Sono molti gli indizi che portano a pensare che la crisi del settore immobiliare possa essere vicina alla fine. E le occasioni per chi vuole comprare non mancano

mutuo, casa
È finito il lungo periodo di penitenza per il mattone? C'è più di un indizio che fa pensare che la crisi che ha penalizzato il settore da sette anni a questa parte stia per finire. E che chi ha voglia di investire può cogliere l'occasione adesso, senza aspettare oltre che arrivi il momento più basso del ciclo negativo per cercare un affare. Chi se la prendeva comoda, insomma, ora deve darsi da fare.

Il primo dei fattori positivi è costituito dalla domanda di mutui. I compratori bussano agli sportelli bancari attirati dai tassi bassi – il tasso fisso è intorno al 2,50 - e le banche non si fanno pregare per scucire il denaro come nel recente passato: in aprile le domande sono cresciute del 72 percento rispetto all'aprile di un anno fa, un vero record. Da gennaio ad aprile, la crescita è stata del 46 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. E non si è trattato di surroghe, cioè di sostituzioni di un mutuo più caro con un altro meno costoso, fenomeno che ha occupato bancari e notai negli ultimi tempi, ma di mutui nuovi a tutti gli effetti per un totale di 7,9 miliardi di euro contro i 5,2 del primo quadrimestre 2014 (oggi il valore medio del prestito è sui 121 mila euro).

Secondo indizio, il fatto che a fiutare l'aria siano stati per primi gli investitori esteri, che hanno fatto la parte dei protagonisti nei grandi deal nel 2014: sette volte su dieci sono stati capitali venuti da fuori a pagare il conto delle compravendite di grandi complessi immobiliari in Italia, e probabilmente non hanno ancora finito.

Il settore residenziale, quello che sta più a cuore alle famiglie che nel mattone hanno il loro tesoretto, è cresciuto già l'anno scorso (è l'80 per cento del totale delle transazioni), e ha trainato con il passaggio di mano di 450 mila abitazioni il fatturato totale, pari a 81 miliardi di euro.

Sia Scenari Immobiliari che il Cresme, i due osservatori più accreditati del mercato, si sono sbilanciati a dire che siamo alla vigilia di un nuovo ciclo. E che le compravendite residenziali, quest'anno, saliranno ancora. Nomisma alza l'asticella a 500 mila contratti per il 2016 e il 2017.

Ma dove ci porterà questo ciclo? Verso nuove bolle dei prezzi come quelle vissute prima dell'inizio della crisi finanziaria ed economica, oppure verso una ripresa più equilibrata e stabile?

Intanto c'è da dire che il bicchiere della ripresa del settore è solo mezzo pieno: ai tempi belli, le compravendite erano 800 mila all'anno. Vendere la propria casa è tuttora non facilissimo: l'agenzia Bloomberg segnala che nell'Eurozona solo a Cipro i prezzi sono calati più che in Italia, e questo vuol dire che ci troviamo in una fase di mercato che va a vantaggio del compratore più che del venditore.

D'altra parte, lo stock di case invendute è massiccio. Erano mezzo milione di abitazioni all'inizio della crisi, e secondo Bankitalia resta ancora uno stock di invenduto molto consistente. Immaginare quindi che i prezzi possano salire è pura illusione. Anzi, probabilmente scenderanno ancora, dopo il ridimensionamento del 20 per cento al netto dell'inflazione subìto dal 2007 al 2013 (dato Bankitalia). Tecnocasa, il network delle agenzie immobiliari, prevede un'ulteriore flessione tra l'1 e il 3 per cento, Nomisma del 2,9 ancora quest'anno. Solo tra il 2016 e il 2017 i prezzi potranno risalire, con Gabetti che prevede un 5 per cento in più nel giro del prossimo triennio. Ma di certo non si ritornerà al mercato dei prezzi drogati di prima della crisi, che aveva visto una galoppata delle quotazioni immobiliari del 60 per cento dal 1998 al 2006.

Il riavvio del mercato immobiliare, comunque, darà benefici un po' per tutti. Come ricorda via Nazionale, la “filiera” immobiliare rappresenta il 20 per cento del Pil, e ha assorbito una quota del credito erogato al settore privato non finanziario che è pari al 43 per cento, mettendo poi le banche a dura prova con sofferenze e crediti incagliati. Il ridimensionamento del comparto l'abbiamo pagato con un taglio della crescita del Pil di un punto e mezzo dal 2007 a oggi. Rimettere benzina in un settore così strategico,e che ha sofferto un calo della redditività superiore agli altri settori produttivi, è per l'Italia fondamentale.

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