Via all'Expo con allarme bomba. Accorrono gli artificieri, ma è un falso. Mentre sotto le nuvole grigie di un pomeriggio milanese, il premier Matteo Renzi firma in diretta tv la Carta di Milano. E con la sua grafia tracciata sullo schermo di un tablet davanti al pubblico, lancia la cerimonia inaugurale nel cielo tricolore della retorica. Certo, ci sono ancora sei mesi per trasformarla davvero in una grande occasione, come ha auspicato papa Francesco.
Ma se continua così, non sarà l'Esposizione ma un'esibizione universale: il solito esercizio del potere coloniale con cui l'Europa e i Paesi ricchi da oltre un secolo tentano di dettare le leggi al mondo e al momento di proporle, le hanno già tradite. L'esatto contrario degli obiettivi dichiarati dagli organizzatori: «Consideriamo una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia...», è scritto nel documento che il presidente del Consiglio ha appena firmato di fronte a tutti: «Sottoscrivendo questa Carta di Milano affermiamo la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo... e ci impegniamo a sollecitare decisioni politiche che consentano il raggiungimento dell'obiettivo fondamentale di garantire un equo accesso al cibo per tutti». Un obiettivo grandioso.
La menzogna sta proprio nel fatto che soltanto pochi giorni fa Renzi aveva addirittura proposto di bombardare i barconi: in modo che quegli affamati in cerca di cibo non possano salirci sopra per raggiungere le nostre coste. Expo 2015 invece è una manifestazione che non va cestinata. Perché potrebbe essere davvero una grande occasione umana oltre che economica.
Come ha ricordato papa Francesco nel suo discorso in collegamento dal Vaticano, confermandosi così non solo come guida dei credenti, ma anche unico leader politico in Europa ancora in grado di esprimere una visione sociale. Le parole di Bergoglio risuonano nello stesso giorno in cui il sindacato italiano si è geograficamente isolato, andando a celebrare il Primo Maggio a Pozzallo, luogo di sbarchi e sofferenze in Sicilia. Probabilmente Renzi sente sul collo e nei sondaggi il fiato del consenso xenofobo. Il papa ovviamente no.
[[ge:rep-locali:espresso:285519670]]
Allora cominciamo questa giornata dal suo inizio. Milano al centro del mondo, come vuole la cronaca dell'inaugurazione. A parte gli appuntamenti annuali con la moda e con il design dell'arredamento, non accadeva dai mondiali di calcio del 1990. E poiché il tema è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, si può partire da corso Concordia dove centinaia di protagonisti della Carta di Milano si ritrovano tre volte al giorno in cerca di un pasto, una doccia, un paio di scarpe.
L'Opera San Francesco è uno degli indirizzi della solidarietà. L'alimentazione qui è sostenibile per definizione, anche se il marchio della mensa dei poveri non lo troverete nell'esibizione architettonica dei padiglioni Expo. Oggigiorno di solidarietà gli Stati non ne fanno abbastanza.
Ecco allora nella coda per la prima colazione, tra tanti stranieri, anche un gruppo di italiani. Massimo, 49 anni, viene da Monfalcone, vicino a Trieste. Racconta che fino al mese scorso lavorava per un subappalto nei grandi cantieri. Costruiva navi, i transatlantici del turismo globalizzato. Ha uno zaino, un sacco a pelo arrotolato, una manciata di spiccioli in tasca. Nient'altro. «Faccio il saldatore», spiega: «Saldavo le fiancate di acciaio delle navi, il subappalto di un subappalto. Turni che a volta arrivavano a ventiquattro ore. Ventiquattro ore di fila senza fermarti, per consegnare in tempo. Contratti di tre mesi. Poi a casa qualche giorno. Poi tre mesi. Poi basta. A casa. Hanno preso una squadra di bengalesi. Lavorano per due, tre euro l'ora. Noi italiani ci hanno mandati via. Ho provato anche alla Fincantieri di Marghera. Niente. Sono venuto a Milano, magari trovo qualcosa. Da due giorni dormo in strada, mangio qui».
La coda si muove di un poco. Massimo spinge con un piede lo zaino appoggiato sul marciapiede: «Guarda come mi sono ridotto». La povertà del Bangladesh è una risorsa per il capitalismo globale. I nostri industriali fanno cucire magliette e camicie agli schiavi asiatici. Se qualcuno li scopre, i nuovi padroni ti raccontano che non lo sapevano, che non era nel contratto, che è colpa di un sub-sub-sub fornitore. Mentono candidi, come i cotoni che indossano.
