti “The Apprentice”, il talent show, in onda su Sky, dove Briatore interpretava se stesso, il “boss”, giudice ultimo dei concorrenti aspiranti manager.? Francesco Menegazzo, vincitore dell’edizione 2012, ha ottenuto in premio un contratto nel gruppo del Billionaire. Il pacchetto regalo comprende anche un incarico societario. Il giovane Menegazzo, classe 1983, è diventato amministratore di una nuova holding del suo benefattore. Si chiama Laridel Participations II, nel senso di seconda, ed è una società con base in Lussemburgo. Una poltrona offshore. Manco a dirlo.