A Milano si apre la più grande esposizione dedicata al genio vinciano ?che sia stata realizzata in Italia dal 1939. E che sarà il punto di forza dell'offerta culturale durante l'Expo. Tutti i retroscena di un’operazione finanziata senza un euro di denaro pubblico

La Belle Ferronière
A Parigi il 27 marzo gli specialisti del Louvre finiranno di restaurare la Belle Ferronière, ridonando i colori naturali al suo viso delizioso e al suo casto décolleté adornato di nastri di seta. Porta assai bene i suoi 520 anni, Lucrezia Crivelli, nobildonna che fu amante di Ludovico il Moro.

Il sommo pittore che la ritrasse, l’autore della inamovibile “Monna Lisa”, parlava, con asciuttezza da tecnico, di «li reflessi de la carne», ma a noi moderni non sfuggirà la loro dolcezza, il loro incanto femminile. Ammireremo presto la Ferronière restaurata, in anteprima mondiale, alla megamostra Leonardo. Il disegno del mondo, che apre il 15 aprile a Palazzo Reale, a Milano.

La mostra
'Leonardo. Il disegno del mondo'. A Milano novanta giorni con il genio
24/3/2015
E che sarà tre cose insieme: la più importante esposizione su Leonardo da Vinci realizzata in Italia dal 1939; “la” mostra italiana dell’anno 2015; la più rilevante offerta culturale di Milano durante il semestre Expo. Per il suo livello scientifico, e a dispetto delle difficoltà affrontate, dovrebbe essere una medaglia per la capacità italiana di far cultura, ponendo freno a quell’autolesionismo nazionale che all’estero risulta spesso incomprensibile. Dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, per dire, arriva un’attrazione assoluta, “L’uomo vitruviano”. E tuttavia.

E tuttavia l’evento dell’anno nasce da un paradosso tipicamente italico: è stato ideato, organizzato e finanziato (4,5 milioni il costo totale) da un soggetto privato, Skira editore, con i curatori Pietro C. Marani, insigne studioso leonardista del Politecnico, e l’ex soprintendente Maria Teresa Fiorio, per conto del Comune di Milano.

[[ge:rep-locali:espresso:285149076]]Con il contributo economico di alcuni sponsor (in primis Bank of America-Merrill Lynch), ma senza ricevere un euro pubblico: né dal Comune, né dalla Regione, né dallo Stato, né da Expo Spa. Una storia avventurosa, accidentata, resa complicata da noi stessi italiani. Ve la raccontiamo in anteprima.

È difficile, nell’anno 2015, mentre la sonda della Nasa fotografa Marte, fare una mostra eccellente su Leonardo da Vinci? Sì. Molto. Intanto non siamo nel 1939, quando l’ambiziosa “Leonardesca” al Palazzo dell’Arte celebrava il «genio italico» e le «invenzioni italiane» in chiave tutta politica, fascista, autarchica e anti-sanzioni, facendo prevalere il Leonardo tecnico e scienziato. Non c’è oggi un ministro Alfieri o Bottai che poteva comandare agli Uffizi di prestare l’“Annunciazione” a Milano, come avvenne. O di negoziare con forza, in chiave di appeasement (il fascismo era al culmine del consenso), generosi prestiti da Parigi, Bruxelles, Budapest e Windsor. Né c’è oggi un principe di Piemonte o un maresciallo d’Italia Badoglio, presidente del Cnr, a presenziare spalleggiando il regime. Né le mostre possono oggi essere centraliste, ideologiche e d’imperio. E questo è un primo punto.

Per il secondo lasciamo la parola a Massimo Vitta Zelman, presidente di Skira, editore e organizzatore di mostre su scala europea, che dichiara a “l’Espresso”: «Ci lavoriamo da sei anni. Tutto nacque all’inizio del 2009, c’era la giunta di Letizia Moratti e mi fu chiesta un’idea per una grande mostra nell’anno di Expo 2015, che rappresentasse Milano ma avesse un significato universale. Skira era da anni interlocutore istituzionale del Comune. La risposta fu quasi ovvia: Leonardo. La proposta passò subito. Ma non è stato tutto facile».

Moratti disse sì (e la giunta Pisapia, due anni dopo, avallò). La prima idea fu un “Leonardo pittore a Milano”, puntando appunto sull’opera pittorica (sono appena una ventina al mondo i suoi dipinti sopravvissuti); ma nel 2011 Milano fu bruciata da Londra, con “Leonardo: Painter at the Court of Milan” alla National Gallery.
«Impossibile ripetere. Né avrebbe avuto senso scientifico», riprende Zelman: «Così, dal 2011, dopo l’elezione di Pisapia, puntammo su “Leonardo. Il disegno del mondo”. Un’occasione per illustrare i talenti multiformi dell’artista, scienziato, ingegnere, il dialogo con gli allievi, gli artisti coevi, i leonardeschi, sempre a cavallo delle diverse tecniche espressive». Per far questo ci si è avvalsi degli storici dell’arte Fiorio e Marani, quest’ultimo uno studioso di punta, molto combattivo in seno alla comunità internazionale.

