Luigi Mingozzi nel novembre del 1943 risponde alla chiamata obbligatoria e vienearruolato nell'esercito della Repubblica sociale italiana. Catturato dai partigiani, ne scopre i valori di libertà e democrazia e si aggrega a loro. Fatto prigioniero dai fascisti, per salvarsi, rientra nei loro ranghi: riuscito a fuggire poco prima della fine della guerra, trova rifugio in un collegio femminile a Milano, dove, con i nuovi compagni, ne festeggia la liberazione. (La testimonianza di Luigi Mingozzi è stata pubblicata in "Nella notte mi guidano le stelle - Storia breve di un antieroe", Edizioni del Graffio, Borgone Susa, TO, 2003).

In quel momento era impossibile sottrarsi all'euforia generale che si avvertiva intorno; era una vera ubriacatura di libertà, per gli avvenimenti che si susseguivano.

Cercavo sempre di evitare episodi di violenza: ci stavo troppo male, anche se le motivazioni apparivano giuste. Mi rimase impresso il viso tumefatto e sanguinante di un uomo portato su una jeep. Un nastro bianco gli cingeva la fronte con la scritta: spia fascista. Esprimeva il terrore della morte. Alle ragazze che avevano collaborato con la R.S.I. veniva praticata pubblicamente la rapatura a zero dei capelli fra lo scherno dei presenti; rapatura completata sovente da una pennellata di minio (un minerale di colore rosso costituito da ossido di piombo, ndr), che disegnava falce e martello sul cranio lucido. Quando ci giunse notizia che a piazzale Loreto, Mussolini, assieme alla sua amante e ad alcuni gerarchi, stava appeso per i piedi ad una pensilina di un chiosco di benzina — dove il 10 agosto dell'anno prima erano state fucilate per rappresaglia 15 persone — non mi mossi.

Il giorno 29 gli Alleati entrarono in Milano e sbarcarono in piazza Duomo fra il tripudio della folla. Il 30 i tedeschi ancora presenti a Milano si arresero consegnando le armi agli Alleati. Il giorno dopo ci fu la grande celebrazione del Primo Maggio: la festa dei lavoratori tornava, dopo più di vent'anni di dittatura fascista, alla sua data tradizionale. Poi la febbre delle celebrazioni incominciò a spostarsi nelle località della cintura milanese; le occasioni non mancavano per celebrare ricorrenze e commemorare i caduti della Resistenza. Partivamo in colonna su autocarri; al nostro arrivo venivamo accolti dalla banda musicale e dagli applausi della popolazione; così ad Affori, la cui banda iniziò a suonare la omonima popolare marcetta: una vera primizia.

Dopo l'arrivo degli Alleati, le acque si calmarono. I cecchini non sparavano più. Iniziarono a confluire al comando generi alimentari da distribuire alla popolazione più bisognosa e ai familiari dei caduti. Ebbi l'idea di rifornire di pasta e riso, nei limiti che mi erano consentiti, il collegio delle educande che mi aveva ospitato. In verità questa mia iniziativa aveva anche un altro scopo, qualcosa in più della semplice riconoscenza verso la superiora: avrei voluto rivedere la ragazza dal viso pulito, dal dolce sorriso, simpatica, con grembiule nero e collettino bianco, che ci aveva portato la cena in quel tardo pomeriggio, appena accolti nell'istituto.


Luigi Mingozzi (Faenza, 1925)