Il commissario Avrampoulos in visita a Budapest. Nell'etichetta diplomatica di strette di mano e sorrisi. Nonostante l'emergenza profughi, le violenze e i muri. E se anche solleva alcune questioni, il ministro degli Interni ungherese risponde: "la nostra priorità resta il controllo alle frontiere"

L'etichetta diplomatica è un obbligo. Ma in certi casi può diventare un segnale: in questo lo è dell'impasse delle istituzioni europee di fronte all'emergenza dei richiedenti asilo. Di due piani che non si ascoltano: quello nazionale e quello centrale europeo.

Il 17 settembre il commissario per gli Interni dell'Unione, il conservatore greco Dimitris Avramopoulos, era in visita ufficiale in Ungheria. Quell'Ungheria che dopo aver fatto costruire dai detenuti un lungo muro di filo spinato al confine della Serbia, ora si prepara ad alzare una barriera verso la Croazia. Quell'Ungheria che ha varato una riforma del codice penale che rende reato l'atto stesso di attraversare le frontiera senza un visto.

Quell'Ungheria di cui l'Hungarian Helsinki Committee elenca da mesi le umiliazioni nei confronti di uomini, donne e bambini che scappano dalla guerra: dalla campagne d'odio (secondo l'ong, solo nel 2014 sono stati spesi 4 milioni e mezzo di euro per annunci istituzionali di carattere xenofobo) ai centri senza condizioni igieniche o sanitarie dignitose, dai lacrimogeni contro le famiglie al confine all'uso della forza per impedire ai profughi di muoversi verso la  Germania.

La visita del commissario europeo era quindi attesa, nel tumultuoso momento che sta vivendo l'Unione. Le barriere costruite dal governo di Viktor Orbàn hanno avuto ad oggi l'unico effetto di spostare l'onda migratoria un po' più in là: sempre con destinazione Berlino, sempre affamando i migranti e arricchendo i trafficanti di uomini. Semplicemente cambiando di set: ora è la Croazia ad alzare gli scudi e parlare di “non poter più accettare nessuno”. E ogni accordo sulla redistribuzione dell'accoglienza si allontana.

È in questo contesto che Avrampoulos parla di fianco ai ministri degli Interni e degli Esteri ungheresi. «La situazione non è semplice», ammette il commissario durante la conferenza stampa congiunta: «Sono tempi difficili per il popolo ungherese. Ma non siete soli. Questi sono tempi difficili anche per i vostri vicini: Grecia, Croazia, Austria. Scaricare il problema dei rifugiati su un altro paese non è la soluzione. È nostro compito, insieme, mostrare la nostra capacità di risposta».
Il commissario Avrampoulos con i ministri ungheresi

Quindi procede: «La Commissione Europea è qui per aiutare l'Ungheria. La solidarietà è il nostro principio di riferimento, come avete potuto toccare con mano quando, per due volte negli ultimi mesi, gli altri stati Ue vi hanno mandato tende e lenzuola per rispondere alla necessità. La Commissione ha proposto un sistema per dimostrare questa stessa solidarietà nella redistribuzione dei richiedenti asilo».

Un'opzione sistematicamente respinta dai paesi dell'Est Europa. Avrampoulos accenna allora alla questione dei soldi: «Abbiamo assegnato 7 milioni di euro di fondi d'emergenza all'Ungheria. Questi oltre gli 85 milioni già stanziati da qui al 2020». Quindi altri discorsi sull'Unione. E poi: «Lavoreremo collettivamente per proteggere i confini esterni. Voi state facendo la vostra parte di lavoro, lo so».

«Ma sapete anche che non sempre siamo d'accordo con i mezzi che usate: i muri sono soluzioni temporanee», continua il commissario: «Avete visto voi stessi che servono solo a reindirizzare i flussi o ad aumentare la tensione. La violenza non è una soluzione».

Anche perché, conclude: «La maggior parte delle persone che stanno arrivando in Europa sono siriani. Che hanno davvero bisogno della nostra protezione. Io credo che abbiamo il dovere morale di offrirla loro. È un dovere inscritto nelle leggi internazionali ed europee. Per me, è anche un dovere cristiano».

Un discorso chiaro, etichetta diplomatica permettendo. Ma la risposta del ministro dell'Interno di Budapest Sándor Pintér è, senza tentativi di mascheramento, sorda: «Siamo felici che il commissario voglia risolvere i nostri problemi. E siamo pronti a cooperare. L'Ungheria è un partner collaborativo, è chiaro che nessun paese, da solo, può affrontare la questione».

Quindi un accenno alle cause dell'esodo, alla necessità di «distinguere i rifugiati dai migranti illegali» e poi la stoccata: «Vi ringraziamo per i soldi. Ma il nostro governo ha speso 200 milioni di euro per la protezione dei confini. E solo rafforzando le frontiere esterne potremo garantire il libero scambio di persone dentro l'Europa».

Un sorriso, una stretta di mano. E la distanza resta la stessa.

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