Il governo festeggia il primo mese di vita della riforma: 92 mila nuovi contratti, un quarto dei quali a tempo indeterminato. Ma la legge nasconde il rischio che licenziare sia vantaggioso. Come dimostrano questi casi

Quando sono entrati nel locale che sulla carta ospitava la nuova azienda tessile, i carabinieri dell’Ispettorato del lavoro sono rimasti di sasso: non solo non c’erano i 49 dipendenti da poco ingaggiati (tutti a tempo indeterminato) ma nemmeno i macchinari. Nulla di nulla. Per l’impresa di Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, solo le agevolazioni concesse dallo Stato sarebbero state vere. Centinaia di migliaia di euro da mettere in tasca grazie alle misure pensate per rilanciare l’occupazione.

Il governo festeggia con solennità le rilevazioni sul primo mese di vita del Jobs act. D’altronde i numeri, per quanto ancora parziali e suscettibili di variazioni, sembrano incoraggianti: 92 mila nuovi contratti attivati a marzo, un quarto dei quali a tempo indeterminato. «Merito della riforma del lavoro» esulta Palazzo Chigi. Ma non ci sono solo le luci. Perché per il modo in cui sono congegnati, gli incentivi a disposizione delle aziende rischiano di stimolare appetiti di tutti i tipi. Compresi quelli di chi sembra voler approfittare unicamente della possibilità di risparmiare su tasse e contributi previdenziali.


A Cinisello Balsamo, ad esempio, l’azienda Call&Call è intenzionata a chiudere lo stabilimento e dare il benservito a 186 operatori a tempo indeterminato del call center. Ma al tempo stesso, denunciano i sindacati, assumendo personale nelle altre sedi di Roma e Locri, che fanno capo ad altre srl del gruppo. Tutti dipendenti ingaggiati col contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs act, meno oneroso, e con gli annessi sgravi previsti per le nuove assunzioni: da 6 mila a 8 mila euro l’anno ciascuno. Una circostanza - la sostituzione dei vecchi contratti col nuovo - che l’Espresso aveva già paventato fra le possibili conseguenze della riforma del lavoro nel settore.


Andando a scavare si scopre tuttavia che, per quanto al momento isolati e numericamente poco rilevanti, i casi non mancano. Nemmeno nel Veneto ricco e produttivo. A Rubano, in provincia di Padova, a fine marzo la Industria confezioni - di proprietà del gruppo Ermenegildo Zegna - ha annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento, che produce capispalla maschili di alta sartoria. Di conseguenza i 230 dipendenti (per lo più donne e con stipendi attorno ai 1.100 euro) avrebbero dovuto accettare di essere riassorbiti in uno degli altri impianti di Parma, Novara o Biella. Ovvero spostarsi a centinaia di chilometri da casa.


Soluzione che ai sindacati è persa come un grimaldello per accedere alle agevolazioni: «Se un lavoratore rifiuta lo spostamento scatta il licenziamento per giusta causa e a quel punto l’azienda è libera di assumere col nuovo contratto e di usufruire della decontribuzione» afferma Angelo Levorato della Femca-Cisl. Adesso, dopo un duro confronto iniziale, sul tavolo c’è la possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà e di lavorare 4 ore al giorno, ipotesi che non porterebbe alla società alcun beneficio dalle nuove norme. Ma se la trattativa fallisse, lo spettro del trasferimento tornerebbe di nuovo in campo.


In qualche caso anche le stabilizzazioni possono riservare sorprese. A Lodi le Industrie cosmetiche riunite (Icr) a partire dal prossimo autunno internalizzeranno 180 lavoratori che lavorano da anni per la società ma che finora erano alle dipendenze di alcune cooperative. Prima dell’agognata meta, però, per tutti quanti sono previsti sei mesi con un contratto a somministrazione di un’agenzia interinale. Esattamente il periodo di tempo senza posto fisso richiesto a un neo-assunto perché un’azienda possa beneficiare di una decontribuzione triennale. In questo modo, calcolano i sindacati, l’Icr risparmierà 1 milione di euro l’anno mentre i lavoratori, che prima erano inquadrati a tempo indeterminato col contratto collettivo del settore chimico, perderanno le garanzie di cui godevano. «E potranno essere licenziati più facilmente» spiega il segretario generale della Uil di Brescia, Mario Bailo: «La legge Fornero prevedeva da 12 a 24 mensilità per i licenziamenti individuali. In tal caso invece, azzerando l’anzianità di servizio, dopo un anno potrebbero essere mandati via con la corresponsione di appena 4 mesi di stipendio».


Si verificherebbe, cioè, proprio ciò che uno studio del Servizio politiche territoriali della Uil aveva messo in luce: il rischio che licenziare sia vantaggioso. Del resto il timore di peggiorare la propria situazione contrattuale a causa di una nuova assunzione agita in queste settimane anche i 50 lavoratori in esubero del Maggio fiorentino. Per i dipendenti del teatro è previsto l’assorbimento in Ales, la società per azioni di proprietà del ministero dei Beni culturali. Solo che così tutti quanti perderebbero i diritti acquisiti con gli anni di servizio e così le organizzazioni sindacali hanno chiesto un’apposita deroga al Jobs act.


Tutto questo è però nulla rispetto a quanto si è iniziato a vedere in alcuni cantieri edili e nel settore delle costruzioni, zone di frontiera per eccellenza sul terreno dei diritti dei lavoratori: qui nemmeno le tutele crescenti sembrano essere abbastanza convenienti. «Dopo l’offerta di contratti di lavoro romeno che abbiamo scoperto a Modena, in alcune realtà della Lombardia stiamo assistendo a un’esplosione dei voucher» dichiara Marinella Meschieri, della segreteria Fillea-Cgil. E la differenza non è di poco conto: 7 euro e 50 centesimi netti l’ora, grosso modo la metà di quanto previsto dal minimo tabellare. Ma soprattutto niente tfr, tredicesima, ferie maturate né scatti di anzianità.

E il modo in cui la legge è scritta ci ha messo del suo, sostiene Meschieri: «Prima i buoni potevano essere utilizzati solo per i lavori “occasionali”. Ma il Jobs act ha tolto questo termine e adesso temiamo che possano diventare una consuetudine». Così il sindacato, che ha avviato un monitoraggio sulla questione, ha diramato alle sedi sul territorio la disposizione di segnalare tutte le anomalie riscontrate nei cantieri o segnalate dai lavoratori.


Una casistica varia, quella pensata per approfittare delle agevolazioni introdotte dal Jobs act, che non meraviglia il segretario confederale Uil Guglielmo Loy, che aveva già denunciato i rischi insiti nella modalità con cui gli incentivi sono stati concepiti per le imprese: «Il risparmio sui contributi previdenziali per le società è sproporzionato rispetto al costo di un licenziamento illegittimo. E gli incentivi, anziché essere selettivi, premiano tutti». Il risultato è che diventa impossibile distinguere fra chi vuole davvero creare occupazione, chi si limita a fare ristrutturazioni aziendali che avrebbe messo in atto comunque e chi punta solo a una tattica “mordi e fuggi” per pagare meno tasse. Proprio come nella notte di Hegel, in cui “tutte le vacche sono nere”.

Aggiornamento del 28 aprile 2015, ore 13.15: la precisazione di Call&Call

Aggiornamento del 6 maggio 2015, ore 19,00: la precisazione di IRC