Accendere un mutuo a tasso fisso costa di più. È la Banca d’Italia, attraverso il bollettino statistico del 10 maggio, a dire che il Taeg - cioè il tasso d’interesse applicato dagli istituti di credito al denaro prestato, a cui si aggiunge il costo delle altre spese bancarie - nel mese di marzo si è attestato al 2,01 per cento, livello che non si vedeva dall’agosto 2019. Per capirci, un mutuo trentennale da 200 mila euro lo scorso anno comportava una rata mensile da 695 euro, oggi il mutuatario dovrà sborsare 790 euro al mese, circa il 14 per cento in più.
Angelo Baglioni, docente di Economia Politica all’Università Cattolica di Milano, perché questi aumenti dopo anni di condizioni favorevoli?
«Il rialzo riflette le prospettive di aumento del costo del denaro previste dalla Banca Centrale Europea. La presidente Christine Lagarde ha annunciato l’intenzione di aumentare il tasso d’interesse di un quarto di punto entro metà anno, a cui seguiranno altri piccoli aumenti entro dicembre. Probabilmente a fine 2022 il tasso d’interesse dell’Euro crescerà di almeno mezzo punto percentuale. Non è una manovra imponente e neppure una scelta improvvisa, bensì un modesto accorgimento che riflette l’aumento dell’inflazione, a sua volta dovuta ai rincari dell’energia e dei beni alimentari».
Quindi le banche prevedono un aumento del costo del denaro e cominciano a rincarare la rata per i nuovi mutui?
«Esattamente. In più, a spingere le banche verso l’aumento del costo del denaro, c’è l’esaurimento delle Long Term Lending Operations. Mi spiego meglio. Negli ultimi tre anni la Banca Centrale Europea ha erogato prestiti alle banche a tassi molto bassi, in alcuni casi a tassi negativi dell’uno per cento. Una mossa tesa a favorire la propensione delle banche a fare prestiti all’economia reale, cittadini e imprese. Queste linee di credito andranno in scadenza a metà giugno e le banche cominceranno a restituire il denaro preso a prestito. Dovranno quindi rinunciare a questa fonte di finanziamento a bassissimo costo e quindi gli istituti di credito cercheranno nuove fonti di finanziamento direttamente sul mercato, dove il denaro ha costi sicuramente maggiori rispetto alle condizioni agevolate offerte finora dalla Bce».
Per un paese come l’Italia, con scarso dinamismo economico e un elevato livello di indebitamento, l’aumento dei tassi d’interesse potrebbe rappresentare un freno all’economia?
«Stiamo uscendo dalla pandemia e, nonostante vi sia ancora parecchia incertezza per via della guerra in Ucraina, ci sono forti segnali di ripresa che non verranno scalfiti da un contenuto aumento dei mutui a tasso fisso. Resta invece invariato il problema della bassa propensione alla crescita delle aziende, che non accendono mutui non per eventuali aumenti del tasso d’interesse, ma perché l’instabilità internazionale non offre la prospettiva necessaria alla crescita delle aziende. Infine, sul fronte dei rendimenti dei titoli di Stato, l’aumento del costo del denaro è una cattiva notizia per il debito pubblico, perché l’Italia dovrà offrire interessi più alti a chi finanza il nostro Paese».
A lungo termine potrebbero esserci ulteriori rialzi dei tassi?
«La previsione della Banca Centrale Europea è che nel 2023 l’inflazione possa stabilizzarsi attorno al due per cento ed è per questo che la Bce ha deciso di aumentare a piccoli passi il costo del denaro. Al contrario gli Stati Uniti hanno avviato una politica monetaria più aggressiva e aumentato i tassi d’interesse di tre quarti di punto. La Fed ha inoltre annunciato altri aumenti, per arrivare a un incremento totale di un punto e mezzo entro l’anno. Questo perché gli Usa hanno una crescita inflazionistica maggiore rispetto all’Europa e legata all’aumento della domanda. Detto altrimenti, oltreoceano la Federal Reserve sta cercando di raffreddare il rialzo dei prezzi, prima che si inneschi una spirale inflazionistica fra aumento dei costi e maggiore richiesta salariale. In Europa le cause dell’inflazione dipendono invece dall’offerta, ovvero dal costo dell’energia, quale effetto collaterale della guerra fra Russia e Ucraina. Da qui la decisione della Bce di limitare le misure di politica monetaria, mentre i paesi puntano su iniziative di politica fiscale. L’Italia, ad esempio, sta contrastando gli effetti negativi dell’inflazione con interventi mirati, per esempio contribuendo agli extra costi del caro energia a carico di imprese energivore e famiglie in difficoltà».
Misure tampone che, tuttavia, non saranno sufficienti se l’inflazione continuerà a galoppare e se la guerra fra Ucraina e Russia si aggraverà ulteriormente. E qui torniamo alla questione dei mutui ipotecari. Qualche famiglia potrebbe optare per le condizioni più vantaggiose offerte dal tasso variabile, oggi ci si può aspettare un tasso allo 0,75 per cento, ben al di sotto del tasso fisso. Lo consiglierebbe?
«In questo momento propenderei per un tasso fisso, perché è vero che chi accende un mutuo oggi sconta già la previsione dell’aumento del costo del denaro previsto entro la fine dell’anno, ma non si prende il rischio degli effetti collaterali che potrebbero derivare dalla guerra e da ulteriori aumenti dell’inflazione negli anni a venire. È la stessa Bce a confermare il rischio di ulteriori aumenti in futuro».