Risultato, sei anni dopo: sette capolavori pittorici leonardeschi a Palazzo Reale, un terzo di quelli esistenti al mondo; circa 220 dipinti, disegni e documenti autografi da quindici Paesi. Tre sono stati i partner principali. Uno, il Louvre, incoraggiato anche dall’Eliseo a procedere con Milano. A parte, ovvio, l’incedibile “Monna Lisa”, e la “Vergine delle Rocce”, Parigi ha inviato, oltre alla “Belle Ferronière”, il “San Giovanni Battista” e la “Piccola Annunciazione”, e altre opere coeve. Due, la Royal Collection della famiglia reale inglese. Generosissima, Sua Maestà Elisabetta II (firmataria del contratto con i Lloyd’s e Palazzo Reale), che ha concesso ben 30 dei 34 lotti richiesti dai curatori. Tre, la Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana di Milano. E qui la vicenda si è complicata. All’italiana, si diceva? Sì, all’italiana, nella variante diocesana.

[[ge:espresso:visioni:1.205448:article:https://espresso.repubblica.it/visioni/2015/03/23/news/leonardo-da-vinci-e-il-mistero-della-madonna-dreyfus-1.205448]]Monsignor Buzzi, prefetto dell’Ambrosiana, e il presidente della Fondazione Cardinale Borromeo Giorgio Ricchebuono hanno fatto resistenza per concedere in prestito (per appena 90 giorni) il celebre “Ritratto di musico”. La richiesta, ripetuta: un’altra opera in cambio e il pagamento di un forfait o di una royalty sugli incassi da biglietteria. Due mesi fa è arrivata anche una circolare della Diocesi in cui si avvertiva che l’Ambrosiana non prestava più niente. Allarme rosso. Informato il sindaco Pisapia (non esattamente un patrono delle arti); l’assessore alla Cultura Del Corno indotto a chiamare l’ex prefetto cardinal Ravasi per ottenere dal successore un atto di bontà. L’arduo negoziato si va concludendo proprio in queste ore. A “l’Espresso” risulta che la veneranda Ambrosiana ha insistito veramente parecchio. Mentre la Pinacoteca Vaticana ha concessso il “San Gerolamo” sin dal primo minuto. Non un euro ha chiesto il Louvre, non una sterlina la regina Elisabetta II.

Interpellato in proposito, il presidente Vitta Zelman non commenta. Ma esprime un disagio: «Questi sei anni di lavoro mi hanno confermato il cronico deficit dell’Italia a muoversi nell’interesse nazionale, l’incapacità di pensare insieme e di pensare in grande». E qui forse gli sovviene la vicenda dell’“Annunciazione” degli Uffizi. È finita male, con la mediazione infruttuosa del ministro dei Beni culturali Franceschini che si è limitato a una timida richiesta presso il direttore degli Uffizi, Antonio Natali. Opera inamovibile, gli è stato detto. «Il direttore», così il ministro il 13 febbraio, «ha fatto presente che il suo museo ha prestato 28 opere alle varie mostre per Expo; e che il museo rimarrebbe privo di opere di Leonardo durante i sei mesi di Expo». Peccato che Palazzo Reale con Expo non c’entri nulla; che la mostra duri 90 giorni, non sei mesi; che la Galleria degli Uffizi abbia prestato 4 opere, le restanti vengono dal Gabinetto Disegni e da altri musei fiorentini; e che l’“Annunciazione” sia andata a Tokyo quattro anni fa. C’è stato poi chi ha convinto Franceschini a paragonare il prestito dell’“Annunciazione” al trasloco, giustamente sventato, dei Bronzi di Riace all’Expo. Una somma di mele e banane.

Duri, in verità, anche gli amici polacchi di Cracovia, dov’è custodito un capolavoro assoluto, la “Dama dell’ermellino”. L’opera fu promessa dalla direzione del Museo Nazionale nel 2009 al sindaco Moratti. Non solo Cracovia l’ha disattesa, ma nel 2011 ha prestato la “Dama” a Londra.Mentre scriviamo sarebbe in atto un estremo tentativo di negoziare da parte dell’Ambasciata d’Italia a Varsavia. Parimenti inflessibile il direttore dell’Ermitage di San Pietroburgo, il potente Mikhail Piotrovsky, un oligarca adamantino, in sella dai tempi dell’Urss: la “Madonna Benois” è stata dichiarata incedibile. Non è escluso - ma non siamo in grado di documentarlo - che con Polonia e Russia ci sia stata una questione, come dire, di denari.