Ma per i prodotti ingombranti, come le navi, gli schiavi li importiamo da noi. Se la Carta di Milano firmata da Renzi promuove l'alimentazione sostenibile, per il lavoro sostenibile la battaglia al momento è persa. Non solo per gli effetti finora inesistenti o soltanto negativi del job-act del governo, con la disoccupazione in crescita. Ma anche perché Expo 2015 promuove proprio il modello opposto: tra i lavoratori della grande manifestazione, ha arruolato perfino personale gratis. Li chiamano volontari: se hai il papà o la mamma che ti mantengono, puoi accettare. Il lavoro come hobby. Diceva un detto degli emigranti siciliani: «Cu avi 'na nanna campa, cu unn'avi 'na nanna mori». Se hai la nonna che ti mantiene vivi, se non ce l'hai muori.
Poco importa che Expo abbia mosso miliardi di euro, che marchi famosi come Armani e Tecnogym sfruttino giustamente l'occasione per attrarre fama e denaro. E che alla fine quei volontari rischino di tornare nella massa spaventosa del 43 per cento di giovani disoccupati in Italia, senza aver guadagnato nemmeno un euro. Qualche metro dietro all'ex operaio dei cantieri di Monfalcone, aspetta il suo turno un gruppo di africani. Cos'è l'Expo? Hamidou, 28 anni, ammette che non lo sa. Viene dal Mali. Un Paese lacerato dallo scontro prima culturale e poi armato tra una minoranza islamista, sostenuta da fuori, e la maggioranza musulmana. Lì da sempre l'agricoltura è sostenibile. Un'attività fatta in punta di piedi con le radici nella sabbia, come racconta un bel libro dell'antropologo Marco Aime. Ogni cittadino del Mali sa come si vive senza sprechi. La loro esistenza è una testimonianza quotidiana. Ma il Mali non ha padiglioni.
Non ne ha il Niger. Non ce l'ha il Ciad. Non è presente il Sudan. Sono Paesi importanti sul fronte alimentare. Anche per l'arrivo di profughi in Italia. La farina e i barconi dalla Libia sono due pagine della stessa storia. Ha invece un padiglione l'Eritrea, ex colonia italiana impoverita da un regime che, con la legge sul servizio militare a vita, obbliga alla fuga o alla morte decine di migliaia di giovani ogni anno. Ecco, si potrebbe cominciare da lì. «Vivere in zone aride può essere una benedizione, non una disgrazia», sostiene lo slogan scelto per l'Expo dal governo di Isaias Afewerki, presidente provvisorio dal 1993.
Chissà cosa ne pensano gli studenti prelevati a 17 anni dalle scuole superiori e rinchiusi nel campo-prigione di Sawa nel deserto. Sarebbe invece bello sapere che grazie a Expo e ai padiglioni dell'Italia, della Santa Sede e dell'Eritrea, Paese a maggioranza cristiana, è ancora possibile avviare un processo storico: un accordo che restituisca alla capitale Asmara la costituzione democratica approvata e rimasta sulla carta. E che fermi la fuga della meglio gioventù di Afewerki: quasi 44mila persone sbarcate nel 2014, gli eritrei sono al secondo posto dopo i siriani. Tagliare di 44mila profughi il bilancio annuale sarebbe già un grande risultato per la Carta di Milano, se l'iniziativa firmata da Renzi non è soltanto fuffa.
«Vorrei farmi portavoce di tutti questi nostri fratelli e sorelle, cristiani e anche non cristiani...», dice papa Francesco dal maxi schermo: «L'Expo è un'occasione propizia per globalizzare la solidarietà. Cerchiamo di non sprecarla ma di valorizzarla pienamente. In particolare ci riunisce il tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”... Purché non resti solo un tema, purché sia sempre accompagnato dalla coscienza dei volti. I volti di milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno, in modo degno di un essere umano. Vorrei che oggi ogni persona, ogni persona che passerà a visitare l'Expo di Milano attraversando quei meravigliosi padiglioni, possa percepire la presenza di quei volti. Una presenza nascosta ma che in realtà deve essere la vera protagonista».
Un percorso su cui anche la Santa Sede deve compiere la sua strada, come attraverso “l'Espresso” di questa settimana sollecitano quattro preti di prima linea: don Luigi Ciotti, don Virginio Colmegna, don Gino Rigoldi e padre Alex Zanotelli. [[ge:espresso:attualita:1.210036:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/04/30/news/papa-francesco-salva-tu-i-profughi-dalla-tratta-1.210036]]
Se il commissario Giuseppe Sala e gli organizzatori riusciranno a imporre agli Stati l'agenda tracciata dalla Carta di Milano e auspicata dal papa, allora l'Esposizione italiana potrebbe essere ricordata come la prima pietra di una nuova rinascita umanistica. Altrimenti con la proprietà Pirelli finita alla Cina, l'Inter all'Indonesia, i nuovi quartieri ai fondi arabi, l'Alitalia ad Abu Dhabi e il Milan forse in partenza verso la Thailandia, Expo 2015 chiuderà il capitolo italiano della fine del modello Europa.
Altro che “siam pronti alla vita”, come ha esclamato Matteo Renzi aprendo il discorso di inaugurazione.
[[ge:rep-locali:espresso:285519668]]