Dopo i «niet» è arrivato anche un «sorry» da Washington. Marani, Fiorio e Vitta Zelman speravano, oltre alla “Madonna Dreyfus” anche nella “Ginevra Benci” della National Gallery. Tantopiù che il curatore dell’arte italiana, David A. Brown, è un amico. Ma, come riassume Zelman, «è ritenuta la Gioconda di Washington», e quindi amen. «E tuttavia», aggiunge il presidente Skira, «tengo a dire che abbiamo riscontrato molto più entusiasmo tra le istituzioni estere che dall’Italia. Diversi musei italiani hanno frenato. Con alcune eccezioni che vorrei menzionare, come Parma, o Venezia, o il Poldi Pezzoli di Milano».

Questo articolo non anticiperà ai lettori le sorprese che il “Leonardo” a Milano riserberà, e sono molte. Per meglio comprendere l’operazione intorno a quello che il grande storico Ernst Gombrich chiamò «lo straordinario mago», il curatore professor Marani ci ha fornito qualche spiegazione. «Non si tratta di un Tutto Leonardo, nel 2015 irrealizzabile», premette, «del resto non ci riuscirono neanche nel 1939. Né l’idea era: The best of Leonardo. La mostra di Milano fa il punto, scientificamente aggiornato, sulla complessità di Leonardo da Vinci. L’artista anzitutto, e il tecnico, lo scienziato, l’indagatore della natura, dell’anatomia umana e animale. Le 12 sezioni tematiche offrono un confronto continuo tra disegno, pittura, scultura. Lui, i suoi modelli, la bottega del Verrocchio, gli allievi, i contemporanei, da Antonello da Messina a Botticelli ai leonardeschi». Marani sottolinea che il disegno, in Leonardo, è al centro di tutto: «Esploriamo come l’arte del disegno leonardesco evolva da strumento di analisi del vero, conoscenza scientifica e veicolo di educazione verso la complessità dell’esperienza pittorica e scultorea. Come la natura maturi, da sfondo qual era, a protagonista della composizione pittorica. Come Leonardo dialoghi con i modelli antichi, la statuaria classica per i monumenti equestri, i bronzi ellenistici e i bronzetti rinascimentali. La nostra ambizione», conclude, «è raccontare, senza indulgere alla retorica del “genio italico”, il Leonardo polivalente, ricco di interessi, conoscitore profondo di scienze, tecniche e arti del suo tempo».

In questo senso Marani e Fiorio mettono in costante dialogo opere leonardesche e opere consimili, influenzanti o influenzate. Qualche esempio? La “Madonna Dreyfus” (vedere scheda qui sopra) con “La Vergine e il bambino” di Lorenzo di Credi. O una “Testa femminile” del Gabinetto Disegni degli Uffizi con la “Piccola Annunciazione”. O la “Dama col mazzolino” del Verrocchio con la “Belle Ferronière”. O i diversi modelli di cavalli per il celebre monumento Sforza.

E infine, le meravigliose varianti sul tema mitologico di Leda: parliamo di un leggendario quadro di Leonardo scomparso in Francia (dove il genio vinciano visse gli ultimi anni), probabilmente a causa di un incendio a Fontainebleau. Intorno alla figura di Leda emergono affascinanti confronti tra Verrocchio, Leonardo e i leonardeschi. In breve: se anche qualche sgarbo vi è stato, i materiali sono tali da farne l’evento espositivo del 2015 in ogni caso. Tanto che a Palazzo Reale si prevedono, per combattere le code, quattro serate a settimana con l’apertura sino a mezzanotte; cataloghi per diversi target di approfondimento, in italiano e in inglese; guide alla mostra in forma di applicazioni per tablet.

Quanto al “Cenacolo” di Santa Maria delle Grazie, l’altro blockbuster mondiale che Milano offre da sempre, anche lì è in atto una faticosa discussione per prolungare gli orari di accesso. Si è calcolato che nel 2015 il bacino abituale di 400 mila visitatori l’anno potrebbe allargarsi a un target teorico che è vicino ai 2 milioni. Perché non trarne conseguenze?

Alla fine del percorso, a Palazzo Reale, il visitatore avrà un paio di sorprese ulteriori, cui accenniamo. Grazie a un intervento della coreana Samsung, un esperimento di realtà immersiva in 3D per calarsi virtualmente dentro l’“Ultima cena”. E nella sezione 12, alcune sciccherie intorno al cosiddetto mito di Leonardo. Si tratta di citazioni, parodie, travestimenti. Come l’androgina (o ginandra?) “Gioconda nuda” del Salaino o Salaì, l’allievo prediletto del maestro. Come l’interpretazione dadaista di Duchamp, o quella patafisica di Enrico Baj, del 1965, intitolata - opportunamente, alla luce delle traversie descritte - “La vendetta della Gioconda”.